6. PAZ (terza parte)

Quanta cattiveria, quante umiliazioni genera il mondo del lavoro, nel quale l’individuo, mosso dalla fame, deve mettere da parte totalmente il suo ego e i suoi valori, per fare quello che gli dice un altro individuo che ha il potere di comandarlo all’interno della rete sociale. Lavorare per qualcuno è il continuo subire violenza.

E come è possibile che nessuno dica o faccia niente. L’informazione è continuamente al servizio del potere capitalista e quindi non è libera e di conseguenza non è informazione. Per quanto riguarda le azioni, gli uomini di questo momento storico sono stati sedati da una dittatura che è penetrata direttamente nelle loro vene e alla quale piace obbedire, perché è l’unico modo in cui sanno vivere. Chi non ragiona secondo la morale statale è naturalmente considerato pazzo. Orazio in effetti trovava sempre meno persone con le quali potesse parlare, perché molte non lo avrebbero capito e di conseguenza considerato uno stupido e un sognatore. Che fare? Orazio stesso era obbligato dalle circostanze a pensare di diventare schiavo di qualcuno per questioni di sopravvivenza fisica, però non incontrava il suo “padrone”. A volte era felice di questo, camminava per la strada e pensava di essere fortunato a non dover stare tutto il giorno rinchiuso in un posto di lavoro ad obbedire a stupide leggi di mercato che gli avrebbero rovinato quotidianamente la vita. Però come poteva fare per rimanere con Paz per esempio se non poteva pagarsi una stanza, il cibo e le fottute bollette. Bisognava poi vedere se Paz avesse voglia di stare con lui oppure no. Intanto i giorni passavano, la pioggia in questo periodo di dicembre era sempre presente almeno una volta al giorno e Santiago quando arrivava il fine settimana si svuotava, perché tutti gli studenti se ne tornavano a casa. Lo spagnolo di Orazio migliorava di giorno in giorno e per questo era contento. 

“Andiamo a giocare a ping pong al campo nord oggi che c’è il sole?”- domandò Orazio a Guille che stava sorseggiando una coppa di vino all’ora del pranzo. “Certo che si”- gli rispose Guille e i due si avviarono al parco. “Che merda sabato”- disse Orazio a Guille, che per tutto il fine settimana non era stato in casa perché era tornato a casa dei suoi genitori come tutti gli studenti. “Perché?”- gli rispose Guille. Infatti sabato Orazio era stato da Paz e lì i coinquilini di lei avevano voglia di bere e di fare festa. Fin qui tutto bene, però la festa andò a finire male per Orazio, il quale non potendo bere il rum si trovò costretto dalle circostanze a berlo. Infastidito, verso mezzanotte, ubriaco e innervosito, decise di abbandonare la “festa”. Orazio non dormì tutta la notte, i pensieri pessimisti lo avvolsero come se si trovasse dentro una nuvola. Il giorno dopo Paz lo chiamò tre volte, ma Orazio non rispose; provò a richiamarla verso sera quando si era un po’ rasserenato ma lei non gli rispose e così accadde anche il giorno dopo. Orazio pensò quindi che forse non piaceva abbastanza a Paz e gli sarebbe dispiaciuto perderla. Lui per lei forse cominciava a provare qualcosa.

Intanto le cose continuavano come sempre, sveglia all’una, caffè al solito bar frequentato esclusivamente da vecchi, lettura del giornale o meglio degli annunci di lavoro e poi chissà, ogni giorno poteva rivelarsi o magico o malinconico. I compagni di casa di Orazio per quella sera volevano fare una bella cena per festeggiare con un saluto il rientro a casa dalle vacanze di natale. Paz scrisse ad Orazio quella sera, i due si trovarono, cenarono con gli altri e poi stettero per tutta la notte a parlare, fare all’amore e a guardare film, mentre gli altri, ubriachi, si aggiravano per la casa facendo cose che solo loro possono ricordare. Orazio non capiva, però stava bene, aveva capito che Paz alla fine doveva essere presa così. “Che farò ora?”- si chiedeva nella sua stanza, contando i soldi che gli erano rimasti e cercando di prevedere le spese per la seconda parte dell’anno. Il sabato di quella settimana sarebbe ritornato per venti giorni a casa, in Italia. 

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