Sogno

“Abbiamo vinto, Marzia!
Mi puoi sentire? Ho qui la sentenza, francamente ci capisco poco, dovresti leggerla, è scritta con il solito linguaggio giuridico, buono solo a confondere la povera gente. Ma forse tu saresti in grado di capirci qualcosa. Posso leggerti alcune righe, se ti va…

Ecco, inizio da qui, mi sembra il passaggio più interessante. “E’ vero altresì che la Rete Ecologica Regionale, ai sensi dell’articolo bla bla, non poteva avere carattere prevalente rispetto alle norme del PGT”. Credo stia per Piano Generale… E la T? Anzi no, credo abbia a che fare con il Piano Regolatore, ma non ne sono sicura. Tu di sicuro lo sapresti spiegare molto meglio di me. Forse non è il caso di procedere con la lettura, non credi? Ad ogni modo, tra qualche giorno, sono sicura, potrai leggere tu stessa la sentenza.
Avresti dovuto vedere le facce di quelli della Acabar! Erano sbigottiti. Non ci potevano credere. E nemmeno noi, in realtà…
Sembrava un sogno. Acabar, che razza di nome! E’ una parola spagnola, vuol dire finire, riuscire o terminare. Ironia della sorte, loro non sono riusciti a fare proprio un bel niente. Per merito nostro. Anche se qualcuno, i loro amici probabilmente, direbbero che è colpa nostra.
Quanto fango ci hanno gettato addosso…
Sono contenta, in fondo, che tu non abbia dovuto sopportare tutta la pressione degli ultimi giorni, i loro subdoli tentativi di portarci dalla loro parte. Come se nella vita tutto avesse un prezzo. Ci sono cose che non si possono vendere, ma loro non lo capiranno mai, giusto? E poi ormai era troppo tardi, la sentenza sarebbe arrivata di lì a poco, che senso aveva cercare di corromperci? Hanno detto un mare di bugie per screditarci, farci passare per ambientalisti talebani e fuori dal tempo, da ogni logica. D’altronde è questa la loro unica arma, oltre alla corruzione. La menzogna.
Hanno detto che eravamo interessati a quel pezzo di terra perché volevamo portarci i nostri amici zingari e poi hanno addirittura messo in giro la voce che i nostri figli e fratelli andavano lì per spacciare. Ma ti rendi conto? Hanno paura della verità, perché se la gente, i cittadini del quartiere, sapessero quali sono i reali motivi dietro tutto ciò, allora forse avrebbero perso in partenza. Non gli bastava tutto il cemento con cui continuano imperterriti a seppellire ogni cosa? Quello era il nostro spazio, la nostra oasi verde, come potevano anche solo immaginare che saremmo stati zitti mentre ci rubavano ogni cosa?
Tu non hai idea di quello che ha passato Marco. Quei bastardi hanno scavato nella sua vita privata, alla ricerca del più piccolo appiglio, della minima zona d’ombra, per poterlo attaccare e farlo apparire come un idiota davanti a tutti. E alla fine, qualcosa hanno trovato. Suo cognato, l’hai conosciuto, ricordi? E’ un imprenditore molto noto in paese. In realtà si occupa soprattutto di investimenti legati all’edilizia residenziale convenzionata, non avrebbe mai potuto trarre nessun vantaggio da un fazzoletto di terra che tra l’altro risultava accatastato come terreno agricolo. Eppure, hanno fatto in modo che la gente credesse a quelle assurdità, perché il loro ragionamento è banale, ma vincente: se c’è del marcio anche tra di voi, vuol dire che sono tutti innocenti. Senza pensare che c’è marcio e marcio e che il loro è senz’altro più vomitevole del nostro.
E sai cosa diranno ora? Che siamo nemici del progresso, antiquati e senza speranza. Diranno anche che quell’orrenda costruzione avrebbe portato a tanti posti di lavoro in più e, di questi tempi, non è mica male. A chi importa invece la qualità della vita?
Ci hanno attirato come api sui fiori prospettandoci il Dio progresso, avremmo avuto libertà, benessere, una vita agiata e tanti soldi. Tutte fandonie. Loro hanno forse già raggiunto questo obiettivo, certamente non noi. E quel rudere rimarrà lì per tanti anni, puoi giurarci. Uno scheletro di cemento e ferro piantato lì a ricordarci fino a che punto la gente può essere idiota e cieca. E saremmo noi a dover rispondere a tutte le accuse, a chi, in nome dello sviluppo, ci chiederà perché abbiamo osato interrompere i lavori, come se fossimo noi i diretti responsabili e non, invece, la sentenza del giudice che ha ristabilito l’ordine delle cose.
Ma forse ti sto annoiando, queste cose le sai bene. Quello che non sai è che il giorno dopo il tuo incidente, quelli della Acabar sono venuti da noi per farci le condoglianze. Come se tu fossi già… E’ stato orribile. Ma forse è meglio che vada ora, il medico mi ha concesso solo dieci minuti. A presto, Marzia, riprenditi, siamo tutti con te”.

L’infermiera si avvicinò lentamente alla paziente intubata della stanza 11. Le faceva pena. Aveva fratture in ogni parte del corpo, era lì ormai da una settimana e nessuno sapeva se si sarebbe mai ristabilita del tutto. Aveva letto di lei, della sua solitaria battaglia contro una delle imprese edili più potenti di tutta la regione, di come aveva deciso di arrampicarsi da sola sull’edificio in costruzione, sfidando la sorte, e di come poi era precipitata da un’altezza di quasi dieci metri.
Era arrivata lì in condizioni disperate e nessuno, mai nessuno, era andata a trovarla. Di lei avevano detto di tutto, che era una pazza anacronistica, una folle che si preoccupava soltanto del suo orticello, ignorando volutamente tutto il bene che quel nuovo polo commerciale avrebbe portato nell’area.
Pochi minuti prima le era sembrato che sorridesse, forse sognava. Si augurava che fosse il primo segnale di un lento miglioramento.

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