Incertezza dai dati del lavoro Usa: Borse a picco, tiene lo spread

TRIESTE –  Ultima seduta di ottava che delinea uno scenario sui listini atipico e dalle molte sfaccettature: dopo i ribassi di maggio ed inizio giugno, nelle due ultime settimane la situazione sembrava essersi stabilizzata all’insegna di un mercato azionario in lento recupero e di un mercato obbligazionario stabile, ma il ritorno della volatilità nelle ultime due giornate è difficile da interpretare.

A contribuire ad ingarbugliare il già non lineare contesto generale, i disordini politici in Egitto e Brasile ed il riacutizzarsi dei nervosismi in Portogallo, che hanno riportato tensione sui mercati periferici europei; come se non bastasse, dopo una giornata di chiusura per l’Indipendence Day (Giorno dell’Indipendenza, il 4 luglio) che ha sottratto liquidità alle Borse, l’odierna seduta di Wall Street riveste un’importanza cruciale per la comunicazione dei dati sul mercato del lavoro (Non Farm Payrolls e tasso di disoccupazione) e sulle ripercussioni che questi potrebbero avere sulle decisioni della Fed (Federal Reserve) di iniziare a rallentare il ritmo degli acquisti di titoli, il così detto Quantitative Easing.
I meeting di Bank of England (BoE) e Banca Centrale Europea (BCE) in calendario ieri hanno riflesso la delicatezza del momento: il primo a causa dell’insediamento  del nuovo Governatore Carney e dei timori circa la possibilità di suoi cambiamenti di visione ed impostazione rispetto al predecessore King, il secondo per le nubi tempestose che si stanno nuovamente addensando attorno a Portogallo e Grecia, l’uno alle prese con politiche di austerità che hanno provocato il crollo dalla Borsa di Lisbona e nuove tensioni sul debito sovrano, l’altra con la nuova tranche di aiuti della Troika in forse per non aver implementato le riforme necessarie a ricevere il prestito.
Entrambe gli istituti centrali hanno lasciato invariati i rispettivi tassi di riferimento rassicurando i mercati sulla prosecuzione di politiche monetarie accomodanti, con Mario Draghi, numero uno della BCE, a sottolineare l’accesa discussione all’interno del Board sul possibile ulteriore abbassamento dell’attuale limite dei 50 punti base, stante il pericoloso mix di stagnazione e deflazione all’interno dell’Euro Zona.
Europa dunque ancora e forse sempre più in crisi che, a dispetto di una prima ondata di iniziative riformatrici, di una banca centrale che fatto da calmiere negli ultimi diciotto mesi e della predisposizione di molti strumenti (OMT, LTRO, EMS, ecc.), non ha saputo rispondere efficacemente al problema dei debiti pubblici delle economie dei paesi periferici, soffocate dall’austerità e da soluzioni improvvisate che non piacciono ai mercati e lasciano prospettare un cammino ancora lungo e tutt’altro che agevole.
Nel frattempo l’Eurostat, l’Ufficio dell’Unione Europea che raccoglie ed elabora dati dagli Stati membri a fini statistici, ha comunicato alcuni risultati relativi al mese di maggio: vendite al dettaglio e prezzi alla produzione migliori delle stime degli analisti, le prime con un incremento dell’1% su base mensile (flessione dello 0,1% su base annua), i secondi con una contrazione mese su mese dello 0,3% (-0,1% annualizzato).
A giugno l’indice PMI (Purchasing Managers Index) dei servizi è cresciuto a 48,3 punti dai 47,2 del mese precedente indicando un timido tentativo di ripresa per l’economia europea, anche se valori sotto alla soglia di 50 confermano il perdurare di una fase di contrazione; controversi i dettagli sul terziario provenienti da Italia, Francia e Germania: nella prima il settore continua a contrasi, mentre dalla seconda giungono invece segnali positivi di miglioramento; nel caso della Germania la crescita è stata tale da portare il paese in fase di espansione (50,4 punti), anche se con dati peggiori rispetto alle indicazioni preliminari (51,3 punti).
Da segnalare infine le difficoltà di un Bel Paese sempre più appesantito da trasferimenti, contributi e “prestazioni sociali” tali da far peggiorare il deficit pubblico: l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche è cresciuto al 7,3% del PIL (Prodotto Interno Lordo HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/PIL” \l “cite_note-pil-1” , il valore totale dei beni e servizi prodotti in Italia) dal 6,6% dello scorso anno, con un saldo primario (debito al netto degli interessi passivi) negativo per 9,6 miliardi, pari al 2,6% del PIL; considerando invece il saldo corrente, cioè il dato comprensivo di spesa per interessi, il dato è negativo per 18,5 miliardi, un’incidenza sul PIL del 5%.
Secondo i dati elaborati da Bankitalia anche il carico fiscale su imprese e cittadini è cresciuto, portando la pressione fiscale dal 42,6% del 2011 al 44% del 2012: l’Italia scavalca così la Finlandia e si pone al quarto posto tra i 17 paesi dell’euro (era quinta nel 2011) ed al sesto posto tra i 27 nell’UE (dal settimo posto del 2011). La crescita  del debito pubblico al 127% nel 2012 ci ha resi secondi soltanto alla Grecia, portando al 62,3% la percentuale delle famiglie che secondo l’Istat hanno posto in essere strategie di contenimento dei consumi riducendo qualità e quantità dei generi alimentari.
La decisione della BCE di continuare a mantenere una politica accomodante sembra far bene anche all’economia globale, tanto che, in scia al rally di ieri in Europa e dimostrando fiducia verso i dati a stelle e strisce, hanno chiuso positivamente anche i listini asiatici. La Borsa di Tokyo in particolare ha registrato un rialzo del 2,08% sostenuta dalla fiducia nel perdurare degli stimoli delle banche centrali e dalle attese di buoni dati sull’occupazione negli Stati Uniti.
Più complicata e tesa l’attuale situazione dell’economia cinese, tintasi di giallo con l’improvvisa sospensione di una rilevazione sul Pmi di alcuni comparti industriali importanti come l’acciaio; fatto che, se correlato ad una crescita pur sostenuta ma in impietoso rallentamento, da di che pensare: in una sua analisi il Corriere della Sera evidenzia come la crescita del PIL nell’esercizio in corso dovrebbe ridursi intorno al 7,5% contro il 10,5% mediamente realizzato nel primo decennio del Duemila e di come, nel contempo, la stretta creditizia decisa per tenere sotto controllo l’andamento dell’economia lasci temere una crisi di liquidità nel sistema bancario dell’ex Celeste Impero, con il rischio di pericolosi contraccolpi sulle principali Borse internazionali.
Nel frattempo, dopo un’apertura al rialzo, Wall Street prosegue sofferta a causa dell’interpretazione dell’atteso report sull’occupazione: sono stati infatti creati molti più posti di lavoro delle attese, ma il tasso di disoccupazione è rimasto fermo al 7,6%, dati contrastati che portano taluni analisti a propendere per un imminente tapering (uno stop al programma di aiuti) da parte della Fed ed altri a credere nell’esatto contrario. Alla pubblicazione dei report le principali Borse europee hanno reagito con una prevedibile volatilità che ha corretto le loro quotazioni al ribasso: Francoforte ha registrato un tonfo del 2,35%, Madrid un calo dell’1,67%, Parigi dell’1,46% e Londra è arretrata dello 0,72%.

Indici in forte ribasso anche a Piazza Affari (FTSE Mib -1,74% FTSE Italia All-Share -1,59%), dove oggi Borsa Italiana ha annunciato l’introduzione del primo indice FTSE dedicato ai titoli quotati su AIM Italia – Mercato Alternativo del Capitale dedicato alle piccole e medie imprese: vendite sui bancari, dove spicca il calo di Monte dei Paschi di Siena (-2,27%) sulle indicazioni (negative) formulate dal Fondo Monetario Internazionale che non escludono l’opzione della  nazionalizzazione per salvare l’istituto senese; male anche Unicredit, in ribasso del 2,31%, ed Intesa Sanpaolo, in flessione del 2,23%.
Riflettori sempre accesi su Rcs Mediagroup, oggi in ribasso dell’1,28% nell’ultimo giorno dell’aumento di capitale dopo i rumors che vorrebbero la Consob indagare sulle nuove posizioni di controllo all’interno del gruppo; anche Telecom Italia ha terminato la seduta con una perdita del 3,58% dopo la rottura delle trattative con Hutchison Whampoa in merito al progetto di integrazione con 3Italia.
Sul fronte del debito sovrano si stabilizza lo  spread tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni, ridisceso a 270 Bp (Basis point, punti base) con un rendimento del titolo italiano (Btp maggio 2023) sceso al 4,41%; in calo anche lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, sceso a 176 Bp con un rendimento dell’1,85%.
Portatosi a 292 Bp infine il differenziale tra i titoli di Spagna e Germania, con i Bonos che pagano oggi un rendimento del 4,64%.

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