Capitolo 5. Primavalle è il nostro villaggio

FOTO DI Alessandro Schiariti

 FOTO DI Alessandro Schiariti

Proseguiamo il pellegrinaggio per quel di Torrevecchia, Siamo a metà della strada. C’è una serranda che non è del tutto abbassata, all’interno del locale si vede ancora luce.

Faz si avvicina e una voce proveniente dall’interno lo fa arrestare:

– Nun te move che c’ho la roba pe’ te, ma me devi fa’ er solito favore.

Faz mi fa cenno di stare in silenzio. Da sotto la serranda si materializzano quattro bustoni che profumano di pane appena sfornato e pizzette. C’è anche un piccolo vassoio.

– Grazie – sussurra Faz prendendo il malloppo.

La voce dall’altra parte, roca per la stanchezza gli ricorda il patto:

-Oh, nun te dimenticà de fa’ er solito giro!

Il Conte ritorna verso di me con il vassoio in una mano e le buste nell’altra:

-Il vassoietto è per noi, ci sono dei cannoli di Primavalle. Sono buonissimi, c’è la cioccolata del Principe, una specie di nutella, bicolore però! – mi spiega soddisfatto offrendomene uno. Poi, con sguardo quasi allarmato mi blocca, come se si fosse ricordato un particolare importantissimo:

– O cazzo, scusa, non sapevano che non fossi solo, me li hanno personalizzati. Si potrebbe trovare dentro uno spicchio d’aglio o del finocchio selvatico.

Gli sono grato di non aver omesso questo particolare. La sola idea di rischiare di mangiare dell’aglio in un cannolo alla cioccolata mi dà il voltastomaco.  A quel punto mi chiedo cosa mai possano contenere le buste.

Il Conte con sguardo serio mi gela: – E’ cocaina!

– Cosa? – gli chiedo con gli occhi sbarrati. 

– Sto scherzando! Cosa credi che mi possa aver dato un fornaio? C’è del pane. Due buste sono per gli albanesi del Gesù Divino Operaio e due sono per una famiglia del Collegino – mi spiega ricominciando la sua marcia notturna. 

La prima tappa è in un palazzo. Il portone d’ingresso è spalancato, siamo al piano terra e un appartamento di una trentina di metri quadrati è adibito a chiesa. Ci sono sedie di plastica e dei tappeti finti persiani. La chiesetta è aperta e quattro ragazzi albanesi hanno pensato di rifugiarcisi la notte.  

Faz gli offre il pane e mi spiega:

– Tutti i giorni le signore anziane puliscono questo posto e ci recitano il rosario. I mariti scendono con le sedie e si mettono seduti sul marciapiede. Sorvegliano la strada. Se sono in vena mettono una sedia vuota al centro e si fanno la partitella a carte. La domenica viene un prete e celebra una messa. Montano degli altoparlanti, si crea la fila fuori. I credenti e i curiosi bloccano tutta via Clodomiro Bonfigli.

Il Collegino, invece, è una struttura storica che dà anche rifugio a soggetti svantaggiati. 

– Qui ci sono dei grandi personaggi: Micco mille lire, Il Tartaglia, Bucetto, Scimmia e anche la famiglia di Rosetta – mi spiega il Conte lanciando un sasso alla finestra. Una finestra col vetro già rotto. Lo guardo stupito, ma lui mi rassicura:

– Ha il doppio vetro, stia tranquillo, è rotto solo sull’esterno. 

Si affaccia una ragazza in vestaglia bianca, ha le lacrime agli occhi e il labbro sanguinante.

– Ancora? – le fa il Conte preoccupato.

– No, per carità. Sono scivolata.

– E Giadina come sta?

– Dorme. Dorme.

– Io a quel pezzo di merda di tuo marito lo scanno!

– Ma che dici? Cosa c’entra, smettila. L’hai portata la busta?

– Sì sì, certo certo.

Gliela lancia. Un braccio robusto con un serpente tatuato prende il bottino. Rosetta scompare e la finestra viene sbattuta con una violenza che fa eco nella valle.

– Tacci sua!- borbotta il Conte. Allora gli chiedo spiegazioni:

– Vi conoscete bene?

– Conosco il marito. Una notte mi voleva dare un passaggio. Mi ha portato al parchetto e si è abbassato i pantaloni. Mi ha preso la testa, faceva forza. Voleva che mi chinassi ma sono riuscito a scappare.

– E lei?

– Andavamo alle medie insieme. Poi mi hanno bocciato, ho rifatto tre volte la prima media. Alla fine ho lasciato.

– E ora lavori?

– Se lavoro? Mi ammazzo di lavoro! Vendo Herbalife, sono un pranoterapeuta, un wedding planner, un muratore. Poi disegno. Disegno fumetti. Ma non sempre. Solo quando voglio.

Poi si volta e mi indica una casa:- Lì abita Guantanamo. Andiamolo a trovare! 

Ricordo di averlo già sentito nominare. 

– Chi è Guantanamo?

– E’  un bravo ragazzo, andiamo!

– Ma sono le due di notte!

Faz sembra non sentirmi, si avvicina ad una costruzione abusiva, con le pareti esterne ancora non intonacate e citofona. 

Sentiamo girare la chiave di un’inferriata. Poi ci viene scaraventato giù un comodino. Lo schiviamo e questo fa la fiancata ad una Ford Fiesta. 

Un gigante, alto due metri, muscoloso, pelato. Pieno di cicatrici e con i denti davanti spezzati si schiarisce la voce roca.

– Aaah sei te! Pensavo eri er cane.

– L’hai chiuso fuori un’altra volta?

– C’ho ‘na tizia, su.

A quel punto sentiamo una richiesta d’aiuto: 

– Basta, fermatelo!!

Sono preoccupato e mi giro verso Faz, pensando che possa fare qualcosa. Invece si limita a chiedere tranquillo:

– Tutto ok su?

– Ma sì… – E poi, rivolto alla donna: – E diglielo che ti piace!

La donna lancia un altro urlo di aiuto ma poi conferma:

– Sì, mi piace!

Il Conte allora si raccomanda: – Rapporti protetti, eh!  – e si gira per ricominciare la passeggiata.

Ci allontaniamo da quest’altra situazione surreale e inizia a raccontare:

– Lui è sieropositivo. Ha una forza sovrumana, però. E’ incredibile, riesce ad alzare una macchina senza fatica. Ha le orecchie tagliate, ci hai fatto caso?

– No, era troppo distante, era buio.

– Sì sì, certo certo. Faceva il pugile, ora fa il buttafuori. L’ho conosciuto al parco.

– Eravate amici d’infanzia?

– No, lui è molto più grande di me. Non li dimostra, ma ha cinquanta anni. Io di sera passavo per il parchetto per tornare a casa. Lui e il fratello stavano sulla panchina a farsi le pere. Poi un giorno l’ho visto solo. Avevo dodici anni e gli chiesi che cosa era successo. Lui mi rispose che era morto il fratello. Lo guardai mentre si bucava. Mi promise che era l’ultima volta. E così fu. E’ però un assatanato di sesso, si è fatto qualche baldracca e si è ammalato anche lui. In giro quando qualcuno lo incrocia cambia strada, a me invece sta simpatico. E’ un bravo ragazzo, sono le persone che frequenta che non sono buone. Lo convincono a delinquere e lui ci casca. E’ un ingenuo.

Svoltiamo a sinistra per via Pietro Bembo.

– Questa è Primavalle! Qui c’è la polizia, lì ci sono dei lotti di case popolari. Da qui si arriva al Break Out, un centro sociale, e in via Pietro Maffi. 

Arriviamo in un giardinetto dove vedo delle scintille, come piccoli fuochi che si alzano e si spengono. Sorrido e penso ad alta voce:

– Ragazzini che si fanno le loro cannette!

– No – mi ammonisce il Conte, – non solo. Quello è il circolo degli Scipioni. 

Ci avviciniamo e scopro che i ragazzi si stanno sì passando un purino d’erba, ma anche che in mezzo a loro ci sono tre candele accese.

Sono seduti per terra e uno di loro ha in mano “I fiori del male”. Legge ad alta voce dei versi e si ferma per commentare:

– Figo eh?

– Ammazza che roba! Che botta. E’ come quando sono a casa, mi sento nello stesso modo. Mi sento soffocare.

– Come lo dice bene. Lui si faceva d’oppio. Secondo voi è per questo?

– Beh, è un bel viaggio!

– Non lo so, non ne sono mica sicuro. Secondo me si faceva d’erba e poi faceva il grande in giro a dire che s’era fatto de roba.

– Perché se uno si fa e lo dice ad alta voce fa bella figura?

– Boh, magari gli artisti sì!

– Guarda Morgan!

– Ma lui è Baudelaire, è vissuto nell’Ottocento, ma che cazzo gliene poteva fotte de fasse la reputazione da fattone, magari nemmeno era ‘na zecca…

Uno di loro si infervora:

– Ma che state a dì! Smettetela di giocare, siamo qui per una cosa seria. Questa roba è viva e non è droga. E’ poesia.

Il Conte si intromette:

-Bella regà! Ho chi fa per voi, Maurice Delemberte!

I ragazzi mi mettono a fuoco:

-A Conte, ma vaffanculo! Delemberte sarà pure morto…

Mi gratto le palle, lo faccio come Antonine, per ventinove volte. Per essere sicuro di averlo fatto bene. Per essere sicuro di averlo fatto un tanto di volte da non essere un numero pari e di non essermi sbagliato nello strofinare bene tutte e due le palle lo stesso numero di volte. Lo faccio pensando ad un numero primo grande e lo faccio chiudendo gli occhi ogni volta che la mano ha compiuto un su toccando i pantaloni e un giù non toccandoli.

Ai ragazzi non sfugge questo rituale:

– Grande! Ma allora sei proprio tu!

Mi stringono la mano, ad uno ad uno. 

– Lei si fa?

– Perché?

– Per capire se è utile per scrivere.

– Non è utile per scrivere.

– Ma come no?

– Cosa è il mondo? E’ qualcosa che non ci piace, ma che calpestiamo. Poi ci sono la televisione, la droga, le illusioni, le ubriacate, il Paradiso, l’inferno, le stronzate. Ecco, la prima domanda è questa: cosa non fa parte di questo mondo? Rispondetemi e presentatevi.

– Ma che stiamo a scuola?

– No, passami il purino, ha un buon odore, l’avete fatta a casa vero? Idroponica riscaldata in pentolino. Non era ancora del tutto matura.

– Sì, avevamo paura che se ne accorgessero… Sa, per la quantità di corrente elettrica che stavamo utilizzando per le lampade. E poi, per tutto il condominio partivano certe svampe! Abbiamo dovuto raccogliere tutto. Ma lei che ne sa? E poi ci ha appena detto…

– Anche io sono stato un coltivatore da condominio e in Svizzera c’è bella roba. Io ho appena detto che non sono cose utili alla scrittura.

Il ragazzo riprende la parola, mettendosi in gioco:

– Sono Pippetta, in questo mondo non c’è l’amore.

– Io sono Giulio, non c’è la libertà.

Allora domando:

– Quando ti sballi c’è amore? C’è libertà?

– Beh, se mi faccio, in qualche modo esercito un mio diritto che il mondo mi nega. Sì, sono libero e sono pure felice.

– Bene Giulio, allora dimmi: cosa è la libertà? E cosa è la felicità? E poi, sono di questo mondo?

– Aspetti un attimo, io sono Ernesto,  la libertà è un venticello sul viso che ti tira via le lacrime, in maniera naturale, come quando vai sul motorino.

– Bene Ernesto, perché usi una metafora? Quando vai sul motorino per andare a scuola sei realmente libero?

– Forte! Non ci sto capendo nulla. Delemberte, scusi, riordini il discorso.

– E chi sono Babbo Natale? Voi mi dite che una cannetta è libertà e felicità. Che sul motorino il vento asciuga le lacrime. Non mi dite però cosa è di questo mondo e cosa non lo è. Ecco, siete qui a girarvi una canna, ma non solo.

– E no, noi siamo gli Scipioni. Io sono l’ideatore, Steno. Noi commentiamo le poesie.

– Appunto. Droga e poesia. Per me la droga è come la tv. La poesia è altro. Torniamo a ciò che è di questo mondo e ciò che non lo è.

Steno: – Gli asini che volano non sono di questo mondo.

– Dici? La poesia non è di questo mondo? E la droga?

– Nemmeno la droga.

– Ok. Allora ti chiedo perché la droga non è di questo mondo e perché la poesia non è di questo mondo?

– Perché la droga ti porta lontano, ti fa provare cose difficili da provare, ti toglie un peso. La poesia invece è roba per pochi e non si usa più, noi siamo dei pazzi.

– Allora sono la stessa cosa?

– No, ma quasi.

– Allora, la libertà, la felicità, l’amore, la droga e la poesia. Credo che la droga sia di questo mondo, che l’amore e la poesia non siano di questo mondo e che la libertà, la libertà c’è se c’è la poesia e se c’è l’amore. Idem per la felicità.

– Ma che vuol dire?

– Ne ho parlato oggi in un pub, anzi lo ha fatto indirettamente mia moglie. Raccontando una storia. Io l’ho sentita e ho cambiato il mio progetto di vita. Ecco, la poesia è altrove, ma esiste. E’ reale. Quando la si incontra ti cambia la vita. Ti fa soffrire, ti fa gioire, ti sviscera, ti carica. E’ altrove, ma c’è. E’ anche in noi, ma non è di questo mondo. La poesia fonda qualcosa. Qualcosa che resta, che conta. E’ come l’amore. Ha un immaginario non scontato. E’ parola. E voi sapete che nessun discorso è uguale, che ogni lingua viva è aperta. Che mai diremo la stessa cosa nello stesso modo, con lo stesso accento, con gli stessi toni, con le stesse espressioni. Non so come si incontri l’amore vero e non so come si incontri la poesia, quel che so è che la nostra sfida è quella di portare ciò che non c’è in questo mondo. Io amo la poesia e amo mia moglie, ma non posso permettermi di goderne come godo della tv, dell’hashish o di una birra. Non è quella la libertà, non è quella la felicità. Scrivere è partorire un figlio adulto. Non potrai godertene l’infanzia, sarà lui, il tuo scritto, a raccontarti la tua. Allora, capite bene, che l’unico modo che abbiamo per partecipare di questa avventura è sopportare il peso della parola. Sceglierla, pronunciarla, leggerla, interpretarla, condividerla, custodirla, affrontarla. Questo lavoro richiede concentrazione, lucidità. Pertanto la droga non aiuta. Sono convinto che poche cose possano salvarci e per averle dobbiamo andare oltre, affrontare un viaggio quasi ultraterreno. Ditemi voi: se dovessimo fare la rivoluzione contro i giganti, vi portereste uno zaino con droga, pettini e dentifricio oppure vi gettereste, metaforicamente parlando, nudi tra le intemperie? Io farei la seconda, per sentire quel vento che ti asciuga le lacrime. E che lo fa a fondo oltre quel tratto di strada percorso da un motorino. Voi avrete sentito dire che la poesia va oltre il poeta. Addirittura pensavate che io fossi morto! E’ proprio così! Scrivere è creare qualcosa di veramente grande. Ma non solo scrivere. La parola è tutto questo. E noi siamo portatori sani di parole, basta volerlo. 

– Ci fa sentire cretini.

– Cretini un corno! Voi non vi state facendo solo le canne, state lavorando la parola. Avete fondato un circolo e credo che questa resterà nei vostri ricordi come una delle esperienze più belle della vostra vita. Con questa misurerete le adolescenze dei vostri figli e loro quelle dei loro nipoti.

Interviene Pippetta:

– Figo, ma lei a quest’ora perché gira per Primavalle? Mi sa che quest’erba mi ha allucinato. Ma lei esiste davvero o è un ologramma di qualche aggeggio del Conte? E poi, Conte, ma perché stai sempre in giro a quest’ora?

E il Conte:

– Pippetta, è un’allucinazione, buonanotte a tutti, noi abbiamo da fare!

Sono le cinque e mi domando cosa caspita dovremo fare ancora?

– Riprendiamo la Torrevecchia. Ti offro un caffè al bar del viandante. Gli altri sono ancora chiusi, aprono alle sei.

Le serrande sono alte, ma la porta è chiusa. Provo ad aprirla, ma sembra bloccata. 

– Tira con forza!

Lo faccio e un rumore incredibile accompagna una linea a semicerchio che si propaga sul pavimento bianco del bar. La porta si apre e con questa si sposta una botte da venti litri che stava dietro la porta. Un bambino rannicchiato su una sedia di paglia apre gli occhi:

– Ciao, ciao. E’ l’antifurto. Due caffè?

Risponde Faz:

– Sì, prendo un tavolino e due sedie, ce li porti fuori.

Apre una porta, recupera l’occorrente, attrezza la tavola e mi fa:

– Ora guardi.

Di fronte a noi, il buio, un cassonetto dell’immondizia e l’aldilà della strada.

Passa una zingara, ha i fianchi larghi, una gonna a fiori e un carrello della spesa. E’ seguita da un volpino. Nel carrello della spesa ha un ombrello. Con questo ferma lo sportello del secchione. Per prima cosa tira fuori della lattuga, la pulisce, dà gli scarti al volpino ed il resto lo mette nel carrello. Recupera della pasta, dei mandarini e del pane secco. Poi con cura tira fuori i sacchi più grandi, li apre, li studia, sottrae da questi le cose migliori: un maglione, dei libri, una lampada. Li richiude e li rimette a posto. Infine infila quasi tutta la testa nel secchione, per cercare gli oggetti isolati. Ha il viso soddisfatto. Gli occhi aperti, svegli, un sorriso accennato, le sopracciglia tirate. Prende in braccio il volpino. Gli dice qualcosa in rumeno, gli indica una direzione precisa all’interno di quell’affare. Lui sa cosa deve fare, lei si allontana di un metro, addrizza il carrello e poco dopo il volpino zompa fuori dal secchione con un carillon in bocca. Tiene uno dei cavalli della giostra tra i denti, lo ha graffiato, ma non lo ha spezzato. Il cane atterra nel carrello, lei osserva l’oggetto, si accorge del graffio e prima dà un piccolo schiaffo sul muso della bestia e poi lo accarezza sopra la testa.

Vediamo scomparire la zingara per via di Torrevecchia, mentre inizia a fare giorno. Lentamente il nero che ha tinto il cemento di vita lascia spazio al sole che per un attimo, nella tonalità rossiccia dell’alba, unisce al cielo tutti i palazzoni che abbiamo davanti. Come se sacro e profano si incontrassero davanti al bar del viandante. Mi accorgo che l’altro lato della strada ha un mondo in sé. Un prato verde pieno di brina e poi centinaia di moduli abitativi con panni stesi e finestrelle.

– Quella è Bastoggi! Ma ora basta, devi riposare ed io devo andare a casa. 

– Ma dove?

– Qui.

Il Conte si rivolge al bambino:

– Le chiavi del camper?

– Stanno là, però segna che le hai prese tu.

Faz prende un blocco dietro alla cassa, scrive il suo nome, poi prende le chiavi e mi fa:

– E’ nostro, è di tutti noi, lo usiamo l’estate. Ci puoi dormire stanotte.

Mi accompagna in un garage vicino al bar e mi mostra il loro VW. E’ color panna con le rifiniture celesti, ha la moquette rossa all’interno e c’è un letto pronto con le lenzuola profumate. 

– Buonanotte, faccia il bravo, Delemberte.

– Buonanotte Conte, a domani!

Chiudo il garage, spengo la luce e mi accomodo nel VW. Penso che domani è già oggi eppure è un altro giorno. Penso che è meglio dormire e sperare di svegliarsi. Penso alla nottata in giro e penso a Magdaleine. 

FOTO DI Alessandro Schiariti

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