Cgia. Quasi un milione di affitti in nero

Fino ad ora la cedolare secca non ha funzionato: nei primi due anni l’Erario ha incassato 5 miliardi di euro in meno. Bortolussi: “Anche in questo caso si dimostra che il contrasto di interessi non funziona”

VENEZIA  – Secondo una stima realizzata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre gli affitti non dichiarati sono quasi un milione.  La CGIA è giunta a questo risultato partendo dal numero delle famiglie italiane che vivono stabilmente in affitto: secondo l’Istat   sono circa 4.800.000. Ipotizzando che ognuna di queste famiglie  risieda in una distinta unità abitativa è stato sottratto il numero delle abitazioni che i locatori (persone fisiche) dichiarano di  affittare (2.700.000), le unità immobiliari riconducibili all’edilizia pubblica (800.000) e quelle date in affitto dalle società (350.000). Il risultato finale, come dicevamo più sopra, sfiora il milione di unità (precisamente 950.000).  Una cifra che, secondo la CGIA,  è sicuramente sottodimensionata, visto che non tiene conto dei “contratti” riferiti al milione e mezzo di studenti universitari  che, per quasi tutto l’anno, risiedono fuori sede e quasi sempre non in abitazioni di proprietà.

Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati ISTAT, Dipartimento delle Finanze, Agenzia del Territorio, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Nota: e = a – b-c-d
 
 
Dal 2011, grazie all’introduzione della cosiddetta “cedolare secca”, il legislatore si era prefissato di inasprire  la lotta contro gli affitti in nero. Come ? Abbassando il carico fiscale sui locatori che volontariamente sceglievano il nuovo regime, aumentando le sanzioni ed introducendo una sorta di “contrasto di interessi” che dava la possibilità all’inquilino, che si autodenunciava all’Agenzia delle Entrate, di regolarizzare il contratto di locazione “imponendo” al proprietario un canone di affitto annuo agevolato, pari al triplo della rendita catastale.
 
Poiché i canoni di affitto medi applicati a livello nazionale sono mediamente 8 volte superiori alla rendita catastale, il vantaggio economico in capo al locatario era evidentissimo. Purtroppo, sia l’eventuale ricorso volontario alla “cedolare secca” da parte del proprietario, sia l’autodenuncia del conduttore sono stati un flop con evidenti mancati incassi per il fisco italiano.
 
“E’ l’ennesima dimostrazione – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre –  che il contrasto di interessi non funziona. Possiamo dare  agevolazioni e sconti, ma la gente preferisce non pagare nulla piuttosto che pagare poco. Anziché continuare ad accanirsi su chi è conosciuto dal fisco, è necessario anche in questo caso  di concentrare l’attività di contrasto all’evasione su chi opera completamente in nero attraverso una più incisiva attività di intelligence”.
 
La “cedolare secca”, rispetto al regime di tassazione ordinario (*), prevede l’applicazione di un’aliquota fissa sugli affitti degli immobili ad uso abitativo. Con  la cedolare la tassazione avviene sull’intero canone di affitto  con un’aliquota del 21% (senza alcuna deduzione forfetaria).  L’aliquota si riduce al 19% nel caso di affitti a canone concordato. Con questa novità legislativa non è dovuta l’imposta di registro, inoltre i canoni di locazione non possono essere adeguati annualmente all’inflazione. Pertanto il proprietario non può richiedere la rivalutazione del 75% dell’indice ISTAT- FOI.
 
Allo stato attuale non si può dire con assoluta certezza quanto “nero” sia emerso,  comunque si ritiene che la “cedolare secca” abbia solo scalfito l’enorme sommerso che regna nel mercato senza intaccarlo in maniera decisa, infatti:
 
1)    nel 2011, il gettito incassato dalla “cedolare secca” è stato molto inferiore alle attese: 675 milioni di euro contro 3.194 milioni attesi. Nel 2012 le cose non sono andate molto meglio: a fronte di 3,5 miliardi previsti, il fisco ne ha incassati solo 976 milioni. In due anni sono mancati all’appello oltre 5 miliardi di euro.
 
2)    le registrazioni dei contratti di locazione “in nero” da parte degli inquilini, (secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa che riferiscono dei dati delle associazioni degli inquilini), sembrano essere circa 3 mila.
 
Va tuttavia sottolineato che gli oltre 3 miliardi di gettito previsti per ciascuno degli anni 2011 e 2012, si riferiscono non solo alle entrate provenienti dalla nuova imposta pagata da coloro che hanno scelto di passare dal regime ordinario di tassazione a quello agevolato, ma anche dall’emersione degli affitti in nero. E’ proprio grazie a questa presunta azione di emersione che sarebbero dovute pervenire le risorse in grado di coprire il vantaggio fiscale  di chi sceglieva questo regime e addirittura di fare guadagnare all’erario circa 70 milioni di euro.
 
Le cose non sono andate così, dall’analisi dei dati a consuntivo relativi al 2012 (ancora provvisori), si stima che lo Stato abbia perso almeno 650 milioni di euro nel 2011 e altrettanti nel 2012 (corrispondenti al guadagno fiscale di quei proprietari che scegliendo questo regime hanno appunto risparmiato).
 
In futuro, la situazione potrebbe cambiare, non tanto per i risultati derivanti dall’attività di contrasto che verrà messa in campo, a meno che non si preveda una campagna serratissima contro gli affitti in “nero”, ma per l’aumento del numero dei proprietari che abbandoneranno il regime di tassazione ordinario per  la “cedolare secca”.
Infatti, l’introduzione dell’IMU, assieme alla riduzione della deduzione forfetaria per spese di manutenzione degli immobili, che passa dal 15% al 5%, renderà sicuramente più conveniente il ricorso alla “cedolare secca”.
 
 

Estrapolazione: Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati relazioni tecniche DL 23/2011 e dati Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze
 
(*) Nel regime di tassazione ordinario, l’affitto, al netto di una deduzione forfetaria per spese di manutenzione, (che nella maggior parte dei casi è pari al 15%, ridotta dal 2013 al 5%), concorre alla formazione del reddito complessivo IRPEF ed è quindi soggetto a questa imposta (con aliquote progressive e per scaglioni di reddito), alle relative addizionali regionale e comunale. Inoltre, è dovuta, sull’ammontare totale del canone, anche l’imposta di registro.

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