Un italiano su tre arriva a fine mese solo grazie alla famiglia

ROMA – Un italiano su tre riesce ad arrivare a fine mese solamente grazie al sostegno economico di mamma e papà. A certificare ancora una volta il momento di crisi in cui versa il paese e le difficoltà degli italiani è un’analisi della Coldiretti-Ixe’, la quale sostiene che circa il 37% degli italiani non solo non riesce a risparmiare, ma è quasi sempre costretto a chiedere un aiuto ai genitori.

La struttura della famiglia italiana e i legami parentali fin da sempre costituiscono un ammortizzatore sociale perfettamente funzionante, forse indispensabile, nella nostra economia, che si attiva specialmente nei momenti di estrema difficoltà. Secondo l’indagine di Coldiretti, a non arrivare a fine mese è il 10% delle famiglie italiane, mentre il 45% riesce a pagare appena le spese senza però potersi permettere inutili lussi. D’altra parte, un 42% degli italiani riesce, senza particolari affanni, a salvare qualcosa del reddito mensile e ad alimentare il risparmio familiare. La rielaborazione dei dati raccolti da Coldiretti  dimostra che le preoccupazioni sul futuro si riflettono nel campo dei consumi: più di due italiani su tre (68%) hanno ridotto la spesa o rimandato l’acquisto di capi d’abbigliamento riciclando dall’armadio per l’autunno gli abiti smessi nel cambio stagione, ma oltre la metà (53%) ha detto addio a viaggi e vacanze e ai beni tecnologici (52%). Non solo: l’italiano frequenta sempre meno anche bar, ristoranti e discoteche, gli italiani che decidono di risparmiare sul divertimento sono stati il 49%. Altri ancora (42%) hanno rinunciato alla ristrutturazione della casa, il 40% all’auto o la moto nuova e il 37% agli arredamenti. Dato rattristante è quello relativo alle attività culturali: circa il 35% ha risparmiato evitando mostre od esposizioni, mentre il 29% ha anche sospeso le attività sportive. Da segnalare sul lato opposto il fatto che solo il 14% degli italiani dichiara di aver ridotto la spesa o rimandato gli acquisti alimentari, una percentuale superiore solo alle spese per i figli (6%), ma per entrambe le voci la percentuale è in calo rispetto allo scorso anno.

Altro dato allarmante è quello relativo ai lavoratori indipendenti: dal 2008 al giungo 2013 hanno cessato l’attività ben 400mila lavoratori. Secondo l’analisi della Cgia, in questi cinque anni e mezzo di crisi economica la contrazione è stata del 6,7% (il 7,2% del totale della categoria). Al 30 giugno di quest’anno il cosiddetto popolo delle partite Iva ammonta a 5.559.000 lavoratori. “A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività non dispone di nessuna misura di sostegno al reddito. A esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione, di nessuna forma di cassaintegrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare”. La contrazione più significativa ha riguardato i lavoratori in proprio, come artigiani, agricoltori o commercianti. In questi ultimi cinque anni e mezzo sono diminuiti di 357.000 unità, pari ad una contrazione del 9,9%. Male anche l’andamento dei coadiuvanti familiari, ovvero i collaboratori familiari: la riduzione è stata di 78.000 unità (-19,4%). Anche i collaboratori occasionali o a progetto hanno subito un deciso ridimensionamento: la riduzione occupazionale è stata di 56.000 unità (-12%). Anche gli imprenditori, vale a dire i soggetti a capo di attività strutturate con dipendenti, sono diminuiti di 37.000 unità (-12,9%). Risultati positivi solamente per i soci di cooperative (+ 2.000 unità, pari al +6,2%) e, soprattutto, i liberi professionisti. Il numero degli iscritti agli ordini e ai collegi professionali sono aumentati di ben 125.000 unità (+10,7%). Infine, segnala la CGIA, a livello territoriale è stato il Nordovest ha registrare la caduta occupazione più forte tra gli autonomi (-7,9%), mentre il Centro è stata l’area geografica meno investita dalla crisi, nonostante la contrazione sia stata del – 4,1%.

Nel frattempo, sono in salita le tasse riguardanti gli immobili produttivi delle imprese. Stando alla recente analisi di Confartigianato, nel prossimo anno, con l’effetto combinato di Imu e della nuova Trise, le imposte aumenteranno fino a 1,1 miliardi, vale a dire il 9,6% in più rispetto al 2013. In particolare, rileva ancora Confartigianato, per quanto riguarda l’Imu, le imprese nel 2014 pagheranno 7,3 miliardi (+50,4% rispetto al 2011), mentre per la Trise il costo a carico degli imprenditori sarà pari a 5,5 miliardi (+52,8% rispetto al 2011). “Tra il 2011 e il 2014, l’aumento medio annuo della tassazione immobiliare sulle imprese è stato del 14,8%. Incrementi decisamente non proporzionali con l’andamento negativo dei risultati aziendali provocati dalla crisi: tra il 2010 e il 2013, infatti, il fatturato delle imprese manifatturiere è diminuito dello 0,5%, quello delle imprese di costruzioni è sceso del 9,4%, e per le aziende del commercio è calato dell’1,2%” spiega Confartigianato. 

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