Il G8 a caccia di illusioni

ROMA – La decisione finale del Summit del G8 di Lough Erne in Nord Irlanda di individuare nel commercio, nella tassazione e nella trasparenza le sue massime priorità riflette pienamente l’orientamento degli Stati Uniti e degli altri Paesi occidentali.

I forti interessi in gioco sono in verità soprattutto di natura geopolitica. Lo dimostra anche la volontà di mettere al centro delle discussioni la crisi in Siria e la sicurezza in Africa, che è grande fornitrice di materie prime.

I leader del G8, che rappresentano la metà dell’economia mondiale, hanno voluto, pur riconoscendo  una “protratta incertezza economica”, identificare nel commercio “il motore chiave della crescita economica globale”. Di conseguenza hanno elencato, in quanto decisivi e strategici, i vari trattati di libero scambio che saranno a breve ratificati: quello tra gli Usa e l’Ue, quello del Trans Pacific Parternship, che coinvolge 12 Paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico,  quello tra l’Ue e il Giappone e quello tra l’Ue e il Canada. Sono state menzionate anche l’Unione doganale e l’integrazione della Russia con altri Paesi dell’Eurasia che, però, devono essere sottoposte ai vincoli dell’Organizzazione del Commercio Mondiale. Ci sembra che un tale approccio complessivo sia molto discutibile. Non si tratta di mettere in discussione il ruolo importantissimo del commercio che, ricordiamolo, riflette la sottostante divisione del lavoro a livello internazionale. Ma il commercio è la conseguenza delle politiche di sviluppo continentali basate sui grandi progetti infrastrutturali, sulla realizzazione di importanti programmi agro-industriali, sulle nuove tecnologie e sulla ricerca. In altre parole è lo sviluppo il vero “motore della crescita economica globale”.

La distinzione non ha nulla di accademico. I trattati di libero scambio, come sono stati realizzati nei decenni passati, implicano sempre il trasferimento di produzione in zone a basso costo del lavoro e a bassa tassazione. E’ una malsana competizione incentrata più sulla riduzione dei costi che sul miglioramento e sull’introduzione di nuove tecnologie. Il fatto che circa il 60% del commercio mondiale di beni riguardi le componenti e i pezzi degli stessi, può diventare una debolezza degli apparati produttivi dei Paesi interessati anziché rivelare positivi processi di grande integrazione economica mondiale. I veri progetti di sviluppo, invece, necessitano di sane politiche di credito di lungo termine e di innovazioni tecnologiche. Ma soprattutto di lavoro qualificato. Essi possono e dovrebbero trasformare i territori creando un progresso economico e sociale nell’interesse delle collettività e non solo del profitto finanziario. Perciò mettere il commercio in cima alla lista vuol dire anche continuare nella politica di forte competizione per il surplus commerciale. Solo i Paesi in surplus sono valorizzati e presentati come virtuosi. Di fatto, anche se la dichiarazione finale del G8 consapevolmente richiama più volte i rischi di un protezionismo senza regole, i trattati di libero scambio e la lotta per il surplus possono portare a guerre commerciali.

Il comunicato finale di Lough Erne suggerisce anche fantasiose aspettative secondo le quali l’abbattimento dei costi delle burocrazie doganali farebbe crescere l’economia mondiale di 1 trilione di dollari. Secondo queste valutazioni per ogni dollaro investito da un Paese nella riduzione delle sue burocrazie commerciali si determinerebbe un aumento annuale di 700 dollari nel suo commercio. Come è noto anche la tassazione è strettamente legata alle politiche di sviluppo. Lo sappiamo bene in Italia dove tasse punitive sul lavoro e sulle imprese bloccano gli investimenti, rallentano la modernizzazione dei processi produttivi e penalizzano l’occupazione. Invece un vero sviluppo industriale e territoriale crea le basi reali per nuovi introiti fiscali dello Stato. Nel campo fiscale il G8 ricalca il lavoro che l’Ocse sta portando avanti nella giusta lotta contro l’evasione, l’elusione fiscale ed il riciclaggio di danaro sporco. L’Europa e l’Italia in particolare dove si calcola un’economia sommersa superiore al 18% del Pil ed un’evasione fiscale di oltre 120 miliardi di euro, non possono che esserne i primi fautori.

In conclusione il G8 saluta positivamente anche le inefficaci politiche del cosiddetto “quantitative easing”, cioè la creazione della nuova liquidità  fatta dalle banche centrali anche per stimolare le economie. Non vorremmo che le scelte sul commercio fossero una grande illusione. I governi del G8 sembrano purtroppo voler continuare con le fallimentari politiche economiche e finanziarie che hanno determinato la crisi attuale della quale non si intravede ancora una sicura via d’uscita.

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi ** Economista

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