Scambio e convenienza ( seconda parte)

 

Una ragazza, una mattina in treno, lo aveva completamento rapito; era lei, quella che aveva sempre sognato per i suoi viaggi. La conobbe con una scusa, e da quel momento i due iniziarono a frequentarsi. Orazio però non sapeva ancora che questa ragazza, Lara, aveva già qualcuno con cui condividere i suoi sogni. Cominciarono ad uscire, a conoscersi lo stesso. A Lara piacevano le stesse cose che interessavano lui; era piena di tatuaggi e ad Orazio questo piaceva, anche perché erano tutti belli.

Lara stava facendo un anno di tirocinio e per questa ragione  prendeva il treno tutte le mattine. Campanin cominciò a prendere lo stesso treno anche se dopo non avrebbe avuto lezione. Era totalmente ammaliato dalla figura di Lara. Una sera dopo una festa a cui era stato invitato, Lara, visto che nella stanza dove dovevano dormire c’era un solo letto, gli chiese se avesse voluto condividerlo. Orazio si rimproverò ogni giorno di aver rispettato la scelta di lei di stare assieme ad un altro ragazzo e gli disse che avrebbe dormito lì vicino prendendo un materasso dalla stanza accanto. Purtroppo non successe niente nemmeno quella sera e Campanin si stufò di quella situazione ambigua, che cominciava a non capire e decise di non chiamare più Lara per uscire. D’altronde anche lei dopo quella sera non contattò come prima Orazio, che rimase sempre con il dubbio di aver sbagliato qualcosa. “Orazio allora su cosa fai la tesi?” chiese Ruggero, un fuoricorso che non frequentava mai le lezioni e si faceva mantenere dai suoi genitori senza alcun rimorso. Campanin allora si vide costretto a rispondergli ma restò sul vago, perché non amava trasformare in chiacchiera e retorica qualcosa a cui stava pensando seriamente. “Sul racconto fantastico!” rispose Orazio quasi urlando. “Che bello! E con chi la fai?” – chiese Ruggero, “Con Gasparini” – rispose subito Campanin. Poi approfittando di un attimo di distrazione del mantenuto Orazio si dileguò e decise di andare a studiare. A volte nei giorni di pioggia l’ambiente universitario sembrava tetro e noioso, non era stimolante e interessante come Campanin prima di iscriversi si era sempre aspettato. “Ueh!! Come stai?” gli chiese un ragazzo che frequentava i suoi stessi corsi. “Bene, non c’è male, sto studiando per l’esame di Logica, una vera merda!!”, rispose lui. “Fumi?” Gli domandò Manuel, il ragazzo del suo stesso corso. “Si a volte, perché tu hai qualcosa?”. “Si dai andiamo lì che ci prendiamo una pausa!” gli disse Manuel. Orazio era felice perché a volte riusciva a fare le cose che era abituato a fare quando stava al paese, era come se potesse dimostrare che quelle cose per lui non erano una novità, e che non lo sorprendevano affatto. Ma Manuel era uno di quelli che lo faceva per il gusto di farsi vedere e non per riuscire a raggiungere un livello di discussione fatto di pure e semplici associazioni mentali, che viaggiassero nel cervello ad una velocità sostenuta. Quindi Orazio non provò alcuna emozione, alcun interesse per quel tipo di conversazioni vuote sui corsi, sugli esami, sui programmi. Lui cercava qualcuno con cui parlare di certe esperienze, di progetti comuni, di qualcuno che avesse fatto le sue stesse cose senza di lui. Ma niente, nessuno sembrava capire la sua serietà, il suo animo. In quel periodo Campanin amava il silenzio. Amava passare ore a passeggiare in giro per la città dove studiava e non parlare con nessuno. Tanto anche se avesse avuto voglia di farlo sarebbero stati dialoghi vuoti con qualche commesso o barista. Nessuno voleva parlare seriamente di nulla. Tutto era in mano e faceva parte della sconvolgente retorica che avvolge ogni ambito dell’umano agire. Niente viene fatto per niente, nulla viene detto per nulla, ma questi per Campanin erano solo vuoti giochi di scambio, che il suo io riconosceva e a differenza degli altri non era in grado di accettare. Si sarebbe trovato male nella vita per questo, ed infatti non stava vivendo in modo sereno la sua esistenza, pur capendo cose che altre persone chissà  intuivano ma facevano finta di non vedere. Tutto era dettato dalla necessità della sopravvivenza, ogni rapporto umano che Orazio riusciva a cogliere era dettato dalla legge dello scambio e della convenienza. Come si poteva vivere in questo modo? O meglio come avrebbe potuto uscire da questa logica di vita?  Prima di dividere completamente la sua strada da  quella di Samuele, i due si recarono in una comunità di persone, in montagna, in totale armonia con la natura e senza alcuna forma di contaminazione industriale. Tutto in quel villaggio era fatto in modo da rispettare le leggi della natura e gli uomini come esseri umani. Nessuno poteva prevalere sull’altro e tutti dovevano avere gli stessi diritti. Era un piccolo stato con le sue regole a cui tutti potevano prender parte. Orazio si innamorò subito del posto e di quelle persone che con lui ed il suo amico erano state meravigliose. Li vissero a contatto con la natura, con gli animali e con persone che avevano ognuna una storia diversa alle spalle, situazioni difficili superate anche grazie all’aiuto di questa comune. Il lavoro non mancava mai, e c’era sempre qualcuno con cui fare due risate. Se si aveva voglia si poteva fare una bella passeggiata per i monti, dormire, fumare, bere qualcosa; bastava che ognuno portasse a termine la propria funzione all’interno del villaggio e dopo si era tutti liberi e in festa.

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