Regole del gioco: un congresso e tante gatte da pelare

Accanto al nostro tavolo quattro vecchi giocano a briscola. E’ la prima mano e uno guarda in alto, ha il re del seme regnante. Il compagno se la ride. Gli avversari si innervosiscono, buttano le carte sul tavolo.
Tonino mi versa il Lambrusco.

“Quello è er tavolo der Pd. Stanno fori dar mondo. Se scommetteno le mutande mentre le moji piangono la fame. S’ammazzerebbero pe’ fa’ ‘na mano in più. Alla fine è sempre corpa delle regole. Chissene frega se nun famo ‘n cazzo pe’ cambia le cose, chissene frega se a du’ palmi da ‘sto tavolino ce so’ partite più importanti, quer che conta è restà attaccati a qua’a portrona. Sperando de sbancà er lunario co’ na furbata da ‘mbrojone”.

Il tavolo è la Direzione del partito. La briscola il congresso. Il piatto è la Segreteria del Partito. L’occhiolino è la disputa sulle regole per le votazioni. Attorno c’è la stessa roba: il debito pubblico che avanza, la sentenza Mediaset, il Porcellum, la disoccupazione giovanile, i tagli ai servizi, Lampedusa che scoppia, i diritti delle coppie di fatto, l’assenza di fondi per ricerca ed istruzione, gli squilibri sociali, le imprese che non ottengono crediti dalle banche, un governo delle larghe intese che tracolla sempre di più.

Negli ultimi giorni la politica nostrana ha dato sfogo alle più orride immaginazioni del suo popolo “sottano”. La Kienge ha visto tirarsi addosso delle banane, è stata proposta a vittima di stupro e paragonata ad un orango. C’è stata la vicenda kazaka che ci ha fatto capire perché non abbiamo diritti e credito internazionale per far rientrare gli oramai dimenticati Marò dall’India. Parte del parlamento ha minacciato di dimettersi nel caso in cui Berlusconi venisse condannato. Tante persone sono morte in mare per venire in Italia, su un barcone. Si è rispolverata la genialità di modificare la più bella Costituzione del mondo e il Pd che ha fatto? Cosa fa? Si chiude su sé stesso.

“Allora Piddì, ‘na vorta se diceva che quanno sta pe’ scoppià ‘n diluvio è cosa bona tirà fori le bacinelle. Passata la tempesta ce resta l’acqua pe’ lavasse. Ner partito hanno tirato fori le vasche, ma  nun je passa pe’ la testa che se affonnamo, affonnamo tutti, loro pe’ primi. Che cor congresso ar 25 novembre e er segretario novo a metà dicembre nun ce famo ‘n cazzo. E’ troppo tardi. Ma poi chi è er cojone che s’affiderebbe a gente che mentre stavi a chiede aiuto s’ammazzava de botte pe’ ridecide le regole de ‘na briscoletta?”

“In effetti ci sono tanti volti, tante querelle, ma poche ricette. Almeno sentir parlare di programmi, di linee guida differenti mi darebbe un respiro. Mi farebbe pensare che il mio partito ha delle idee. Invece stiamo dimostrando di non essere un soggetto politico, di non saper fare politica. Perdiamo di continuo a braccio di ferro con il centro-destra. E ci attacchiamo tra di noi per delle stupidaggini. Siamo sui giornali per pettegolezzi sul congresso, non per manifestare delle nette posizioni politiche di cambiamento”.

“Ce sta Renzi c’ha fiutato la preda e ce sta Franceschini che je l’ha allontanata. Ce sta Bersani che vole raccoje le briciole pe’ pesalle e ce stanno dalemiani e giovani turchi che tireno la coperta pe’ li fronzoli. Se stamo a fa der male. Dicheno che er segretario nun sarà er Premier, ma nun se rendono conto che se nun se cambia la legge elettorale manco er candidato Premier farà er Premier. Se strizzeno l’occhiolino pe’ spartisse le portrone, ma nun fanno i conti co’ l’oste de turno. Enrico Letta. Allora ‘sto partito che ne contiene armeno due, rischia de fa la fine della luna, de mostrà solo ‘na faccia. Quella democristiana. Letta Premier, Renzi segretario e in futuro Renzi segretario e Renzi Premier. A’ briscoletta distrae e come se distrae, qua giocheno ar rialzo sulla pelle nostra. Cuperlo nun ja a po’ fa a diventà segretario, ‘o segheranno. Civati nun c’ha amici. Voi vedé che ripuntano sur fante de coppe, Guglielmino Epifani? Ammazza che tristezza! Me sembrano quei ragazzini che di fronte a ‘n’onda anomala se sfidano a fa’ er castello de sabbia più arto…”
“Tonino neanche con Epifani ce la farebbero!”
“Dipende dalle regole!”.
“Secondo te è più giusto avere delle primarie aperte, chiuse ai tesserati o allargate agli aderenti?”
“Piddì, io penso che i panni sporchi se laveno a casa. Mejo solo i tesserati”.
“Non sono daccordo! Questo significherebbe chiuderci a riccio ancora di più”.
“Er problema è a monte. Pe’ me la tessera deve esse’ gratuita e la devono fa’ solo quelli che davvero je ‘nteressa er progetto. Poi tutti assieme se lavora su un progetto chiaro, definito, e lo se propone ar Paese. Nun me piacciono ‘sti gazebo cotti e magnati. Ando’ se vota pe’ chi luccica mejo. Dimenticandose che se nun lo conosci bene potresti prende la sola. Potrebbe nun esse oro quello che brilla”.

Renzi vuole modificare le regole, vuole le porte aperte a tutti. L’ala sinistra (non propriamente di sinistra) vuole modificare le regole, restringere il campo rispetto alle scorse elezioni. I moderatori, i cervelloni che tratteranno la patata bollente, modificheranno le regole: chi si iscriverà al gazebo, gli aderenti, potranno votare. Ma come si devono iscrivere? Quante volte possono votare? Soprattutto perché dovrebbero farlo?

Mi sento male, sudo freddo. E non è colpa dei 35 gradi estivi.
“Ho la nausea. Non ne posso più. Hai ragione tu, caro Tonino. Non arriveremo al congresso. Non arriveremo in tempo al prossimo appuntamento. Se saremo fortunati avremo uno specchietto per le allodole, ma nulla di più”.
“L’unica cosa giusta l’ha detta a sua insaputa er montiano Barca, che curriculum a parte me sembra più de sinistra de molti altri. Ner Pd bisogna lavorà sulla struttura. C’ha lo scheletro, ma nun c’ha la ciccia. Pe’ arrivà a da’ tutta st’importanza a ‘na persona, a prospettanne n’alternanza, tipo primarie americane: prima bisogna rifonnà er partito. Ma Fabrizietto caro, qua nun serve ‘no snellimento della dirigenza, ‘na gestione manageriale, serve quello che ‘n parte te e Pippo avete iniziato a fa. Serve girà pe’ la gente e serve ‘n manifesto. Nun basteno le tue centinaia de pagine, nun bastano i libricini de Renzi e quelli de Vertroni. Serve un manifesto politico. Tipo quello der Partito Comunista. Chi ce sta, sta dentro, chi nun ce sta, sta fori. Serveno soluzioni. Serve ‘n progetto condiviso co’ chi nun condivide la merda che se semo magnati finora”.

Il vecchio forse ha ragione. Le regole non sono importanti. Allora svuoto il sacco delle speranze che avevo riposto sul congresso. Penso che i tempi delle nostre chiacchierate saranno più corti, legati al governissimo e a qualche processo.
“Tonì, le nostre conversazioni sul Partito… Facciamo una cosa. Diamoci altri tre appuntamenti e poi basta. Riavvolgiamo il nastro e cambiamo discorso”.
“Va bene ragazzì. Io starò sempre qua. Parleremo de politica, de donne e de lavoro, ma lo faremo così. Come ‘n padre co’n fio. A modo nostro, solo pe’ noi”.

Mi alzo e torno a casa con l’amaro in bocca e una lacrima che mi riga il volto. Non è servito a nulla. Farò la fine di Tonino. Non voterò al congresso. Mi riprenderò la mia vita, farò politica fuori dal Pd.

…Seguiranno le ultime tre puntate di “Pd. In fondo a destra”:
Nascita del Pd. Quello che voleva essere;
Cosa è la sinistra. Il Pd che poteva essere;
Morte del Pd. Il Pd. In fondo a destra.

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