4. Alter ego (Parte prima)

Passati i soliti ristoranti e bar che di solito prendevano della manodopera in più Sil entra nel suo bar abituale e si fa servire una fredda birra. Versandola nel bicchiere la osservava e pensava che era proprio bella, con quella schiuma bianca.

Fatto un bel sorso cominciò a guardarsi attorno. Il bar si stava riempiendo di gente. Intanto lui cominciava ad estraniarsi e a pensare. All’improvviso era come se un suo alter ego gli cominciasse a parlare e gli dicesse: “hai conosciuto la paura? Il pericolo di avvicinarti a te stesso, lontano dalle tue sicurezze quotidiane? Tu che osservi la vita passare all’angolo di un bancone, che bevi rinfrescando le tue palpebre con del buon luppolo fino a che le gambe non si muovono da sole… pensare di andare in Messico…. Dove sono gli amici con cui una volta si usciva da quella porta per fumare tutti assieme? Ora sei solo con la tua Estrella, guardando gli altri vivere la notte; quella gente abituata alla pioggia che è pronta ad accettare qualsiasi cosa come le gocce d’acqua che gli cadono in testa…” Due tizi intanto gli ballavano davanti come se dovessero ravvivare la loro relazione, ad un tratto si baciarono. Sil era lì, con la sua birra in mano, in uno di quei momenti in cui nessuno ti può dire nulla, guardando la gente ballare. Osservava e si faceva trasportare dai suoi pensieri, dalle sue riflessioni. Nessuno gli faceva caso e questo lo faceva ancor di più riflettere sulla sua solitudine. Infatti è proprio quando si è in mezzo agli altri che ci si sente soli. L’ansia per qualcosa che non voleva fare lo avvolgeva. Era nervoso; un’altra volta ancora in quella situazione, senza soldi, senza poter sapere il suo destino. Tutto era in mano a delle persone che avevano il suo numero di telefono e potevano sceglierlo per sfruttarlo oppure no. Lui non poteva decidere nulla. Una volta aveva discusso a lungo con una sua conoscente proprio su questo argomento. Sentiva dire questa ragazza che un giorno sarebbe stata questo e poi quell’altro ecc… Sil la interruppe e le chiese come potesse essere tanto sicura di tutto quello che sarebbe diventata o avrebbe fatto, se, come la pensava lui, niente è in mano alla nostra volontà e tutto dipende dal puro caso. La ragazza offesa gli rispose in malo modo, trattandolo da fallito e se ne andò lasciandolo senza una risposta. Ma Sil più avanti andava negli anni e più vedeva confermarsi questa sua teoria. Come è possibile scegliere cosa poter fare della propria vita? Non esiste. Forse è possibile scegliere in che modo essere umiliati e sfruttati. Questo si, lo ammetteva. Ma affermare che ci sia una libertà di fondo che ci permette come degli idioti felici di godere della propria vita, ecco, questo gli sembrava una cazzata. Uno come lui negli anni che furono sarebbe stato uno schiavo. Lui avrebbe dovuto servire il suo padrone e abbandonare l’autorità sul suo corpo. Le persone in genere vogliono fingersi la propria realtà, la disegnano loro, la manipolano per renderla accettabile. Non assorbono il dolore della propria schiavitù, non vogliono comprendere il male da cui sono infettati, preferiscono non sapere. In effetti pensare fa male, fa soffrire, poiché smaschera il dolore delle cose. Una persona che da quaranta anni lavora, cosa sa di se stesso? Ha fatto per tutti quegli anni la stessa cosa, non sa altro. Cosa aveva? Il fine settimana libero forse per imparare dalla vita? Vivere non significa fare lo stesso gesto, essere nello stesso posto, arrivare e andarsene sempre alle stesse ore e gli stessi giorni. Vivere dovrebbe essere una cosa più dinamica per ognuno. E invece vivere significa accumulare, produrre, consumare, comprare, vendere, avere, potere, vincere, sfruttare, rubare. Significa tutto ma non ribellarsi, condividere, rispettare, amare, provare, perdere. Quello che la società del futuro voleva era il proprio tornaconto come sempre. Come avrebbe fatto Sil questa volta? Era sicuro che non lo avrebbero chiamato. Ubriaco si diresse verso un altro bar, stracolmo di persone, altrettanto alticce, che ballavano allegramente come se fuori esistesse qualcosa di bello per cui vivere. La lotta per la sopravvivenza stava cominciando a stancare Sil, che come il suo filosofo preferito, avrebbe preferito spararsi in testa. Non voleva lottare, non voleva stare in mezzo alla gente, non voleva dover ascoltare le cagate degli altri, non voleva condividere la sua esistenza con la maleodorante società nella quale era costretto a vivere. Avrebbe voluto solo non stare, non essere.

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