Piazza Affari dalla palude della crisi alle sabbie mobili del debito

TRIESTE –  L’ottava di Borsa conclusasi lo scorso venerdì con il secondo rally consecutivo di Piazza Affari in altrettante sedute ha portato il FTSE Mib, il più significativo indice di Borsa Italiana, ad un incremento di periodo del 4,5% che, a sua volta, ha ridotto il disavanzo da inizio anno allo 0,92%.

Sempre in tema di disavanzo, riflettori centrati sulle rilevazioni dell’Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea che raccoglie ed elabora dati dagli Stati membri, che ha oggi comunicato i propri studi sul primo trimestre 2013: nel Bel Paese il rapporto tra debito e PIL (Prodotto Interno Lordo, il valore totale dei beni e servizi prodotti in un Paese) è impietosamente balzato al 130,3% contro il 127% dell’ultimo trimestre del 2012 ed il 123,8% del primo trimestre dello scorso anno. 

Il debito pubblico dell’Eurozona prosegue, dunque, la crescita in rapporto al PIL dell’area, incrementandosi in ben 21 paesi della Zona Euro; l’allargamento trimestrale dell’Italia è superiore alla media europea, pur mantenendosi solo il sesto maggiore dietro ad Irlanda, Belgio, Spagna, Malta, Grecia e Portogallo.

Il dato rilevato da Bruxelles pone il nostro Paese ben al di fuori dalle misure ideali fissate dal «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria» entrato in vigore il 1° gennaio di quest’anno, noto ai più come Fiscal Compact o patto fiscale: una serie di “regole d’oro” che sanciscono l’obbligo di riduzione del debito nazionale al ritmo del 5% all’anno fino a raggiungere un rapporto sul PIL pari al 60%, un obiettivo che comporta correzioni dei conti pubblici non da poco.

Anche quest’anno il PIL del Bel Paese è visto in ulteriore decrescita ed a giugno il tasso di disoccupazione si è posizionato al livello più elevato dal 1977, il 12,2%; per contro la produzione manifatturiera sembra migliorare, tanto che l’indice Pmi che la sintetizza è cresciuto, pur rimanendo ancora un pelo al di sotto di quella soglia 50 che è considerata lo spartiacque tra recessione ed espansione: dopo oltre cinque anni dobbiamo constatare di non esserci messi ancora alle spalle la crisi.

Il mantra fin troppo sentito negli ultimi tempi vuole il rispetto dell’obiettivo di un deficit al 3% per portare l’Italia nel novero dei Pesi virtuosi, ma in realtà il rapporto tra debito e PIL si stabilizza soltanto in presenza di una crescita del 2,3%: fatto 100 il PIL e 130 il debito, un deficit del 3% incrementa il debito di 3/130 (che corrispondono al 2,3%), necessitando di un medesimo incremento dell’altro termine (il PIL) per mantenere l’equivalenza del rapporto.

In realtà oggi stiamo vivendo una situazione in cui  il debito pubblico aumenta ed allo stesso tempo calano consumi ed investimenti, che a loro volta fanno calare il PIL; conseguentemente il rapporto debito/Pil peggiora e continua a peggiorare perché siamo costretti ad attuare misure di restrizione fiscale (tagli alla spesa pubblica od aumento delle tasse) che acutizzano ulteriormente questo circolo vizioso. Un contesto poco confortante che sembra smentire le politiche incentrate sull’austerità per uscire dalla crisi, in attesa di quell’accumulo di «usura, degrado e obsolescenza», per citare John Maynard Keynes, tale da costringere le autorità ad agire.

Sull’onda lunga dell’ottimismo per i dati macro americani di venerdì scorso che, insieme alle trimestrali, questa settimana potrebbero confermare un rafforzamento dell’economia a stelle e strisce, prima seduta di ottava con il segno più per le Borse dell’Asia.

La vittoria del premier Shinzo Abe alle elezioni in Giappone per il parziale rinnovo della Camera Alta non scuote più di tanto i mercati, dove l’affermazione dell’Abenomics era data per scontata e si guarda già alla fase successiva, l’applicazione di quelle riforme che, insieme all’incremento della spesa pubblica ed al sostegno monetario erogato dalla Banca centrale del Giappone (BoJ), costituiscono il finora rimandato “terzo pilastro” della politica di Abe. A Tokyo l’indice Nikkei ha chiuso in rialzo dello  0,47% mentre si sono mostrate in lieve flessione Hong Kong (-0,11%) e Shanghai (-0,21%).

L’intonazione assunta dai mercati asiatici ha giovato anche ai listini del Vecchio Continente, dove le Borse europee hanno aperto con il segno più per poi proseguire in maniera contrastata; gli operatori hanno preferito muoversi con i piedi di piombo, così i listini continentali hanno chiuso in leggero rialzo anche se poco mossi, tranne Londra (-0,11%); corre  Lisbona (+2,45%) dopo la conferma del presidente portoghese Cavaco Silva sulla tenuta del governo in corso, seguita da Parigi (+0,37%), Madrid (+0,29%) e Francoforte (praticamente invariata).

Piazza Affari (FTSE Mib +0,68%,  FTSE Italia All Share +0,65%) ha nuovamente chiuso tra le più positive, grazie alle ottime performances di Rcs Mediagroup (+3,42%), opacizzata dall’interessamento della Consob sull’ingresso di Urbano Cairo nell’azionariato, e Saipem (+2,71%), alla quale gli analisti di Barclays hanno migliorato il giudizio da “equalweight” (neutrale) a “overweight” (sovrappesare) sulle prospettive di un consistente ritorno all’utile.

Sul fronte del debito sovrano in contrazione lo spread tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni: dopo aver oscillato nel corso della giornata tra i 280 e i 291 Bp (Basis point, punti base) ha chiuso a quota 279,7 Bp, con un rendimento del titolo italiano (Btp maggio 2023) sceso al 4,305%; in flessione anche lo spread tra titoli con scadenza a due anni, sceso a 171 Bp ed equivalente ad un rendimento ridottosi all’1,8%.

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