Tapering e G-20: le Borse sbandano, ma recuperano in chiusura

TRIESTE – Settimana ricca di appuntamenti e spunti macroeconomici quella appena trascorsa e che ci accingiamo a commentare, quasi a sottolineare il ritorno al lavoro dopo l’estate vacanziera della grande volatilità e della bassa liquidità.

La chiusura di lunedì del mercato statunitense e canadese per il “Labor Day” ha chiaramente sottolineato l’attuale tendenza dei listini, ancora in balia delle aspettative di breve periodo e di una liquidità in fase di miglioramento ma non ancora “a regime”, complici le tensioni internazionali sulla questione siriana che alternano picchi di panico a momenti di ottimismo, subitaneamente accolti e riflessi dalle piazze finanziarie.

Negli Stati Uniti il mercato del lavoro continua a dare segni di miglioramento, con l’afflusso di nuovi ordinativi per il settore manifatturiero e per quello del terziario che si trasformerà in un ulteriore impulso per la crescita economica; da sottolineare inoltre come, per la prima volta dall’insorgere della crisi (2008), la ripresa sembra procedere di pari passo sia nei Paesi occidentali che in Giappone, con gli indicatori economici ad indicare inequivocabilmente la stessa tendenza per tutte le economie avanzate.

Finalmente anche l’Eurozona, l’insieme dei 17 stati membri dell’Unione Europea che adottano l’euro come valuta ufficiale, sembra riemergere dalle paludi di una lunga recessione, come sembra dimostrare l’indice aggregato degli addetti agli acquisti (PMI, Purchasing Managers Index) che, collocatosi a quota 51,5 nel mese di agosto, ha superato lo spartiacque (valore 50) che divide la fase recessiva da quella espansiva, a segnalare un modesto aumento della produzione atteso per i prossimi mesi.

Quello che fa ben sperare nel dato non è stato tanto il “solito” apporto della Germania, peraltro interessata a luglio da una forte flessione (-2,7%) degli ordini all’industria e da una contrazione delle esportazioni (-1,1%) superiori alle attese degli analisti, quanto i notevoli progressi messi a segno dagli altri Paesi, Italia e Spagna su tutti.

L’Eurostat, l’ufficio della Commissione Europea che raccoglie ed elabora dati dagli Stati membri a fini statistici, ha comunicato che nel mese di luglio i prezzi alla produzione e le vendite al dettaglio nella Zona Euro si sono incrementati, mentre nel secondo trimestre di quest’anno il PIL (Prodotto Interno Lordo il valore totale dei beni e servizi prodotti) ha evidenziato un aumento dello 0,3% su base trimestrale e una flessione dello 0,5% su base annuale, confermando le stime diffuse nelle scorse settimane.

Il terziario ad agosto in Italia è cresciuto meno delle attese, in Francia è risultato in leggero miglioramento; il dato indica per questi paesi un settore ancora in fase di contrazione, mentre in Germania, dove è cresciuto più delle stime, la fase espansiva si conferma.  Il netto progresso di tutti gli indicatori denota che l’economia della Zona Euro potrebbe finalmente essere in fase di stabilizzazione, avendo ormai superato buona parte degli effetti negativi legati al risanamento dei conti pubblici.

Il primo “market mover” (evento di importanza tale da influenzare i mercati) della settimana borsistica ha riguardato ieri le decisioni di politica monetaria attuate dalla BOE (Bank of England) e dalla BCE (Banca Centrale Europea): entrambe hanno confermato il saggio dei propri tassi d’interesse allo 0,5%, la prima confermando a 375 miliardi di sterline l’ammontare degli acquisti di titoli di Stato (Quantitative Easing), la seconda ribadendo che i tassi di interesse (compreso quello sui depositi) resteranno bassi per un prolungato periodo di tempo, senza però precisarne la durata.

Nel corso della conferenza stampa a commento delle decisioni di politica monetaria della BCE, il suo numero uno, Mario Draghi, ha riaffermato che nel medio periodo il tasso di inflazione resterà sotto il livello di riferimento del 2%, scopo principale dell’istituzione di Francoforte, mentre in autunno sarà discussa la possibilità di pubblicare i verbali delle riunioni della banca centrale, come invece già avviene in America per la Fed. Lo staff della BCE ha anche fornito nuove stime sul PIL e sull’inflazione nell’Eurozona per il biennio 2013/2014: per l’esercizio in corso si prevede un calo del PIL dello 0,4%, migliore della stima a giugno, mentre per il 2014 la previsione di crescita è scesa all’1% (-0,1%); inflazione incrementata all’1,5% (+0,1%) per il 2013 e confermata all’1,3% per il 2014.

Il secondo “market mover” della settimana, in agenda quest’oggi in chiusura di seduta, riguardava invece la comunicazione del dato USA relativo alla disoccupazione: il rapporto del lavoro di agosto non ha del tutto centrato le stime, lasciando ancora in sospeso le attese sulle prossime mosse della Federal Reserve per quanto riguarda le iniezioni di liquidità (il così detto “tapering”, la progressiva riduzione del programma di stimoli). Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,3%, ai minimi da dicembre 2008, ma il numero dei posti creati (169.000) è inferiore alle attese ed il tasso di partecipazione alla forza lavoro è sceso al 63,2%, segno che sempre più americani rinunciano a trovare un’occupazione.

Notizie poco confortanti anche dal G-20 in programma da ieri a San Pietroburgo, con la riforma delle regole della finanza internazionale dopo la crisi globale ancora al palo: sul fronte economico gli animi sembrano più distesi, tanto da approvare un comunicato secondo il quale l’economia mondiale sta migliorando, anche se non ha ancora superato la recessione.

In realtà il Financial Stability Board, l’organismo che riunisce le autorità di vigilanza alle quali è stata demandata l’elaborazione delle nuove regole, avrebbe dovuto presentare i progressi sui quattro punti ritenuti fondamentali per rendere più sicuro il sistema finanziario globale: lo “shadow banking”, il sistema bancario “ombra” che di fatto svolge intermediazione creditizia fuori dal sistema bancario regolamentato, il problema delle banche “too big to fail”, considerate troppo grandi per fallire, uno stato di cose cui le autorità sono determinate a mettere fine, i derivati trattati “over-the-counter”, cioè fuori dai mercati regolamentati, nei quali il G-20 sta cerando di concentrare il trading, le agenzie di rating, i cui cambiamenti di valutazione hanno spesso prodotto forti turbolenze di mercato e delle quali si vorrebbe ridurre il peso.

Argomenti sui quali si registrano ancora molte resistenze e difficoltà, come sulla questione della Siria: un G-20 «spaccato in due», queste le testuali parole del presidente russo Putin, in disaccordo con il suo omologo statunitense Barack Obama, che insiste sui raid aerei in risposta all’uso di gas nervino di Damasco.

Ultima seduta di ottava con il segno meno per le Borse asiatiche, dove l’indice MSCI (Morgan Stanley Capital International) della regione ha chiuso in calo dello 0,4%: gli operatori hanno alleggerito le posizioni in attesa dei dati chiave sull’occupazione USA di oggi; a Tokyo seduta in ribasso dell’1,45% a causa delle prese di beneficio e del calo dei titoli legati al settore edile  sulle preoccupazioni per una possibile esclusione della candidatura della capitale nipponica per le Olimpiadi del 2020, decisione che si terrà domenica prossima.

Avvio di giornata cauto per le principali Borse europee, anch’esse in attesa dei dati sulla disoccupazione a stelle e strisce, con i movimenti più rilevanti legati ad alcune operazioni di fusione ed acquisizione; a dominare le preoccupazioni degli operatori il “tapering” e la crisi in Siria, soprattutto quest’ultima fonte di un accentuato nervosismo trasformatosi in sbandata (poi corretta) a metà pomeriggio, su di un temuto ritorno agli scenari da guerra fredda rievocati dal presidente russo Vladimir Putin con la dichiarazione che assisterà Damasco in caso di attacco americano. 

Chiusura di giornata e di settimana in rialzo per Piazza Affari (FTSE Mib +1,21%, FTSE Italia All Share +1,06%) ed i maggiori listini del Vecchio Continente: Madrid in progresso dell’1,23%, Parigi dell’1,06%, Francoforte dello 0,49% e Londra, fanalino di coda, solo dello 0,23%.

A Milano le contrattazioni sono state condizionate anche dall’ipotesi di una crisi di Governo, paventata dagli ambienti economici come un grande passo indietro sulla strada per uscire dalla crisi economica, che vede l’Italia ancora ferma al palo mentre il resto dell’Eurozona sembra aver sconfitto la recessione. A Piazza Affari gli operatori si sono aggrappati alle Blue Chip: forte rialzo per Enel (+4,89%), favorita da un positivo report di UBS; discreti i bancari, con Unicredit (+0,83%) votata alla crescita interna ed in tenuta su crediti “non performing”, mentre Montepaschi (-0,19%) paga le voci della necessità di un aumento di capitale. Tra gli industriali note positive per Finmeccanica (+0,98%) che ha continuato a cavalcare la possibile cessione di Ansaldo (+3,11%, congelata al rialzo), nel mirino di General Electric.

Sul fronte del debito sovrano in rialzo lo spread, la differenza di rendimento tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni, salito a quota 245 Bp (Basis point, punti base) rispetto ai 250 Bp di ieri, portando il tasso del titolo italiano (Btp maggio 2023) al 4,50%.

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