Capitolo 18. La poesia contro l’economia del professor Gianluca Delio Maria De Monte Cucuzza già De Monte Cagazza

Quel che incarna il Presidente uscente del Municipio è l’immagine del politico di professione. Già Dc, poi centrista alleato della destra, ora destra e basta. Un mestierante che non ha fatto carriera.

Per lui le porte del Parlamento, della Regione, della Provincia e del Comune non si sono mai aperte eppure è lì, attaccato alla sua poltrona. E’ in giunta municipale da venticinque anni. E’ stato eletto Presidente due volte e ora ci riprova. Ha dalla sua un partito forte, legato ad un leader nazionale che può utilizzare la televisione, i giornali e le sue aziende per fare propaganda. La tecnica per accaparrarsi l’elezione è sempre la stessa: una decina di cenoni dove invita possibili elettori selezionati. Un antipasto di mare e uno di montagna, tonnarelli allo scoglio, risotto alla crema di scampi, fettuccine funghi e tartufo, un astice, sorbetto al limone per rilassare il palato e poi si riparte. Tagliata di manzo, patate arrosto, insalata, fino ai dolci misti. Spumante, discorso e taglio della torta. E’ qui, al momento dei saluti, che con l’aiuto della sua truppa dispensa baci della morte. Me lo spiega bene Gino, a metà tra il compiaciuto e l’imbarazzato:

– Io ce so’ annato a ‘ste cenette, ‘o devo ammette! Me so’ portato pure quarche amico. Eravamo convinti d’anna’ a magna’ a scrocco, ‘nvece ce s’è tutto rimposto. Magni da dio, ma poi arriva sempre quarcuno che te dice d’anna’ a saluta’ er professore. E, o ce vai o t’enventi ‘na scusa, er voto, ‘na promessa o er numero de telefono to ‘o battono sempre. Ner senso che t’abbindolano, te promettono ‘n lavoro, na sistemazione, ‘n po’ d’attenzione, ma in cambio te chiedono la vita. Dai dieci ai cinquanta voti. Te je dici de sì. Che ponno sta’ tranquilli, ma loro cor cazzo che stanno tranquilli. Te tampinano. Te chiedono de rendicontaje come va la campagna de plagio verso i tuoi familiari. E nun finisce qui. Te chiedono d’anna’ a attacca’ i manifesti e infine de portaje le prove che l’hai votato, che hai votato quer cojone e che l’hai fatto vota’. Te chiedono in quali seggi hai recuperato i voti, do’ abitano ste persone, e ‘nfine de portaje le foto. Cioè io pe’ loro devo fotografamme dentro ar seggio e nun solo fa’ la figura de merda de convince quarcun artro a famme er favore, ma pure de fotografasse mentre votano e de portamme la foto. Ovviamente j’ho sempre dato ‘n culo e loro lì, pronti a richiamamme. M’hanno detto che me facevano passa’ li guai, che nun me facevano lavora’… sai che novità! M’hanno detto che so ‘n disgraziato, hanno scoperto l’acqua carda! Capirai che cazzo me ne pò frega’! Pe’ fortuna che c’hanno la memoria corta, che dopo due anni se dimenticano e io ogni tanto ce rivado. Ma so’ sempre più furbi de me, avoja a daje numeri de telefono farsi, nomi e cognomi de quarcun artro, me rintracciano sempre e sempre là a cagamme er cazzo. Ce vado perché ‘nfondo so’ pochi li piaceri della vita e questi, quelle vorte, te li fanno senti’ tutti. A ‘sti locali se magna, se beve, c’è fregna, se dicono cazzate e se ne sentono. Poi ‘o devo ammette, er professore ta’a racconta proprio bene. A senti’ lui Primavalle ta’a trasforma in Londra in du’ settimane. Quanno parla stai là che pendi dalle sue labbra, che te convinci che pure te poi diventa’ ricco, basta volello. Che in novanta giorni te crea dumila posti de lavoro. Poi strigne l’occhiolino a chi je domanda se farà quarche condono. E se je dicono “ma perché stamo messi così male se lei ce dice che è così facile de sta’ bene?”, lui je risponne che è tutta corpa delli stranieri, delli zingari zozzoni che ce rubano er lavoro, che basta caccialli pe’ svorta’, per riprende la produzione. E si je chiedi perché nun è riuscito a fa ‘na mazza in tutto ‘sto periodo, lui mica dice che ha sbajato da quarche parte, no, lui è proprio ‘n fio de ‘na mignotta, te dice ch’è stata corpa dell’opposizione. Che je rompeva er cazzo, che l’ostruiva. Dice che è corpa pure nostra, che semo provinciali, che semo finti poveracci. Dice che semo psico…non lo so cosa! ‘Nsomma se semo fatti ‘n problema ‘n testa, se semo convinti de n’avecce ‘na lira. E si nun spendemo, come cazzo gira l’economia? Fino a quando ero ragazzo era impensabile uno così a fa’ er Presidente, uno de destra, capisci? Poi c’hanno addorcito la pillola, c’hanno detto che nun era proprio de destra destra, che era un professore d’economia. Uno de ‘n partito fatto da ‘n imprenditore. Che conosceva er modo de traforma’ i buffi in investimenti. Che era un ex-dc, ma che ar giorno d’oggi nun vor di’ niente. Che nun era un fascistello de Monte Mario, ma uno svejo, uno a modo. Insomma che se poteva chiude ‘n occhio. E così ‘st’occhio l’avemo chiuso, ma lui ‘o sai che ha fatto? C’ha sputato in quello ch’avemo lasciato aperto. S’è fatto li cazzi sua e noi là sempre più cojoni, sempre pronti a risentillo. Qua ‘a politica ce piace, ma nessuno s’è mai sentito degno de presentasse alle elezioni. Ce spaventano ‘sti stronzi e, se prima li combattevamo, mo non lo so, s’è come creato un complesso. C’avemo paura e è un po’ come con Cristo, tutti sappiamo che nun c’aiuta, ma non lo diciamo. Lo rispettiamo perché è più grande di noi. ‘Na bestemmia ogni tanto te scappa, ma a prendesela de brutto contro de lui mai e non perché è buono, che in fondo mica gliel’abbiamo chiesto noi de fasse ammazza’. Non ce la prendemo con lui perché c’abbiamo paura che ce se mette contro. Ecco, er professore è sempre eletto perché c’abbiamo paura a mandallo a casa. C’abbiamo paura che se nessuno lo vota ce possa succede quarcosa de peggio.

Foto di Alessandro Schiariti

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Oramai le sfide tra duellanti mi hanno appassionato, cerco in ogni modo il confronto con il professore, ma agli inviti della nostra radio e a quelli presentatici dal tg regionale, il mio contendente ha preferito non rispondere. Dice che i sondaggi lo danno in grande vantaggio e che non ha intenzione di misurarsi con uno come me, un uomo prestato alla politica che non ha nulla da perdere e che ha solo intenzione di offenderlo. Da una parte si mostra superiore, dall’altra forse ha paura. C’è un paradosso: nell’immaginario primavallino lui ha il dono della parola, lui sa parlare alle persone, lui è un uomo di cultura, un professore e io no. Se c’è una cosa che mi fa incazzare è essere frainteso in questo modo. Essere toccato nel mio campo.

Trovo l’occasione di parlarne in un comizio per gli studenti del liceo classico che anche lui, come la Sorca, vuole chiudere.

–  C’è qualcuno che fa il professore, – spiego – insegna Economia ed è preside di un Istituto Tecnico Industriale e  per tutti, a Primavalle, è un uomo di cultura perché ha un ottimo stipendio, si veste bene e parla un italiano corretto. Beh, per me non è più uomo di cultura dei vostri genitori. Non ha il dono della parola più dei vostri genitori. Soprattutto, non è nient’altro per voi che il vostro assassino. Vuole togliervi il riconoscimento di quello che state facendo. Degli studi che avete iniziato. Vuole chiudere questo liceo perché poco produttivo. Ma produttivo di cosa? E’ questo l’insegnamento che dà dell’economia? Meno persone iscritte al liceo significa meno futuro per questo quartiere. Non significa perdere del denaro. La soluzione non è chiudere degli istituti, ma incentivare i ragazzi a frequentarli. Non ho niente contro gli istituti tecnici o professionali, ma amo i licei. Li amo perché allungano la vita degli uomini. Non sono parcheggi come certe università, sono spazi dove si iniziano ad annusare i libri. Ci si fa a botte, li si tirano per terra, li si scarabocchia, li si contesta, non li si impara a memoria, li si analizza, li si sintetizza, li si dimentica, li si ricorda. Al liceo si fa l’amore con l’immaginazione, si costruiscono micromondi, microcomunità. Ci si sperimenta come adolescenti, come ribelli, come persone. Il fine non è terminare la scuola e andare a lavorare, ma apprendere. Conoscere per capire come va quello che abbiamo attorno. Alla fine non si capisce niente, ma si è iniziato a conoscere sé stessi. Il liceo è quel che resta della scuola superiore in Italia e nel mondo. Le altre scuole sono utili solo se vissute come dei licei.

I ragazzi sono presi dalle mie parole, affascinati ma anche spaventati. 

– Saremo disoccupati? – mi chiedono.

– Cosa ve ne importa? Avete quindici anni.

– Ma a cosa serve studiare Manzoni?

– A niente.

– E la matematica?

– A niente.

– Allora cosa studiamo a fare?

– Lo studio serve a saper poetare il niente, oppure non è studio.

– Cosa ci sta dicendo?

– Vi sto dicendo che lo studio serve a dare un senso alla vita, non a trovare un lavoro. Si può studiare l’arte come un testo di elettronica, si può studiare la letteratura afghana come la cucina tradizionale veneta, l’importante è perché lo si fa.

– Ma perché ci mettono dei voti?

– Perché avete degli insegnanti.

– Degli insegnanti che ci bocciano…

– Sbagliano. Sono esseri umani. Ma ricordate che il loro voto è solo il loro voto, non un voto universale. Voi non dovete studiare per loro, ma per voi.

– Sì, vabbè… ce la sta a racconta’!

– Prendete una fotografia, una bella fotografia, che ne so, una fotografia dei grattacieli di New York… 

– Come questa! – dice una ragazza mostrando una cartolina tirata fuori dal suo diario

– Brava! Bene, a me quella fotografia fa schifo!

Tutti ridono, lei abbassa lo sguardo imbarazzata, io riprendo il discorso:

– A me fa schifo perché non conosco la storia di quella fotografia, perché non mi appartiene. Tu  invece la apprezzi perché la colleghi a qualcosa che ti riguarda. Ti ricorderà sicuramente chi te l’ha inviata. Quella foto contiene qualcosa di particolare per te. Ecco, quel particolare, per me finora ignoto, ora mi incuriosisce.

La gira, intravedo delle scritte e un cuore.

– Ok, ora ho capito. L’ho studiata. Ora anche io ho dato un senso a quella fotografia. 

– Ma lei ci sta dicendo che quella fotografia ha un senso non perché è ben fatta, ma perché contiene una lettera d’amore.

– Sì, e lo stesso è per un compito in classe di greco. Una versione andata male.

– Cosa intende?

– Magari non hai studiato perché il giorno prima sei andata ad un concerto. Allora quel compito di greco diviene il compito di greco più il concerto, ovvero la scelta di preferire una cosa all’altra oppure di non preferirla, ma di sacrificarne una per l’altra. E’ anche la tua presa di responsabilità di fronte a un insuccesso e l’impegno per recuperare alla prossima occasione. E’ la professoressa che si dimostra limitata nel valutarti e tu che comprendi i suoi limiti e le dai ragione pur se non ce l’ha. Tu che dividi con lei la rabbia per il brutto voto, ma al contempo custodisci solo per te e per i tuoi amici la gioia del concerto. In qualche modo qualcosa di quella versione ti resterà. Qualcosa di importante. E’ la magia dello studio.

– Scusi lei dice che lo studio serve a dare un senso alla vita, ma poi ci dice che un compito andato male ci lascia qualcosa che ci resterà. Come?

– Tutto quello che ci capita può lasciarci qualcosa, dobbiamo farlo nostro, senza paura, senza pregiudizi. Se ce lo facciamo rimbalzare addosso, allora no, non è lo studio che intendo io. Non ci lascerà nulla. Lo studio sei tu che ti metti e cerchi di conoscere una cosa. Sei tu che fai una scelta. Che torni sulla tua scelta. Che provi a comprendere un errore. Sono domande e risposte. Sono discorsi ascoltati e rielaborati. Lo studio è tale se al termine ti trasforma. E’ un mezzo che ti mette in contatto con qualcosa che prima ti era sconosciuto. Questo mezzo ti permette di fare tua parte di qualcosa che prima non c’era.

– Perché il liceo per lei è così importante?

– Perché al liceo dovrebbero girare meno frottole riguardo a queste cose. Anche se certe logiche di potere si ripropongono anche qui.

– Quali logiche?

– Quelle della verità. Del necessario per chi comanda. Cercano di educarvi, di formarvi, di darvi punti di riferimento istituzionali. Di riportarvi ad un’unica storia, ad un’unica letteratura, ad un unico linguaggio. Tutto però all’interno di materie umanistiche. Ma immaginate il terrore di chi oltre a questo è costretto a studiare per avere un posto nella vita economica del Paese. A loro viene insegnato l’inglese commerciale se il mercato richiede l’inglese commerciale, l’informatica aziendale se il mercato richiede questo e così via. A loro non verrà mai data la licenza di leggere un romanzo, una poesia. Lo dovranno fare di nascosto.

– E’ terribile!

– Lo è!

– Allora per lei i nostri amici nelle altre scuole stanno peggio?

– Ognuno ha le sue passioni, ma quel che mi spaventa è come le porta avanti. Se ci si affida solo all’istituzione scolastica credo proprio di sì.

– Cosa dobbiamo fare?

– Intanto se io fossi in voi mi confronterei con le altre scuole, sentirei cosa studiano. Partirei da qui. Rivendicherei il diritto allo studio, a quello buono. Credo che trovereste punti in comune. Poi ragionerei sul perché qualcuno vuole chiudere i licei del quartiere. Io non credo questo sia un attacco ai licei, mi sembra un attacco ai giovani in quanto tali.

Il mio intervento ha avuto una eco incredibile. Il giorno successivo il classico ha occupato, lo ha seguito lo scientifico dove sono stati ospitati amici di altri istituti che nel giro di quattro giorni hanno occupato a loro volta. L’ultimo è stato proprio l’ITIS del professor Gianluca Delio Maria De Monte Cucuzza.

E’ nell’aula magna di quest’istituto che si svolgerà il nostro duello. Il preside ha cercato in tutti i modi di impedire la protesta, ma non ce l’ha fatta. 

E’ stato lui a chiamarmi dopo l’occupazione, indignato:

– Ora se la fa anche con i ragazzini!

– Cosa intendi?

– Me li ha messi tutti contro con quelle sciocchezze sul diritto allo studio!

– Non sono sciocchezze.

– Lei è un miserabile… Gliene devo dire quattro, ma lo voglio fare davanti a tutti i miei ragazzi. Venga domattina a scuola e le dimostrerò che non le è servito a nulla leggere dei libri.

L’ho odiato, come ho odiato la Tatcher e George Bush, come Apureton, il mio editore.

– Non vedo l’ora, ma devono poter assistere anche i ragazzi delle altre scuole.

– A me non importa, basta che questa buffonata finisca.

Per me è stato un invito al fight club. Nessun adulto testimone. Nessun voto da comprare. Solo io e il professore davanti a dei ragazzini che per la prima volta si sono convinti dell’importanza dello studio. Dei ragazzini alla loro prima battaglia. Una battaglia per difendere la cultura. La loro voglia di cultura.

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