Mobilitare il nostro sistema-paese sul territorio e a livello internazionale

ROMA – Riteniamo che le prospettive economiche del nostro Paese non si possano misurare con meri dati statistici o peggio con qualche altro indicatore basato magari sulle aspettative degli intervistati. Le tante esternazioni di questi giorni sulla fine della recessione e sulla svolta economica positiva prevista per il terzo trimestre 2013 ci suonano più come auguri di Ferragosto che serie analisi suffragate da dati e andamenti reali.

Non si tratta di iniziare una diatriba tra ottimisti e pessimisti sul futuro dell’economia nazionale. In passato questi “psicologismi spiccioli” hanno infatti dato spazio solo alla frustrazione e alla rabbia. Siamo consapevoli che spesso certe valutazioni negative sulla nostra economia, come quelle delle agenzie di rating, si sono tradotte, purtroppo, in tagli e spesso in cieca politica di bilancio. Allo stato non esistono però concreti e solidi elementi per poter salutare l’uscita dalla crisi né a livello globale né a livello europeo e tanto meno a livello nazionale. Basti pensare che l’Ocse prevede un alto livello di disoccupazione. Per l’Italia il tasso relativo dovrebbe salire al 12,5% alla fine del 2014!

E’ davvero difficile quindi immaginare una ripresa economica mentre l’occupazione scende così vistosamente, determinando ovviamente un conseguente generalizzato aumento della povertà. In Italia, purtroppo, da tempo manca una seria programmazione con una conseguente puntuale verifica di quanto realizzato. E’ indispensabile indicare percorsi di sviluppo ma anche progetti sul medio e lungo termine e scadenze precise.

Il recente Piano Industriale 2013-2015 della Cassa Depositi e Prestiti ci sembra un percorso positivo per avviare interventi di vero sviluppo. Per il triennio si prevedono 95 miliardi di euro a supporto degli investimenti delle Pubbliche amministrazioni e delle imprese nonché per la realizzazione delle infrastrutture.

Nello specifico, 23 miliardi sarebbero destinati a investimenti pubblici produttivi, in particolare edilizia sociale e scolastica, e anche per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Altri 9 miliardi sarebbero stanziati per le infrastrutture e le grandi opere, mentre si ipotizza uno specifico fondo per le piccole infrastrutture. Importante è lo stanziamento di 48 miliardi non solo per la crescita ma anche per l’internazionalizzazione delle imprese. Dovrebbero poi essere definiti percorsi speciali per il sostegno delle Pmi e delle Reti di impresa.

Al Mezzogiorno verrebbe destinata per investimenti una quota superiore ai 20 miliardi del passato triennio. Ci sembra positivo che la Cdp stia sempre più assumendo un ruolo di attore dello sviluppo. Si penserebbe anche all’emissioni di mini-bond per le Pmi per un accesso facilitato al credito ed eventuali operazioni di project finance con l’estero. Complessivamente il contributo previsto del Gruppo Cdp al rilancio dell’economia italiana dovrebbe essere del 6% nel triennio, pari quindi al 2% annuo del Pil.

Tutto ciò sembra in un certo senso ricalcare l’operatività della Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, la banca per la ricostruzione tedesca, che è uno dei veri motori “segreti” del successo economico e industriale della Germania. Tuttavia pensiamo che altre sfide per il sistema-paese Italia siano ineludibili. Occorre un grande Fondo, almeno di parecchie decine di miliardi di euro, per lo sviluppo delle  nuove tecnologie e delle infrastrutture strategiche del futuro capitalizzando il patrimonio immobiliare pubblico.

In merito ci preme affermare la contrarietà ad una privatizzazione selvaggia giustificata dall’enormità del nostro debito pubblico. Il tasso annuale del debito può calare se, ad una politica di contenimento delle spese correnti, si associano scelte efficaci per la crescita della ricchezza prodotta. L’innovazione tecnologica delle nostre imprese potrà loro consentire in modo più incisivo di partecipare a grandi progetti anche a livello continentale. Si pensi all’Eurasia, all’America del Sud e all’Africa: Ciò non solo incrementerebbe l’export ed il ruolo delle singole industrie italiane impegnate nelle joint venture ma ridarebbe al “sistema Italia” un ruolo da protagonista nello scenario geopolitico internazionale.

 

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