Dai Grimm a Disney: un periglioso viaggio lungo un regalo

ROMA – Il Natale è ormai alle porte e nonostante il passare degli anni e la prepotente avanzata della tecnologia, i libri di favole sembrano ancora un regalo molto gettonato tra gli italiani.

Le fiabe, raccontate dai genitori e poi tradotte per le nuove generazioni sul grande schermo, tuttavia, sono solo il riflesso delle loro “scorbutiche” antenate. Il colosso dell’industria animata che diede i natali a Topolino, avrebbe, di fatto, operato una totale rivisitazione del genere cambiandone la struttura alla base.

Le fiabe firmate Grimm, da cui le più celebri storie erano tratte, non erano destinate all’infanzia. Erano, invece, aspri racconti che avevano lo scopo di mostrare come le famiglie reagivano alla condizioni difficili in cui erano costretti dalla vita. I due filologi erano convinti che le loro raccolte fossero il riassunto degli insegnamenti morali destinati al popolo tedesco. Nel processo che condusse alla pubblicazione delle sette edizioni dei racconti, dal 1812 al 1857, i Grimm apportarono significativi cambiamenti ai contenuti e allo stile, cercando, tuttavia, di conservarne l’anima originale che verrà poi, invece, snaturata dall’operazione commerciale Disney, #happyendingadognicosto. 

Il primo lungometraggio d’animazione Disney, Biancaneve, ne è un esempio. La prima versione conosciuta del racconto sarebbe proprio quello dei Fratelli Grimm, tratto, secondo alcuni, da fatti realmente accaduti. Nella versione originale della storia, dopo aver cercato invano di uccidere la sua Bianca rivale, la regina cattiva, sarebbe costretta dalla neo-coppia di principeschi sposini ad indossare scarpe di ferro e a ballare con i 7 nani per l’eternità. Quando la storia venne riadattata dal magnate Disney al grande schermo, i dettagli più cruenti vennero del tutto eliminati lasciando un finale ad alto tasso glicemico, in cui Biancaneve risvegliata dal principe raggiunge finalmente il suo nuovo regno (e dire che nel testo originale di baci non si parla nemmeno, dato che la bella dalle labbra rosso sangue sarebbe risvegliata da un colpo subito per errore dal feretro in cui era custodita).

La storia della “sorella di pagina” Cenerentola subì la stessa sorte. Nella versione dei fratelli Grimm la matrigna, per permettere alla scarpetta di essere calzata dalle sorellastre, consiglia alla prima di tagliarsi le dita dei piedi e alla seconda il calcagno. Nella trasposizione Disney tutto ciò viene completamente omesso conservando, tuttavia, un curioso riferimento: nella scena in cui Genoveffa e Anastasia tentano, senza successo, di indossare la scarpetta saranno proprio le dita dei piedi ed il calcagno ad essere inquadrati in primo piano dalla camera come ragione del mancato conseguimento dello scopo. I fratelli Grimm avevano, inoltre, immaginato un finale molto diverso: il Principe Azzurro per punire le sorellastre avrebbe ordinato ad un gruppo di colombe di cavargli gli occhi. Nel finale colorato di tinte pastello Disney, le colombe ci sono sì, ma hanno il solo scopo di fare da sfondo al matrimonio tra la “sventurata” Cenerentola e il suo grande amore.

E se tutte le fiabe Disney si concludono con il classico “e vissero tutti felici e contenti”, le originali fiabe Grimm non potrebbero essere più diverse dalle loro compagne americane e più simili alla realtà in cui viviamo. Sullo sfondo di una Parigi piegata dal dolore non si può fare a meno di chiedersi se per Natale è meglio fare un viaggio oltreoceano nel paese dei balocchi o ritrovarsi a due passi da casa, sfogliando un libro con uno specchio della realtà tra le mani e un destino tutto da riscrivere. 

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