Musica: “You and I”, il lato intimo di Jeff Buckley

Foto di Roberto Covi

Foto di Roberto Covi

E’ uscita una nuova raccolta di brani del cantante e chitarrista scomparso tragicamente nel 1997. Intervista al fotografo Roberto Covi che conobbe il musicista californiano

MILANO – E’ stata pubblicata da pochi giorni una nuova raccolta di brani di Jeff Buckley, il cantante e chitarrista scomparso nel maggio del 1997. L’album intitolato “You and I” (per l’etichetta Columbia) raccoglie una serie di registrazioni effettuate nel febbraio e nel novembre del 1993. Nel disco ci sono alcune cover di brani di Bob Dylan, dei Led Zeppelin, Sly & Family Stone, The Smiths, alcuni traditional e composizioni dello stesso Buckley. La compilation è stata prodotta da Mary Guibert (la madre di Jeff), Alison Raykovich e Darren Salmieri. Le dieci canzoni sono state masterizzate da Vic Anesini al Battery Studios di New York.

In tutti i brani Jeff Buckley canta e si accompagna esclusivamente con una chitarra elettrica Fender Telecaster e con una chitarra acustica Guild F-50. Questo è sicuramente il lato più interessante del disco, ovvero il lato più intimista e profondo del vasto universo musicale di questo giovane talento emerso negli anni ’90. 

“You and I” si apre con il classico “Just like a woman” di Bob Dylan in una interessante e originale interpretazione (la voce di Buckley è spesso vicina al registro gospel); prosegue con “Everyday people” di Sly & Family Stone in cui emerge il talento di Jeff come chitarrista ritmico. La successiva “Don’t let the sun catch you cryin” è un brano scritto da Buckley, una piacevole fusione tra blues e jazz condito dalla splendida voce dell’artista californiano. Segue una riuscita versione di “Grace” composta insieme al chitarrista Gary Lucas che da’ il titolo all’unico album in studio di Buckley pubblicato prima della sua morte. “Calling you”, scritta da Bob  Telson per il film “Bagdad Cafè” è uno dei momenti più intensi e lirici dell’album: la voce suadente e potente di Buckley descrive le suggestioni di questa canzone struggente. Notevole anche il suo accompagnamento alla chitarra. La successiva “Dream of you and I” è annunciata dallo stesso cantante, una melanconica ballad acustica. Sempre con la chitarra acustica Jeff Buckley esegue un altro brano degli Smiths: “The Boy with the Thron in His  Side”. L’unico momento discutibile di questa compilation è “Poor boy long way from home”, un traditional country-folk che francamente poteva non essere incluso nell’album. Si torna alla grande con “Night Flight”, ottimo brano dei Led Zeppelin (tratto dal doppio album Physical Graffiti”, in cui emerge prepotentemente la superba voce di Buckley sul registro acuto. Una versione che non ha nulla da invidiare a quella del gruppo di Jimmy Page. Chiude il brano “I know it’s over”, terza canzone degli Smiths; una intensa ballad che Buckley interpreta con molta passione e partecipazione emotiva.

La morte nel fiume Mississippi

La sua morte avvenuta improvvisamente il 29 maggio del 1997 ha interrotto un percorso appena abbozzato di un artista unico nel panorama del rock internazionale. Ecco il comunicato ufficiale scritto dalla madre, Mary Guilbert, sul suo decesso:

“La morte di Jeff Buckley non ha nulla di ‘misterioso’, legato a droghe, alcool o suicidio. Abbiamo un referto della polizia, un altro stilato dal medico legale e un testimone oculare, che ci confermano che si è trattato di un annegamento accidentale e che il signor Buckley era in un ottimo stato mentale prima dell’incidente”. 

Eppure la vita di questo ragazzo è stata inevitabilmente segnata dal problematico e complesso rapporto con il padre Tim Buckley, geniale e innovativo compositore morto per overdose il 29 giugno del 1975 a soli 28 anni. Il padre è stato un talento incompreso, la sua musica era troppo complessa, troppo creativa per i rigidi canoni del music business. Il giovane compositore non riuscì a reggere lo sconforto e la delusione per lo scarso successo dei suoi dischi. Preferì lasciarsi morire abusando di eroina e alcool. La musica perse un altro geniale innovatore dopo Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison. Il figlio Jeff che all’epoca aveva appena nove anni non fu presente al funerale del padre. Una ferita mai del tutto rimarginata per tutta la sua breve vita. Il suo primo album, “Grace” è uno dei vertici musicali degli anni ’90. Questo disco rappresenta al meglio l’uomo, il musicista, il cantante; una rara commistione di talento, creatività in un magma di forti emozioni.

Abbiamo contattato e incontrato Roberto Covi, fotografo e regista di video che ebbe modo di conoscere personalmente Jeff Buckley e la madre Mary Guilbert.

Roberto Covi, ci puoi raccontare come hai conosciuto Jeff Buckley?

“Era il 15 luglio del 1995, ho visto il suo concerto a Correggio. Alla fine dello show sono riuscito ad andare nel backstage dove c’erano vari artisti italiani come Ligabue e Vinicio Capossela e ho conosciuto… Jeff”.

Che impressione ti fece in quell’incontro?

Bellissima. Un ragazzo molto vivo, simpaticissimo, allegro e scherzoso: un folletto”.

Hai avuto modo di ascoltare il cd “You and I”, la nuova compilation di Jeff Buckley uscita da qualche giorno?

“Si, ho avuto modo di sentirlo”.

Che impressione ti ha fatto: la scelta dei brani, la presenza solo di voce e chitarra?

“Beh, Jeff non si discute. Ma non so….il disco è bello. Non so se Jeff lo avrebbe fatto uscire…”.

Perché hai questa sensazione?

“Da quello che ho capito di lui e della sua band e altri amici che lo hanno conosciuto bene, Jeff aveva molte aspettative, non voleva regalarsi così a caso. Ok in un concerto, ma non su un disco”.

So che hai conosciuto anche la madre (Mary Guilbert). Che idea ti sei fatto di lei, che tra l’altro è uno dei tre produttori della compilation You and I?

“La madre l’ho conosciuta a New York subito dopo che avevano scelto una mia foto di Jeff per la copertina del cd

‘Mistery white boy’ del 1997. Sicuramente è una donna molto impegnata a far si che la memoria del figlio sia mantenuta”.

Ultima domanda, Jeff Buckley che fa un bagno nelle acque del Mississippi vestito e con gli stivali. Secondo te si è trattato di un incidente?

“E’ stato un incidente, una delle tante cose folli che faceva. Mi hanno detto che non era la prima volta che faceva il bagno vestito. Quindi non voglio crederci e sono proprio convinto che non sia stata una sua volontà quella di andarsene. E’ stato un caso, una fatalità che ha spento una luce immensa, purtroppo”.

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