Capitolo 6. Ceci n’est pas une pipe: la Peroni del muratore è diversa”

FOTO DI ALESSANDRO SCHIARITI

FOTO DI ALESSANDRO SCHIARITI

“Una mattina mi son svegliato…”. Cazzo, è la mia solita sveglia che mi dà il buongiorno. Apro gli occhi e da qualche spiffero filtra la luce. Sono le sette, dovrei essere in viaggio per Lugano, incontrare il mio datore di lavoro e rassicurarlo presentandogli tutti i contratti stipulati a Roma. Invece mi sono svegliato in un pulmino. Ho dormito vestito. Mi stropiccio gli occhi e poi scorgo una macchinetta del caffè. Non me l’aspettavo, è proprio quello che ci vuole.

La carico, la accendo e aspetto che la puzza di garage lasci il posto all’aroma del buongiorno. Me ne sparo una tazza intera, una tazza di coccio con una falce e martello disegnata con l’Uni Posca. Poi esco, lascio le chiavi al bar e mi incammino. Il paesaggio è cambiato, la notte ha portato via la pace, c’è il traffico, c’è la gente che monta le bancarelle sui marciapiedi. I cassonetti sono stati svuotati, i ragazzi sono in fila alla fermata dell’autobus con gli zaini sulle spalle. I rom hanno chitarre, pianole e violini sui carrelli. Anche per loro si aprono le porte di una giornata di lavoro. Arrivo al pub di legno, quel pub che per me oramai sa di un buco nero, di un tunnel verso un altro mondo. La serranda è aperta a metà. Mi abbasso, spingo la porta ed entro. C’è una lavagna appoggiata al bancone, e ci sono venti persone sedute, ordinate, in silenzio. 

Appena si accorge di me, Noè si alza e viene verso di me. Mi stava aspettando.

– Buongiorno Delemberte, oggi inizia la nostra avventura!

Ho bisogno di una birra per reggere il colpo di quello che mi sta succedendo. Mi giro verso il cameriere rapper:

– Chiama il tuo fornitore e fatti portate della Wellington, nel frattempo dammi la scura di ieri!

Poi mi rivolgo ai venti:

– Ditemi quanti giorni abbiamo e… preparatevi a degustare qualcosa di buono.

E’ Totonno a prendere la parola: 

– Abbiamo sì e no tre settimane alle elezioni.

– Ok, prima di parlare degli avversari e di metterci sotto a raccogliere le firme per un nuovo partito, facciamoci una chiacchierata. Quanti siete in questo quartiere?

– Saremo 60.000 solo de Primavalle.

– Bene, cosa avete in comune?

– Cosa vuol dire?

– Cosa avete in comune voi primavallini?

– Beh, il posto dove abitiamo.

– Poi?

– Non lo so… niente.

– Quanti avvocati ci sono da queste parti?

– Una ventina.

– Quanti dottori?

– Un centinaio.

– Quanti laureati?

– Un par de mille

– Quanti disoccupati?

– Trentamila.

– Quanti studenti?

– Diecimila.

– Quanti migranti?

– Cinquemila.

– Quanti innamorati?

– Cinquantamila.

– Quanti hanno una casa di proprietà?

– Ventimila.

– Quanti bevono?

– Quarantamila.

– Ok. Noè, tu cosa fai nella vita?

– Ehm, è difficile dirlo, Signor Delemberte.

– Riformulo la domanda: cosa vuoi fare nella vita?

– Quando?

– Ora, subito, qui!

– Voglio fare un progetto con lei.

– Bene, il nostro bene comune sarà il nostro progetto. Ma ti ho chiesto cosa vuoi fare ora, subito, nella tua vita?

– E lei, Signor Delemberte, cosa vuole?

– Dalla vita, ora, voglio tutto e lo voglio subito. Tu, ragazzino, cosa vorresti avere se fossi lo sceriffo, come lo chiamate voi, di Primavalle?

– Un campo da calcio.

– Avremo il campo da calcio. Lo faremo prima ancora di vincere le elezioni.

– E tu, Amadou?

– Vorrei che mia figlia acquisisse la cittadinanza italiana, vorrei farla andare all’asilo nido.

– Poi, poi, poi, chiedete di più! Stiamo parlando della vita, caspita!

– Vorrei una casa.

– Vorrei un lavoro.

Mi bevo d’un sorso la birra e chiedo al cameriere di portarci una birra chiara. Me la porta, alzo il bicchiere, lo osservo.

– La vedete questa? Questa è la risposta che mi avete dato. E’ un timido inizio. Un niente di che. Vi immaginate Cristo la sera dell’ultima cena a condividere birra chiara con i suoi amici? Ma che figura avrebbe fatto? Eppure quanti di voi bevono birra chiara? Semplice birra chiara. Fregandosene di che tipo di birra chiara stanno bevendo. E poi come la bevete? La bevete come io ho bevuto quella scura poco fa. Fregandovene dei vostri gusti, del vostro tempo. Del vostro piacere. Volevo una Wellington, mi sono accontentato. La vita invece è un piacere. E’ prima di tutto un piacere. Allora vi domando: perché volete fare politica?

– Perché ci siamo rotti de ‘sta gentaccia!

– Come ti chiami tu? Ieri non c’eri!

– So’ Nenè, un muratore, e bevo birra chiara.

– Perché bevi birra chiara?

– Perché mi ricorda la pausa pranzo. Una rosetta spaccata in due co’n mezzo du’ etti de mortazza e ‘na fetta de caciotta. Un Peroncino e vai!

– Ah, ah… Errore! Tu non bevevi una birra chiara, ma un Peroncino. Non che io ami il Peroncino, ma il tuo è particolare. E’ una tradizione che sa di riposo dal lavoro. Di premio, di stacco, di sacrificio. L’avete mai visto il quadro di Van Gogh, quello in cui due persone si riposano in un campo di grano? Ecco, il tuo cantiere era il campo di grano, la tua Peroni sono i loro piedi nudi, liberi dalle scarpe con cui hanno faticato. 

Sorseggio la birra:

– E tu? Sei l’unica donna, cosa vuoi dalla vita?

– Voglio che mia nipote possa essere diversa da me. Io non so parlare, non ho studiato, non ho viaggiato. Strillo, dico le parolacce, sono pazza.

– Pazza?

– Sì, sono stata in manicomio, al Santa Maria della Pietà.

Mi rivolgo al cameriere:

– Porta del vino a me e alla signora e presentacelo, avrai fatto un corso da sommelier?

– No, Signor Delemberte.

– Bravo, mi stai simpatico.

– Questo è un bianco del contadino che sta ai Poderi di Torrevecchia, è nostro, è il vino della casa. Qualcosa di molto simile alla classica birra chiara, almeno per i miei clienti.

– Spiegati meglio…

– Ecco, quando qualcuno viene qui lo fa perché si fida, non è come se andasse in un pub al centro. Io sinceramente di birre non ci capisco molto e nessuno si era mai lamentato prima di lei. Ma di vino sì. Mio nonno era calabrese ed io andavo con lui a fare il vino. A pranzo le persone che lavorano da queste parti si fanno un primo e mi chiedono un bicchiere della casa, il prezzo è fisso: 5 euro. Non posso dargli un Casale del Giglio, ma nemmeno il Tavernello. Allora ho scelto questo, non è male.

Lo assaggio:

– Voi sapevate che è un vino primavallino?

In sala sono tutti meravigliati.

Chiedo loro di berlo e di gustarlo pensando a questa sua origine. Sono tutti soddisfatti, come se bevessero linfa rigenerante. Tutti assumono una postura più diritta, hanno il petto in fuori e gli occhi pieni di orgoglio.

– Bravo rapper, sei riuscito a viseificare un vino della casa. Come il Peroncino per il nostro amico muratore.

Finiamo con un whisky. 

– Portaci un Lagavulin, un goccio però. Abbiamo ancora tanto da fare.

Invito gli amici a non prendere in mano il bicchiere, a non strafogarsi nell’ingoiare quella lacrima di distillato.

– Parliamo di povertà e ricchezza. Quanti poveri ci sono a Primavalle?

– Cinquantamila.

– Quanti ricchi?

– Dai mille ai cinquemila.

– Ok, abbiamo trovato qualcosa di realmente comune. Ma. C’è un ma. Cosa avete nel vostro bicchiere? 

Nené mi risponde: – Quello che c’ha Amadou.

Amadou ha il bicchiere vuoto dall’inizio, è musulmano, non assume alcolici.

– Perché? Amadou non ha niente? Amadou è con noi, ha un bicchiere come tutti noi, partecipa dei nostri discorsi, si sta facendo delle idee. Ha iniziato un viaggio partendo dai nostri liquidi. E forse qualcosa quel bicchiere vuoto lo potrà pure significare. Amadou ci sta dando qualcosa. La sua scelta di non bere. Di degustare il suo niente con noi. Di poetarlo assieme, allegramente. Ma torniamo al nostro bicchiere quasi vuoto. Alla nostra povertà – dico rivolgendomi a tutto il gruppo.

– Intanto diciamo che un bicchiere pieno sarebbe una ricchezza per Nené. E allora vi faccio notare che se raccogliessimo tutto il nostro whisky, siamo ventuno, in un bicchiere, lo riempiremmo. Avremmo davanti una ricchezza. Ma non basta avere tanto danaro, avere tanto whisky. La ricchezza non è solo materiale. Guardate il colore del whisky. Pensate a qualcosa che sappia di quel colore. Un maglione, una parete, una corteccia, un paesaggio. Qualcosa che fa parte della vostra esperienza. Se la raccontaste, se ascoltaste i racconti altrui, sommereste delle esperienze. Ora odoratelo. Questo odore è dovuto alla lavorazione del grano. Alla torba, alle zolle di terra bruciate per asciugarlo prima del processo di distillazione. E’ il primo vero contatto con un posto altro, con un luogo che ha a che fare con il whisky e che non è ancora nostro. Piano piano lo facciamo nostro, sommando i nostri pensieri al suo odore. Questa lacrima di Lagavulin si sta facendo pesante. E poi lo beviamo, ci mettiamo tutto questo insieme dentro, lo facciamo scorrere sulla lingua, ne sentiamo il calore. E lo sentiamo risalire. Non è andato via. Resta nel tempo. Attenzione, ha altri sapori, dipendono dalla botte che lo ha contenuto. Ora, Nené, ti faccio una domanda: meglio una moneta d’oro o una dorata?

– Una moneta d’oro!

– Nel whisky non è così.

Mi rivolgo allo zingaro:

– Al campo vi fate il caffè?

– Sì, certo.

– Avete una macchinetta buona?

– Sì, una Bialetti.

– L’avete comprata o l’avete trovata?

– L’abbiamo presa nella spazzatura.

– Nené, tu sai che nei negozi ci sono tante macchinette del caffè, ma che se le usi per il primo caffè non daranno il meglio. E’ possibile dunque che la macchinetta funzionante e già usata del nostro amico rom faccia dei caffè migliori di quelle nuove del negozio. Per il whisky è tutto più evidente. Un bicchiere di whisky classico non vale una lacrima di whisky invecchiato in botti di porto. Una moneta dorata può contenere del platino. Ci sono whisky che hanno in sé il sapore di centinaia di annate di vini pregiati. Purtroppo noi la rivoluzione non la possiamo fare davanti ad un bicchiere, ma cazzo, qualcosa da aggiungere alla tristezza che ci veste fuori ce l’abbiamo, no? Qualcosa dentro da mettere in comune ce l’abbiamo, no?

Noè si alza e va alla lavagna:

– Sono le dieci, sua moglie arriverà alle 13.00. Cosa facciamo?

Scrive sulla lavagna “10.00: raccolta firme”, sotto “13.00: Magdaleine” e poi “14.00-15.00: Bastoggi”.

– Alle 14.00 andiamo a mangiare tutti da Amadou, per le 15.00 Totonno dovrebbe aver liberato la portineria del suo condominio. Avrà una stanzetta per la sua famigliola, Delemberte.

Volevo ringraziarli per il disturbo e annullare l’impegno di Totonno, volevo prenotare un albergo, ma non ce l’ho fatta, erano così determinati.

– Grazie, ora andiamo a raccogliere un po’ di firme.

P.S. 

A Stefano, una persona buona, uno del quartiere, che non c’è più.

P.P.S.

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