America senza alleati nella guerra delle valute

ROMA – Nessuno è tornato a casa più tranquillo dopo gli incontri di Washington del Fondo monetario. I tentativi di coordinamento internazionale sono finiti male.

Ci sono due modi di vedere la dinamica dei negoziati: una è quella di chi si aspetta impegni forti e ben coordinati da parte dei governi, l’altra è quella di chi ritiene che i disaccordi siano accettabili se possono essere risolti dal normale funzionamento dei mercati.

Se una caduta graduale del dollaro o un aumento dell’inflazione cinese compensassero automaticamente gli squilibri tra i paesi in surplus e quelli in deficit, non sarebbe necessario che i primi fossero entusiasti di perdere la propria posizione di forza e lo annunciassero al mondo dalla tribuna di Washington. Il problema è che nessuna delle due condizioni – politica o finanziaria – è al posto in cui dovrebbe essere.
La mancanza di coordinamento colpisce perché la risposta iniziale alla crisi del 2008-2009 era stata molto positiva. Nell’ottobre 2008 le banche centrali coordinarono un ribasso dei tassi d’interesse, i governi concordarono le misure di garanzia dei depositi bancari e aprirono l’accesso alla liquidità delle loro banche. In seguito il Fondo monetario fu dotato di maggiori risorse e l’impegno a evitare pratiche protezionistiche fu rispettato. Infine fu istituito un forum di riforma della regolazione finanziaria che sta trasformando in buona misura il sistema bancario mondiale. Il G-20 di Londra nell’aprile 2009 sancì una risposta compatta da parte di Usa e Ue.
Dal 2010 invece gli accordi si sono allentati e il “processo di valutazione comune” è andato a farsi benedire. A giugno il G-20 di Toronto ha visto aprirsi le divergenze sulla politica fiscale tra i due lati dell’Atlantico con la richiesta degli Stati Uniti di maggiore stimolo europeo. L’Europa ha respinto queste richieste potendo dimostrare che la ripresa dell’economia nella prima metà dell’anno era energica. L’amministrazione americana si è trovata invece con l’economia in rallentamento.
L’economia americana si era ripresa dalla crisi prima di quella europea, ma la sostenibilità della ripresa è ora in serio dubbio. L’incomprensione tra Usa ed Europa potrebbe quindi dipendere dalla divergenza nei cicli congiunturali e dalla scadenza elettorale americana che impone al presidente Obama di dimostrare agli elettori qualche segno di recupero dei dati di disoccupazione.

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