Speculazione, derivati e rivolte del pane

ROMA – Le drammatiche rivolte del pane nei paesi del Nord Africa e altrove ci catapultano nuovamente nell’emergenza economica e sociale globale. Ci ricordano con violenza che il “business as usual” ritornato imperante nei centri della finanza e della geopolitica è una pericolosa illusione con riverberi devastanti negli assetti interni agli stati e tra gli stati.

Certamente vi sono più chiavi di lettura per le sollevazioni sociali in corso. Una cosa però è certa: i prezzi dei generi alimentari primari sono schizzati alle stelle, falcidiando i miseri bilanci degli strati sociali più poveri e più deboli di molti paesi, soprattutto di quelli in via di sviluppo.

Non si può dire che ciò dipende dal gioco della domanda e dell’offerta, in quanto la prima è globalmente diminuita e la seconda è rimasta relativamente stabile.

Infatti un recente studio dell’OCSE prevede, in una situazione di stabilità e di crescita economica e demografica futura, un aumento dei prezzi alimentari del 40% solo alla fine del 2020. Ciò per effetto della crescente domanda della Cina e dei paesi emergenti e per il contemporaneo aumento della produzione di biocarburanti, a spese dei terreni coltivabili destinabili alla produzione di cibo.

E’ la seconda volta in tre anni che la speculazione, soprattutto quella in futures e altri derivati legati alle commodities, materie prime e prodotti alimentari, sta sconvolgendo il mondo. A dicembre 2010 il “food price index” mensile ha raggiunto 214,7 punti. Siamo tornati ai livelli del giugno 2008 quando esso era di 213,5. Si ricordi che a giugno del 2000 era di soli 87,5 punti.

Infatti nei mesi a cavallo del 2007-8 i prezzi del grano erano aumentati dell’ 80% rispetto a quelli di un anno prima, quelli del mais del 90%, quelli del riso del 320%, e via dicendo. Como noto, vi furono rivolte del pane in 30 nazioni del sud del mondo. All’improvviso 200 milioni di persone, soprattutto bambini, persero le magre razioni di cibo e videro lo spettro della fame. I dati della FAO registrarono un aumento di 100 milioni di persone povere e malnutrite che così raggiunsero il miliardo.

Allora le solite 10 banche dei derivati più alcuni potenti hedge fund, fecero a gara per moltiplicare i contratti futures sulle commodities. E’ ormai evidente che non si commercia più soltanto in merci reali, che si possono eventualmente proteggere dai rischi di fluttuazione dei prezzi con una singola assicurazione-derivato. Invece si costruiscono e vendono contratti finanziari derivati in enormi quantità il cui riferimento ai prodotti sottostanti è puramente virtuale.

Nel 2008, dopo la fiammata inflattiva, i prezzi dei beni alimentari tornarono a scendere. Per due ragioni. La crisi bancaria negli Usa richiedeva di dirottare le finanze a copertura di perdite subite in altri campi come quello immobiliare e gli speculatori avevano deciso che era arrivato il momento di speculare al ribasso.

La “commodity petrolio” è emblematica. I dati ufficiali, molti precisi, forniti nel 2009 in varie audizioni della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) americana sono eloquenti. I future sul petrolio trattano giornalmente 1 miliardo di barili, mentre la produzione reale mondiale è di 85 milioni di barili di petrolio al giorno!

Nel 1998 la parte speculativa dei mercati petroliferi era del 25%, nel 2008 era già salita al 65%.  In dimensioni differenti la stessa cosa è successa anche per i prodotti alimentari e per le altre materie prime.

I fautori della bontà dei derivati finanziari raccontano la favola che questi prodotti risolverebbero la mancanza di liquidità che potrebbe rallentare i mercati. E’ esattamente il contrario!

L’enorme liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali, in aggiunta alla circolazione dei derivati finanziari, scarica tutta la sua potenza distruttrice sui mercati delle commodities.

Nei mesi passati molti governi hanno denunciato la pericolosità dei derivati sui prodotti alimentari. Il commissario europeo per il mercato interno, Michel Barnier, ha gridato contro lo scandalo della speculazione sulle commodities invitando il parlamento europeo a prendere delle contromisure. Recentemente Sarkozy ha posto la lotta contro questo tipo di speculazione al centro del suo programma di presidenza del G20.

I “mostri” di cui parla il ministro dell’economia Giulio Tremonti mutano sempre pelle e sono in aumento, mentre le decisioni per eliminarli tardano.

Certo le buone intenzioni sono tante ma non tengono conto dei tempi dettati dalla crisi finanziaria e dalla necessità delle riforme. Intanto, mentre nei paesi del Nord Africa le rivolte per il pane, per il lavoro e per la libertà divampano, da noi l’inflazione sta tornando a farsi minacciosa.

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