Dopo il rating lo spread. Forse è ora di ragionare di default

ROMA – Il debito pubblico italiano sembra essere entrato nel mirino della speculazione, quella vera, grande e cattiva.

Subito dopo un paio di operazioni concernenti il rating sul debito sovrano italiano con Standard &Poor’s che a meta’ maggio, aveva rivisto al ribasso le prospettive sul ‘voto’ all’Italia, ipotizzando quindi l’apertura di un procedimento che potesse portare ad un suo peggioramento. A S%P aveva poi fatto eco Moody’s che una settimana fa ha messo sotto osservazione il rating tricolore, attualmente fissato a Aa2, sempre in vista di un suo possibile ‘downgrade’.

Naturalmente queste operazioni hanno sortito un grosso effetto sui mercati finanziari, innescando in maniera crescente la tendenza definita di ‘fly to quality’. In fasi di estrema incertezza si tende a restare leggeri sui mercati o sui titoli che danno maggiori incertezze per comprare la carta più sicura, il che tradotto significa vendere Italia, in primis i titoli di Stato, e comprare Germania. Ma quando un mercato si muove così arriva ad avere un forte impatto sul livello dei prezzi, ed il livello dei prezzi nel confronto tra titoli di Stato italiani e tedeschi è segnalato dalla differenza tra i rendimenti che i due paesi devono offrire per ‘convincere’ i prestatori ad acquistare i titoli di propria emissione. L’investitore ripone maggiore fiducia nella capacità tedesca di ripagare i propri debiti e quindi accetta di acquistare titoli che gli danno un rendimento più basso di quello che pretende per acquistare un titolo che è identico ma che è emesso dalla Repubblica italiana.
La differenza di prezzo tra i due titoli rappresenta la quota di premio che l’investitore pretende per aver corso il rischio di prestare soldi all’Italia anziché alla Germania.
Stamattina il livello del premio, il cui nome tecnico è spread, si e’ allargato fino a 218 punti base (il 2,18%), il massimo storico dall’introduzione dell’euro sui mercati finanziari, momento che precede la sua comparsa fisica nelle tasche dei cittadini europei e risale al 1 gennaio 1999.

In oltre 12 anni di servizio dell’euro non si era mai raggiunto uno spread così alto con il rendimento del Btp decennale che oggi e’ salito al 5,03%, mentre quello del corrispondente titolo decennale di fattura germanica (il Bund) e’ sceso al 2,85%.
A questo punto se fosse possibile e volessimo sostituire i circa 1.900 miliardi del debito pubblico italiano con titoli decennali, questi ci costerebbero in interessi annuali poco meno di 100 miliardi all’anno (il 5,03 per cento di 1.900 miliardi è pari infatti a circa 95,57 miliardi), mentre se potessimo farlo con i medesimi costi del debito tedesco ciò ci costerebbe ‘solo’  55 miliardi (il 2,85 per cento di 1.900 è infatti 54,15 miliardi.
Ovviamente quello esposto è il classico caso limite cui però i costi dei debiti italiani e yedeschi tendono ad avvicinarsi con il costo complessivo, in termini percentuali, dei due debiti che tenderà ad avvicinarsi proprio a queste cifre.

Ci troviamo quindi nel classico caso di profezia autoavverantesi, ovvero di profezia che, per il semplice fatto di essere stata enunciata si avvera. I 50 miliardi annui di costo aggiuntivo sul proprio debito che lo stato italiano paga, o tenderà a pagare nei prossimi anni, sono molto più di una manovra finanziaria lacrime e sangue e, praticamente da soli, potrebbero sanare il bilancio pubblico del paese accompagnandolo verso la riduzione del debito.
Se l’Italia fosse però il prossimo paese nel mirino della speculazione, quello in fila dopo la Spagna, dove oggi il rendimento del titolo di stato decennale è balzato al 5,70 per e lo spread con il Bund al nuovo picco di 285 punti base, si dovrebbe avere il coraggio di nominare la parola proibita.

Oggi sarebbe infatti possibile sotto un profilo sociale accedere ad un default controllato, dove l’aggettivo controllato è riferito al fatto che non si arrivi a manifestazioni di piazza, scontri ed assalti ai forni, mentre una volta che la speculazione fosse arrivata a prendere il sopravvento e gli allarmi fossero tutti già suonati potrebbero scatenarsi quelle lacerazioni che stanno travagliando Atene già da qualche mese.

Una soluzione tra le tante potrebbe essere quella di congelare il debito pubblico ed il relativo rendimento, continuando quindi a pagare le cedole al rendimento attuale, e rimborsando i titoli, appena ce ne fosse la possibilità, in ordine strettamente cronologico di scadenza. Si limiterebbero i danni ai piccoli risparmiatori, che avrebbero ancora l’incasso della cedola, e si ridurrebbe un po’ alla volta il debito pubblico. Ovviamente tutte le medaglie hanno due facce ed anche una versione ultrasoft di ristrutturazione del debito come quella illustrata, con un rimborso del 100 per cento del capitale investito e delle ulteriori cedole maturate, comporterebbe il blocco totale dell’accesso al credito per il nostro paese; chi vorrebbe prestare dei soldi a chi è insolvente? Ma il rischio più grave sarebbe una lunga agonia finanziaria, con operazioni successive di ‘rimessa a posto’ dei conti per importi sempre superiori e con impatti sociali sempre maggiori, e se le notizie in arrivo dalle agenzie stessero a preannunciare, come affermato da più parti politiche, un vero e proprio attacco speculativo all’Italia allora sarebbe meglio essere coscienti che le battaglie, anche quelle economico finanziarie, vanno combattute con le armi a propria disposizione e che in tutte le battaglie la tempestività e la rapidità di reazione sono spesso decisive. Meglio una crisi grave, ma ancora governabile, oggi, subito, che una agonia bagnata di lacrime e sangue tra qualche mese.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe