Aumenta la povertà. Italia più flessibile nei licenziamenti della Germania

 

Drammatico rapporto Cnel. Crisi, la più pesante dal dopoguerra. Aumenta il rischio working poor. Persi 1 milione di posti

ROMA – I dati che arrivano dal rapporto del Cnel sul mercato del lavoro 2013 2014 sono la dimostrazione che l’Italia è precipitata in una profonda recessione, nonostante qualcuno voglia far credere il contrario. I dati parlano chiaro. Secondo il rapporto, «il rischio di essere un working poor è cresciuto durante la crisi soprattutto per alcune categorie di lavoratori (i meno qualificati, con bassi livelli di istruzione e occupati in settori a bassi salari), tuttavia anche quei gruppi che tradizionalmente ne erano esenti (lavoratori autonomi con dipendenti e i più istruiti) sono stati investiti dal generale impoverimento». 

Anche il rischio di povertà delle famiglie con alcuni membri che lavorano (la cosiddetta inwork poverty) è aumentato con la crisi. In particolare, spiega il Cnel, «ad essere maggiormente esposti al rischio di povertà sono quelle famiglie in cui il lavoratore a bassa remunerazione è il principale se non addirittura l’unico percettore di reddito. 

Aumento della povertà

Ma non è tutto.  Sta aumentando esponenzialmente la parte della popolazione che sperimenta condizioni di povertà. È quanto evidenzia sempre il Cnel: «Se tradizionalmente le difficoltà erano associate prevalentemente allo stato di disoccupato- precisa il rapporto-, adesso anche fra gli occupati sono frequenti i casi di privazione materiale derivanti da condizioni di sottoccupazione o di precarietà del lavoro. Insomma, stando ai numeri, c’è un vero e proprio esercito di scoraggiati che ha superato i 3 milioni. Si tratta di persone che hanno smesso di cercare lavoro. Dal rapporto realizzato  emerge che l’anno scorso gli scoraggiati hanno raggiunto quota 3,1 milioni, 457mila in più rispetto al 2008. Solo nel 2013 il numero degli scoraggiati è aumentato di 115mila unità. «Questo insieme di persone – continua il rapporto  – costituisce insieme ai disoccupati, l’ampio bacino della  disoccupazione allargata, che attesta il proseguire del deterioramento delle opportunità occupazionali, con la conseguente retrocessione di parte della popolazione alla condizione di inattività».

Insomma l’economia italiana continua ad essere attraversata da una grandissima crisi, la più grande dal dopo guerra sia per intensità che per durata, tant’è che sono stati persi 1 milione di posti di lavoro.  E le prospettive preoccupanti per il mercato del lavoro i lasciano poco spazio all’ottimismo.  «L’ipotesi di una discesa del tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi, intorno al 7%, sembra irrealizzabile perché richiederebbe la creazione da qui al 2020 di quasi 2 milioni di posti di lavoro». In pratica l’occupazione dovrebbe aumentare dell’1,1% medio annuo. «Un simile incremento – scrive il Cnel – potrebbe essere conseguito soltanto se si manifestasse una forte discontinuità nella crescita dell’economia italiana».

La flessibilità è tutta italiana

Ma c’è dell’altro, che cozza addirittura con quanto dichiarato ieri dal premier Matteo Renzi, ovvero sulla mancanza di flessibilità. In Italia, contrariamente a quanto si pensava,  è più facile licenziare che in Germania, ma anche in Francia e Olanda il grado di protezione del lavoro è superiore alla Penisola.  Alla fine degli anni Novanta l’economia italiana si caratterizzava per una regolamentazione più rigida dei rapporti di lavoro anche rispetto ai principali paesi europei. «Da allora però la situazione del mercato del lavoro italiano è cambiata – scrive il Cnel – e il nostro Paese ha guadagnato un certo grado di flessibilità. Nei ranking dell`Ocse il grado di protezione dei rapporti di lavoro in Italia nel 2013 risultava inferiore a quello francese, e prossimo ai livelli riscontrati in Germania e Spagna.

»Considerando congiuntamente il grado di protezione fornito nel caso dei licenziamenti individuali e collettivi, attualmente l`Italia risulta essere addirittura più flessibile della Germania, al cui modello la riforma Fornero si era all`epoca ispirata; anzi, il sistema tedesco risulta ora in cima alla classifica dell`Ocse seguito da Belgio, Olanda, Francia e poi dall`Italia.«Ciò è avvenuto – riporta ili rapporto –  grazie alle riforme introdotte in Italia, a partire dal pacchetto Treu del 1997 e poi dalla legge Biagi del 2003, che hanno previsto nuove e più flessibili forme di impiego (come ad esempio il lavoro interinale) o una agevolazione nel ricorso a quelle già esistenti».

Allarme Cig

Nel rapporto si  sottolinea che la Cassa integrazione è di fatto riservata ad un numero ristretto di lavoratori e che la quota di persone che godono di una qualche forma di sussidio rimane «decisamente ridotta rispetto al numero complessivo di persone in cerca di lavoro».«I segnali di stabilizzazione dell’economia emersi a inizio 2014 rendono plausibile un arresto della crescita del ricorso alla Cig durante l’anno in corso; tuttavia i dati sulla prima metà dell’anno indicano

ancora una situazione di emergenza». 

 

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