Cgia. Siamo il paese più tassato d’Europa

Ad esclusione dei paesi Scandinavi, la nostra pressione tributaria è al top (30,2%). Le nostre imprese sono le più tartassate

VENEZIA – Siamo tra i più tassati d’Europa. La conferma giunge da un’ analisi condotta dalla CGIA di Mestre che ha elaborato i dati presentati nei giorni scorsi dall’Eurostat . Ebbene, ad esclusione della Danimarca (47,4%), della Svezia (36,8%) e della Finlandia (30,5%) – che storicamente hanno sempre avuto una pressione tributaria (*) elevatissima, ma  con servizi pubblici e livelli di welfare non riscontrabili in quasi nessun altro Paese d’Europa  – l’Italia si colloca al quarto posto di questa speciale graduatoria con una percentuale del 30,2: ben 1,3 punti in più rispetto al 2011.

Niente a che vedere con la tassazione che “grava” sui nostri principali competitors europei. Se il Regno Unito registra una pressione tributaria (28,6%) di 1,6 punti inferiore alla nostra, in Francia il carico tributario (27,9%) è minore di 2,3 punti ed in Germania (23,6%) addirittura di 6,6 punti. Rispetto alla media dell’Unione europea (26,5%) , in Italia il peso delle tasse, delle imposte e dei tributi sul Pil è di 3,7 punti percentuali in più e addirittura superiore di 4,5 punti della media dei Paesi dell’area dell’Euro (25,7%) .

“Con un livello di tassazione del genere – esordisce Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre   – dovremmo ricevere una quantità di servizi con livelli di qualità non riscontrabili altrove. Invece, tolta qualche punta di eccellenza che registriamo in tutti i settori, la giustizia civile funziona poco e male, il deficit delle nostre infrastrutture materiali ed immateriali è spaventoso, in molte regioni del Sud la sanità è al collasso, senza contare che la nostra Pubblica amministrazione presenta ancora livelli di inefficienza non giustificabili.”

Ma, secondo Bortolussi, c’è un’altra cosa da sottolineare:

“Se in Italia le tasse continuano ad aumentare e negli ultimi due anni il debito pubblico sul Pil è passato dal 120 a quasi il 130% e dall’inizio della crisi i disoccupati sono aumentati di circa un milione e mezzo, forse c’è qualcosa che non va. Dobbiamo assolutamente invertire la rotta, alleggerendo il carico fiscale su cittadini ed imprese, condizione necessaria per far crescere la domanda interna e, molto probabilmente, anche l’occupazione”.

(*) la pressone tributaria consente di misurare il carico fiscale.  E’ un rapporto dove al numeratore ci sono le imposte, le  tasse e i tributi versati , mentre al denominatore c’è il Pil. Si distingue dalla pressione fiscale perché al numeratore non c’è il gettito contributivo che ormai attiene al criterio del beneficio. Ovvero, tanto pago di contributi previdenziali e, si spera, tanto lo Stato mi ritornerà in termini pensionistici. 

Il contributo delle imprese al gettito

La situazione italiana è altrettanto preoccupante quando si osserva il carico fiscale che pesa sulle imprese e sui lavoratori autonomi. Un indicatore che ci aiuta a comprendere il livello di tassazione a cui sono sottoposti i produttori è dato dall’incidenza delle tasse versate da queste categorie sul totale del gettito incassato dallo Stato.

Sebbene presenti alcuni limiti, questa comparazione mette in risalto la situazione negativa del nostro  Paese. Le imprese italiane sono tra quelle che concorrono al gettito tributario in misura maggiore. Dopo Cipro (21%), Malta (20,8%), Lussemburgo (17,2%) e Polonia (17%), le aziende italiane occupano la 5° posizione nell’Ue a 27, con il 16,7% (**).

(**)  a nostro avviso l’analisi è parziale e nella realtà la situazione italiana è peggiore di quella che emerge da questa classifica. Infatti, i dati disponibili si riferiscono alle seguenti imposte: IRAP, IRES, quota IRPEF attribuibile ai lavoratori autonomi, ritenute sui dividenti e sugli interessi e redditi di capitale delle imprese, imposta sostitutiva sulle rivalutazioni aziendali, imposte da capital gain. Non sono invece considerate altre forme di prelievo: IMU, tributo sulla pubblicità, le tasse sulle auto pagate dalle imprese, accise, diritti camerali.

Nota Il dato Italia è stato integrato in modo da considerare anche la quota di IRAP relativa al costo del lavoro del settore privato che nelle tabelle originarie di Eurostat viene attribuita come costo del lavoro.

Le aliquote implicite sul reddito delle Società
Si tratta di un particolare indicatore grazie al quale è possibile confrontare il peso del fisco sulle imprese dei principali Paesi europei. L’aliquota implicita è ottenuta rapportando le imposte sul reddito o sui profitti delle società (incluse le plusvalenze da partecipazioni) con il risultato economico da queste realizzato[1].

Come si può vedere le società italiane, dopo quelle cipriote e francesi, occupano il terzo gradino del podio, con una aliquota implicita del 24,8%.
Si consideri poi che la situazione delle nostre imprese è sicuramente peggiore, in quanto nell’elaborare questo indicatore i ricercatori europei non hanno considerato il peso di alcune imposte.
Infatti, l’aliquota implicita è il risultato di un rapporto tra le principali imposte che gravano sulle società e il risultato economico da queste ottenuto. Ebbene, nel calcolare l’aliquota implicita per l’Italia, i ricercatori europei hanno considerato al denominatore il risultato economico sia delle società di persone che quelle relative alle società di capitali. Però, il numeratore non contiene le imposte dirette pagate dalle società di persone in quanto la tassazione (per questa particolare tipologia di società) avviene per trasparenza in capo ai soci che pagano l’IRPEF. Pertanto, il numeratore è sottostimato e di conseguenza anche l’aliquota implicita. Inoltre, si deve tener presente che la quota IRAP che finisce al numeratore è al netto di quella relativa al costo del lavoro.

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