Capitolo 7. I Griot di Borromeo: “Basta ‘na firma, che ce vo’?”

Abbiamo un megafono, uno sgabello, un tavolino del pub, una penna e un blocco di schede ritirate in Municipio dal buon Noè. Siamo di fronte alle Poste di Via Federico Borromeo. Qui vicino ci sono una Biblioteca, una scuola, un piccolo teatro, la Asl, un mercato della frutta. Sulle pareti la scritta “Walter vive!”. La strada è fiancheggiata da alberi in fiore e sul lato opposto all’ufficio postale c’è una schiera di case popolari colorate di giallo canarino.

Prendo il megafono mentre i miei nuovi amici danno il via all’opera di convincimento.
Loro usano le loro parole:
– Riprendiamoci il quartiere! Finalmente una persona per bene ci ascolta! Ce la possiamo fare! Daje, daje, te stò a chiede’ ‘na firma mica ‘na sigaretta! Ah Signò’ sveglia!
Io penso al mito che si fa coraggio, al poeta che prende un rotolo di scottex lungo un chilometro, lo infila nella canna della macchina da scrivere. Si accende una sigaretta dopo l’altra ed inizia a comporre sulla tazza del cesso, sperando di non interrompere mai il suo flusso creativo:
– Il linguaggio. Iniziamo tutto da qui. Tu che cammini, dove vai? Girati, voltati, ascoltami, parlami.
Si gira un signore che porta a spasso un cagnolino.
– Buongiorno!
– Ma che cazzo voi?
– Il linguaggio. Iniziamo tutto da qui. Io voglio tutto e lo voglio subito.
– Ma da ‘ndo cazzo vieni? Ah scemo!
– Se vuole le mostro la carta di identità, ma non è corretta. E’ un foglio che traduce me stesso. Sono parole finite. Invece io sono qui, fermo, che apro un discorso.
– Mo’ lo sento ‘sto discorso del cazzo. Dimme: che voi?
– Voglio un mondo dove si parli, dove se incontri qualcuno per strada e lo saluti questo non si spaventi, voglio che ci rendiamo conto che in una città abbiamo una sola grande fortuna, quella di essere in tanti. In campagna c’è la natura, ma in città c’è l’uomo. Suo figlio il pomeriggio se ne va nei centri commerciali, guarda le vetrine, racimola due euro per farsi un pezzo di pizza, passa le ore in un non luogo. Senza dire niente di importante. Alla sua età lei viveva, perché oggi suo figlio non può vivere? Lei passeggia col suo cagnolino, le roderà il culo per qualche motivo, magari vorrebbe essere a Sharm, oppure ancora nel letto, o magari invece vorrebbe essere al lavoro. Non si capisce. Questo è drammatico. A Primavalle le persone non chiedono niente. Chiedono di vivere normalmente. Ma non lo fanno. Non siamo a Roma, siamo a casa. Potrei prometterle di eliminare l’Imu, di abbassare le tasse, di costruire una funivia che colleghi la stazione del trenino a quella della metropolitana. Ma non è così che si costruisce un mondo migliore. C’è qualcosa di magico in questo posto: c’è la gente. Gente incredibile che non è mai stata su una prima pagina di giornale, se non per qualche reato. C’è chi magari sogna di andare a “Uomini e donne”, ma in realtà ha un mondo dietro che andrebbe tramandato. C’è chi si è convinto di essere inferiore, ma ha vissuto gli anni settanta da protagonista. C’è chi la politica l’ha fatta e c’è chi per mandare avanti baracca e burattini si è svegliato sempre alle sei di mattina. C’è chi si arrangia e ne ha costruito un’arte, c’è chi primavallino lo è sempre stato e chi lo è diventato. Ci sono tanti stranieri e tutti provenienti da paesi diversi. Ci sono uomini e donne della notte e uomini e donne della mattina al bar, c’è chi è deluso e c’è però chi ha ancora dei sogni. Ne sono sicuro. Io dico questo: ci dobbiamo provare un’ultima volta. Se andrà male, non sarà successo niente, continueremo il nostro declino, ma se va bene… Se va bene, allora ci divertiremo un mondo. Io non sono una persona per bene, sono un poeta qualunque. Non voglio essere sindaco di questo posto e fino a poco fa non conoscevo il vostro mondo, ma oramai ci sono dentro. Cittadini indefiniti mi hanno rapito, mi hanno detto attingi a questo immaginario e non scrivere. Come? Un poeta che non scrive? E’ qui che entra la politica, la politica è di tutti, ma c’è una questione di linguaggio. Per dirla in modo comprensibile, lei ha i suoi cazzi, io i miei, potremmo aspettare che qualcuno ci faccia delle proposte e fidarci di quelle più convenienti. Continueremmo ad essere morti. Potrei scrivere la mia poesia su Primavalle, buttare giù un programma elettorale e sottopormi alle prossime elezioni. In fondo questa è la democrazia, vero? Vero un cazzo! I tuoi concittadini mi hanno chiesto, certo non esplicitamente, ma con i loro volti, con i loro abbracci, con i loro gesti, di attingere al loro mondo, di farne parte e di aiutarli ad usare la parola. Anzi, le loro parole. Perché sanno di poter dire qualcosa. Qualcosa di fecondo. Io sono lo specchio. Non sono un incantatore di serpenti. Mi vedi brutto, allora mandami a fare in culo, però dovrai farlo e lo dovrai fare con le parole giuste. In un modo costruttivo. Ho l’incarico di connettere delle persone, di individuare il bene comune. Le dirò di più: non voglio solo tutto e subito, lo vorrei per sempre. Per questo vorrei essere un manovale che ogni tanto si siede e si riposa. Vorrei un’alternanza di idee, vorrei un luogo dove potermi relazionare liberamente. Vorrei essere primavallino anch’io.
– A bello, il Sert sta a Via Da Vinci! Però sai che te dico, ‘sta firma te la metto.
E dietro di lui vedo altri passanti che si erano man mano fermati ad ascoltare e che, tra uno sguardo perplesso e un mezzo sorriso, si avvicinano al banchetto per lasciare la loro firma.
La voce di una signora che litiga con la figlia mi distoglie per un attimo dal banchetto e la piccola folla che vi si è raccolta intorno.
– A disgraziata! Come t’ho messa ar monno te ce tolgo!
– Signora, signora! Tanta poesia per tanta violenza!
La signora arrossisce mentre la figlia scoppia a ridere.
– Ma chi te c’ha mannato?
– Le va di dirmi cosa la fa agitare tanto?
– Ho incassato quattro soldi e subito lei a chiedeme du’ spicci, se vole fa’ le scarpe nove.
– In che mondo l’ha messa sua figlia? E da quale mondo la toglie? Potrebbe avere ragione, ha usato immagini toccanti, ma è caduta nel linguaggio. Allora mi risponda: quando è nata sua figlia cosa c’era a Primavalle?
– C’era lo schifo!
– Ed ora?
– C’è ancora lo schifo! – esclama la ragazza.
La signora si arrabbia di nuovo: – E no, adesso non è come prima! Prima giravamo per strada in vestaglia, nessuno aveva i soldi per farsi la macchina, molte strade erano di terra battuta. La gente si bucava, c’era un furto dietro l’altro.
Riprendo il discorso in quel momento: – Lei ha messo sua figlia in un mondo che non le piaceva e adesso ce la toglie, se vuole. Ma lei può davvero togliere sua figlia da questo mondo?
– Sì, m’ammazza de botte! – risponde la figlia.
– Una volta si faceva così, si pensava che fosse l’unico modo per avere dei figli migliori degli altri. Migliori di sé stessi. Si pensava che crescere un figlio fosse la cosa più difficile, perché se cresceva bene in casa, fuori non avrebbe avuto problemi. E’ un errore, ci siamo chiusi tutti nelle nostre case, non accorgendoci che necessitavamo di uno spazio più grande, di una città, di una casa comune. Ora tua madre non sa come fare e tu, che cerchi di sfuggirle, sai dove andare? In quale mondo vuoi andare?
– Vole sembra’ ricca, la bella! – risponde la madre al suo posto.
– Assodato, signora, che lei non ha modo di togliere da questo mondo schifoso sua figlia, che la sua espressione di rimprovero può essere letta come espressione violenta: “t’ammazzo di botte”, ma anche come espressione salvifica-apocalittica: “ti ho messo nel casino, ora ti ci tolgo”, io leggo sul suo volto che non ha voglia di menare sua figlia e che non ha la forza di proteggerla da questo circo. Qualcosa però nelle vostre espressioni mi fa vedere che è come se vi teneste per mano.
Con tempismo svizzero Nené porta la scheda e strappa allora due firme.
Un’ora: cento sostenitori.
Allora invito il mio staff a prendere il megafono e a raccontare le loro storie più belle legate al quartiere. Storie personali. Familiari.
Inizia la donna che si dice pazza: – Quando uscivo, la domenica, mio padre mi portava qui. Ve lo ricordate il mercatino dei russi? Dall’altra parte c’erano solo russi.
– Avoja! Chi sa che fine hanno fatto? – rispondono di rimando due passanti incuriositi dalla situazione.
-Stavano tutti seduti per terra, avevano dei fazzoletti di seta e ci mettevano i loro marchingegni. Non era come ora, che tra cinesi e Apple la tecnologia ci esce dalle orecchie. Quelli erano prodotti diversi. Avevano i carillon, le matrioske, ma anche gli orologi da taschino, gli occhiali da intellettuale, con una sola stecca, i binocoli.
Nené si entusiasma al ricordo di quel mercatino : – Io m’ero preso un cannocchiale, poi andavo al Parco di Monte Mario e me mettevo a vede’ la partita della Magica, l’Olimpico allora sì ch’era ‘no stadio, era tutto aperto.
Poi, impadronendosi del megafono, continua:
– Primavalle è romanista, nun ce so’ dubbi. Qua dietro c’era ‘na baracca, io e mi’ cugino legammo le lenzuola de mi’ madre, de mi’ zia e de mi’ nonna. Era il mio primo striscione. Avevamo una bomboletta da carrozziere nera e due grafie da gallina. Volevamo scrive’ qualcosa de’ unico, ma non ce veniva niente. Magica, mitica, unica, sola, magnifica. Poi capimmo che a fa’ la storia non era lei, ‘sta volta, eravamo noi. Allora scrivemmo “Ultras Primavalle”. ‘Na vorta asciutto ce lo caricammo sulle biciclette e tra il primo e il secondo tempo de quel Roma-Pisa tirammo fuori il nostro lavoro. In curva se misero a ridere, poi partita dopo partita ci conobbero e ci lasciarono ‘na parte degli spalti. La più bella, la nostra.
Mi accorgo che il gioco funziona, i racconti prendono piede, il pubblico si allarga, tanto che qualcuno butta un cappelletto a terra per farsi lasciare qualche quattrino. Vengono invitati anche i passanti a raccontare le loro storie e finisce che, essendo coinvolti, si sentano importanti, decidano di firmare e chiedano persino di avere più spesso iniziative come questa.
Alle 12.00 abbiamo trecento firme. Nel pomeriggio ci saranno due banchetti distinti, uno davanti alla chiesa, l’altro all’ingresso del centro commerciale. Di questo passo in quattro giorni avremo tutte le firme necessarie per formalizzare la nostra candidatura.

Foto di Alessandro Schiariti

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