L’anello debole della catena

Francesco è mio figlio. È bello, ha un viso delicato con lineamenti regolari, ha le labbra e la bocca del padre ma gli occhi li ha presi da me. Sono grandi, color nocciola, sembrano quasi di velluto, sono mobilissimi con un’ espressione sempre un po’ malinconica. Lo guardo e mi sembra il bambino più bello del mondo, così dolce, intelligente, riflessivo nelle sue cose.

Lo guardo e mi sembra la cosa più bella che abbia fatto in quarant’anni della mia vita. Mi piace spiarlo mentre gioca con il cane. Glielo abbiamo regalato due anni fa per il compleanno, una mia amica mi disse che i bambini crescono meglio se stanno a contatto con gli animali, gli animali domestici aiutano nella crescita. Sansone, il cane, è il suo miglior amico. “Il mio amico peloso” dice Francesco. Io lo guado e vorrei tanto che al posto di Sansone ci fosse un bambino come tanti, come il mio Chicco; eppure lui con i bambini non gioca spesso. Francesco è schivo, solitario, non cerca la compagnia degli altri bambini, ama giocare solo. Io ho cercato in tutti i modi di allacciare rapporti con le altre mamme e i loro bambini, ma ogni volta è stato un fallimento. Francesco si isola, viene preso in giro, una volta durante un compleanno un bambino lo ha spinto con forza. Francesco da allora non vuole andare più ai compleanni dei suoi amichetti. È tornato a casa in lacrime più di una volta dopo la scuola, gli avevano rubato i pastelli,gli avevano rubato la merenda, i bambini possono essere anche cattivi alle volte. Sono andata a scuola e ho detto alla maestra di avere un occhio di riguardo per lui, mi hanno detto che sono apprensiva. Ma come posso non esserlo. Io lo guardo questo figlio che mi somiglia, che ha i miei stessi occhi, lo guardo con tutto quell’amore che solo una mamma prova e mi si stringe il cuore a vederlo solo e impacciato in mezzo a tanti altri bambini. Alle volte la sera gli concedo di dormire nel lettone con me e il padre, lui è contento, mi stringe forte e dice “ci manca solo Sansone”.                                     

Io non ho mai dormito nel lettone con i miei, mio padre andò via di casa e mia madre da allora iniziò a dormire sul divano. La sua stanza venne data ai miei due fratelli. Io dormivo in camera con mia sorella e spesso ci addormentavamo in un unico letto per stare più calde. La casa era fredda, grande luminosa. La sala da pranzo era il posto più freddo eppure mia madre si ostinava a dormire lì, sul divano. Dopo che mio padre ci abbandonò il suo viso divenne più duro, raramente sorrideva. Iniziò a lavorare in un ristorante per arrotondare, le sue mani erano sempre screpolate, con mia sorella la guardavamo mentre si spalmava un unguento molto denso. Io sono cresciuta così, con il ricordo delle sue mani rovinate come esempio di vita. Ancora adesso le vedo. 

Francesco non ha mai visto le mie mani rovinate come quelle, credo che si impressionerebbe. Le sue mani sono delicate, dalla carnagione chiara. Io ricordo che alla sua età le mie erano sempre sbucciate, erano mani che scavavano buche, raccoglievano conchiglie sulla spiaggia, si sporcavano di terra ma si sciacquavano presto in mare. Ricordo Maria, la mia compagna di banco, le sue lentiggini che si accentuavano al sole; le nostre lunghe passeggiate sulla spiaggia, ricordo gli amici, ricordo un’ infanzia povera ma felice. Perché Chicco il tuo sguardo è sempre triste? Tu hai una camera tutta tua, una casa grande, calda, due genitori sempre presenti. A te basta Sansone, la tua cameretta, i tuoi puzzle, la tua casa. A me la casa non bastava mai. Stavo crescendo, l’espressione dura di mia madre mi intristiva, io volevo essere felice, almeno provare ad esserlo. I miei amici divennero la mia seconda famiglia. Maria divenne la mia seconda sorella, suo padre una figura di riferimento, quella figura maschile che a casa mia non c’era mai stata. Ricordo i pianti per quella assenza, la tristezza, poi la rabbia fino ad arrivare all’odio, ci aveva abbandonati tutti, nessuno a casa lo nominava. Mio marito, invece, è un padre presentissimo, è dolce, premuroso, paziente con Francesco. Lui viene da una famiglia sana, solida, è cresciuto nell’agiatezza e nella spensieratezza. Il suo atteggiamento è molto più tranquillo del mio, non è così apprensivo, ogni tanto mi rimprovera dicendo che ho un attaccamento morboso nei confronti di Chicco. Io vorrei ma non ce la faccio, lo vedo così indifeso che mi sento in dovere di proteggerlo. Darei qualsiasi cosa pur di vederlo integrato, sorridente tra gli altri bambini che giocano e si divertono. Chicco è così dolce e impacciato tra i suoi coetanei, lo vedo in difficoltà mentre gioca al parco, spesso le sue guance si accendono di un rosso vivo e io non so se è stremato dai giochi o dallo sforzo che fa per stare in gruppo. Il mio sguardo non lo lascia un attimo, scruto ogni minimo movimento suo e degli altri, anche la mamma di una bambina se ne è accorta, ha cercato di tranquillizzarmi sulla questione, anche il suo primogenito era un po’ introverso …

Spesso vorrei tornare bambina per difenderlo ma so che questo è impossibile. A volte la vita riserva dei colpi bassi, delle tristi sorprese che ti colpiscono nei punti più deboli, e i figli sono proprio l’anello più debole della catena. 

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