Attenti al mal di sushi. A Milano i malori crescono

MILANO – “Non un allarme, ma un invito a prestare attenzione perché è innegabile che i casi di quella che in gergo medico viene definita ‘sindrome da sgombroide’ risultano in aumento a Milano”.

A spiegarlo è Simonetta Fracchia, direttore della Struttura complessa Igiene degli alimenti e nutrizione dell’Ats (Agenzia di tutela della salute) della Città metropolitana di Milano. I dati a cui l’esperta fa riferimento sono relativi in particolare al 2016. Se nel 2014, infatti, le intossicazioni da sindrome da sgombroide erano state in tutto 45 e nel 2015 erano salite a quota 47, “solo nei primi 9 mesi del 2016 sono già a quota 42”. Un lieve aumento, ma l’invito dell’Ats è comunque alla prudenza. “Senza voler allarmare nessuno – dice Fracchia – bisogna però prestare attenzione al consumo di pesci sgombroidi come il tonno. E’ importante il modo in cui vengono conservati. E bisogna essere consapevoli del fatto che il consumo di pesce crudo e sushi non è salute in senso assoluto. Il consiglio è di rivolgersi a esercizi pubblici di cui ci si fida e per i quali si ha la garanzia che vengono osservate le norme e le prassi igieniche per una corretta conservazione dei prodotti. Diffidando invece di locali e situazioni in cui già visivamente è chiaro che la buona conservazione del pesce non può essere garantita. Per esempio eviterei di consumare pesce crudo in baracchini”, dove magari questi prodotti restano esposti per ore. A volte, poi, dietro la sindrome “c’è una concomitanza di fattori, per esempio il mix di tonno mal conservato e sesamo o altri ingredienti già di per sé allergizzanti”, fa notare l’esperta. 

La sindrome da sgombroide, ribattezzata con una definizione più popolare ‘mal di sushi’, “è proprio come una reazione allergica – spiega all’AdnKronos Salute Maurizio Vecchi, responsabile della Gastroenterologia del Policlinico San Donato – Pesci come lo sgombro o il tonno, e in generale il pesce azzurro, contengono istidina. Se a causa della cattiva conservazione si creano dei batteri, questi metabolizzano l’istidina in istamina, una sostanza rilasciata appunto nelle crisi allergiche. Il problema riguarda non tanto il sushi ma il pesce mal conservato, e a quel punto non importa la versione in cui si consuma, perché l’istamina e i suoi derivati non vengono eliminati se si cuoce o si congela il prodotto”. In pratica, prosegue Vecchi, la sindrome è scatenata da “un avvelenamento da istamina. E i sintomi si hanno poco dopo l’assunzione in tutti coloro che hanno condiviso lo stesso pesce” ‘avvelenato’. Sintomi che vanno “dal rash cutaneo tipo orticaria, ai disturbi gastrointestinali quali nausea, diarrea e vomito, fino a disturbi di tipo neurologico come mal di testa e formicolii e, in casi più estremi, anche a crisi molto gravi con pressione bassa e svenimento”. Una condizione di malessere che generalmente “è fugace e nel giro di 24 ore al massimo si esaurisce. Non solo: questi sintomi sono ben trattati con antistaminici”.

Attenzione ai “All can you eat”

Al di là del trend della sindrome da sgombroide nel capoluogo lombardo, Vecchi spiega che “visto l’aumento del consumo di pesce in generale e la diffusione di alcune tipologie di ristoranti che servono pesce crudo più che cotto, occorre fare attenzione alle modalità con cui viene mantenuto e conservato il prodotto. Certo, se in un locale che lavora con la formula ‘all you can eat’ i pesci rimangono esposti ore in bella mostra a temperature non idonee, qualche sospetto deve venire. La corretta conservazione si può avere tenendo il pesce almeno sotto i 4 gradi centigradi”. L’abbattimento, cioè la caduta estrema della temperatura a cui sottoporre il pesce per eliminare eventuali rischi di parassiti, “è un altro discorso perché anche il mantenimento prima e dopo questo processo deve essere adeguato. In caso contrario si può creare una crescita di batteri che appunto trasformano l’istidina in istamina e provocano il disturbo”. Il problema più grosso per un consumatore, conclude Vecchi, “è che il pesce che potrebbe avere al suo interno istamina non ha né un odore cattivo né l’aspetto di pesce non fresco”. Quindi è impossibile da riconoscere. 

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