Fibrillazione nel sistema bancario. Anche la Bri teme una nuova crisi

ROMA – Le gravissime crisi di alcune banche europee, apparentemente minori, suscitano preoccupazione nelle istituzioni economiche preposte alla vigilanza e al controllo.

E’ il caso del Banco Espirito Santo Group, la seconda banca del Portogallo, della CCB, la quarta banca della Bulgaria, delle austriache  Hypo Alpe Adria (che ha attività pari al 9% del Pil nazionale), e della Erste Bank, per le sue pesanti perdite subite sul mercato rumeno e ungherese.  Gli eventuali effetti sistemici non possono essere sottovalutati , anche in considerazione del fatto che le prime due hanno significativi legami con il Credit Agricole francese.   

La stessa agenzia americana  Bloomberg News guarda “con un occhio strabico” gli andamenti delle banche europee, sorvolando sui  guai grossi di quelle americane. Ci sarebbe una bolla di circa 580 miliardi di euro  di titoli tossici, legati al settore immobiliare, nella pancia delle banche europee, le quali starebbero cercando disperatamente di liberarsene e di piazzarli a prezzi scontati ad alcuni fondi  “venture capital” internazionali. 

Nel frattempo, la Bank of America, che alla vigilia della crisi aveva creato e piazzato sul mercato ben 640 miliardi di dollari di derivati mortgage-backed-security, anch’essi legati al settore immobiliare, temporeggia nel definire il pagamento dei 17 miliardi di dollari di multa chiesti dal ministero della Giustizia per chiudere il caso anche sul piano delle responsabilità penali ed economiche a carico degli autori della truffa.

Dall’insieme di questi dati la domanda è d’obbligo: si tratta di vari scossoni di assestamento dopo il “grande terremoto” del 2007-8, o sono  avvisaglie di un altro grande sisma in arrivo?

Secondo noi il rischio è reale se si tiene conto della nuova crescita esponenziale  dei derivati Otc, del risorgere di vecchie e nuove bolle speculative, della grande instabilità sui mercati delle valute.

 Anche l’autorevole direttore generale della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, Jaime Caruana,  ha recentemente sposato questa tesi nella sua relazione all’Assemblea annuale della Bri. “A distanza di sette anni, la grande Crisi Finanziaria getta ancora un’ombra lunga sull’economia mondiale”, ha detto. E, dopo aver “pagato dazio” alle grandi lobby finanziarie con l’ammissione di un qualche segno di ripresa, Caruana si è corretto e ha aggiunto che però “permangono gravi difficoltà e stanno emergendo nuovi rischi. Del resto nel confronto storico l’attuale ripresa è deludente”.

Le imprese e le banche nelle economie colpite dalla crisi sono ancora alle prese con il risanamento dei bilanci e con un sovraccarico di debito. Inoltre le economie emergenti sono entrate nella fase finale dei loro boom finanziari che hanno anche accresciuto la loro esposizione ai rischi economici. Paesi come la Cina, il Brasile, la Turchia e altri hanno purtroppo  permesso anche nel loro interno una preoccupante crescita del debito privato.

Rispetto al 2007 nelle economie del G20 il rapporto tra debito complessivo del settore non finanziario e il Pil è cresciuto di oltre il 20%. Questo è il lascito degli imponenti stimoli fiscali fatti durante la Grande Recessione nelle economie avanzate e delle ingenti nuove emissioni di debito da parte delle imprese nelle economie emergenti (EME). I livelli del debito aggregato (pubblico e privato) sono cresciuti: oggi il rapporto debito aggregato/Pil si attesta al 275% nelle economie avanzate e al 175% in quelle delle EME.

Caruana ha aggiunto:”Questa esplosione del debito ha certamente contribuito a sorreggere la domanda corrente. Non è però altrettanto chiaro se sarà in grado di innalzare il reddito negli anni a venire.” Molte imprese si sono indebitate allo scopo di comprare massicciamente le loro stesse azioni sul mercato. E secondo la Bri, il 40% dei “syndacated loans”, cioè quei finanziamenti erogati da un consorzio di banche a favore di un’impresa per ripartire il rischio,  sono andati ai creditori di bassa affidabilità in misura superiore a quella registrata nel 2007.

E’ un modello di crescita trainata dal debito che ha indebolito gli investimenti nelle economie avanzate, determinando anche un certo calo della produttività, spesso occultato dal boom finanziario. 

Per la Bri anche “l’accomodamento monetario sta raggiungendo i propri limiti, mentre la normalizzazione della politica monetaria è ancora lontana.” Si ricordi che, di conseguenza, i bilanci delle banche centrali – inclusa la stessa Fed – hanno superato i 20.000 miliardi di dollari a livello mondiale.

Secondo Caruana la strada verso la normalizzazione pone una serie di sfide che non possono ulteriormente essere eluse. 

La prima è come rendere i mercati meno dipendenti dalla politica monetaria. Gli operatori purtroppo si sono convinti che le condizioni monetarie molto accomodanti resteranno per un periodo molto lungo e ciò favorisce una pericolosa baldanza che spinge verso un’eccessiva assunzione di rischio. La seconda sfida consiste nell’approntare strumenti idonei a fronteggiare le ripercussioni internazionali (svalutazioni, destabilizzazioni e guerre valutarie) della politica monetaria. La terza riguarda la transizione verso un sistema finanziario più affidabile, meglio regolato, più controllato ed efficiente. 

Sono tutti temi che ancora una volta mettono al centro l’urgenza di un accordo tra i maggiori attori economici e politici internazionali, nella logica di una nuova Bretton Woods come da tempo anche da noi sostenuta.

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