Rinviato il “debt ceiling”. Vola Wall Street, cauta Piazza Affari

TRIESTE –  L’avvio piuttosto pesante di questa settimana di Borsa, legato alla grande incertezza relativa alla politica fiscale degli Stati Uniti, incentrata sullo scottante dibattito sull’innalzamento del tetto del debito pubblico (il cosiddetto “debt ceiling”), ha risvegliato i mercati dal torpore nel quale erano sprofondati da settimane, facendo precipitare Wall Street ai minimi degli ultimi undici mesi e determinando l’apertura negativa anche dei listini europei.

Dopo il miglioramento di quest’estate degli indici globali di attività economica, costituiti dal cambio di marcia degli indicatori di fiducia nel settore manifatturiero americano e dai primi segnali di ripresa nell’Eurozona, uscita dalla recessione associata alla crisi del debito, la velocità di fondo della produzione globale e del commercio internazionale sono rimaste basse, facendo così temere un “risk off”, cioè un contesto in cui gli operatori trasferiscono la propria liquidità dagli asset rischiosi (tipicamente azioni, ma anche valute ad alto rendimento, alcune materie prime, bond periferici) verso i cosiddetti “beni rifugio” (valute come yen, franco svizzero e dollaro americano, obbligazioni governative ed oro), ma ciò non è avvenuto a causa di una scenario generale caratterizzato da condizioni monetarie molto accomodanti, politiche fiscali contrastanti e poche tensioni sulle materie prime.

La strategia dei tassi zero e della liquidità abbondante adottata dalle banche centrali solitamente favorisce i mercati azionari e gli asset rischiosi, ma il rovescio della medaglia è costituito dalla possibilità che così facendo si possano creare delle bolle speculative: questo il motivo dietro alla graduale  riduzione delle loro misure di sostegno, che incontra non poche difficoltà nella “dis-assuefazione” dei mercati.

In pratica la Federal Reserve (Fed) e le sue controparti europea (BCE, Banca Centrale Europea) e giapponese (BOJ, Bank of Japan) si trovano di fronte al delicato compito di normalizzare le proprie politiche monetarie senza provocare un caos sulle Borse mondiali, ormai dipendenti dalla liquidità: basti ricordare l’ondata di vendite provocata a maggio dal semplice accenno ad un piano di “tapering”, la riduzione degli stimoli sul mercato americano.

Questo il complesso quadro sul quale insiste la questione dell’innalzamento del tetto del debito pubblico a stelle e strisce, il più importante “porto sicuro” a livello mondiale che non sarebbe più tale in caso di default tecnico, a cui seguirebbe un aumento generalizzato e strutturale dei premi per il rischio: una sorta di “arresto cardiaco” finanziario simile a quello legato al crack Lehman Brothers, ma stavolta con spazi limitatissimi per l’applicazione di ulteriori e salvifiche manovre monetarie e fiscali.

Questa consapevolezza e l’avvicinarsi della scadenza del termine ultimo per il dibattito (17 ottobre) hanno portato tanto il presidente Obama, in leggero vantaggio per non doversi più confrontare con l’elettorato a fronte di un rinnovo del mandato, quanto i Repubblicani a spostare l’attenzione dall’Obamacare verso il programma assistenziale e la riforma fiscale, rendendo più vicino il raggiungimento di un compromesso che parte dall’innalzamento del debito federale per un periodo di sei settimane, posticipando così la resa dei conti al prossimo 22 novembre. 

Immediata la positiva reazione dei mercati azionari di cui hanno beneficiato quanti, approfittando della latitanza dei più importanti dati sul mercato del lavoro americano, si sono affidati al principio del «buy the rumor, sell the news» (compra sulle aspettative, vendi sulle certezze). Un toccasana tanto per Wall Street, che ieri ha chiuso in rally segnando la seconda migliore performance dall’inizio dell’anno, quanto per l’Europa, reduce da una positiva seduta alla vigilia e da positivi riscontri macroeconomici.

In Germania ad agosto la bilancia commerciale ha mostrato un saldo positivo, dovuto ad un discreto aumento delle esportazioni (+1% mese su mese) e ad una crescita della produzione industriale migliori delle attese degli analisti, nonostante la sorpresa di una flessione degli ordini all’industria (-0,3% su base mensile).

La fotografia scattata dall’Istat al Bel Paese nello stesso mese ha deluso le previsioni degli addetti ai lavori, ritraendo un calo della produzione dello 0,3% rispetto al mese precedente e del 4,6% su base annuale; anche l’inflazione a settembre ha subito una flessione dello 0,3% su base mensile pur crescendo dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, realizzando così la crescita tendenziale più bassa degli ultimi quattro anni. Dati non certo confortanti che trovano conferma nelle stime sulla crescita del PIL (Prodotto Interno lordo) nel biennio 2013/2014 elaborate dal Fondo Monetario internazionale (FMI), che ne prevede un calo dell’1,8% per l’esercizio in corso a fronte di una crescita dello 0,7% l’anno successivo.

Un minimo conforto giunge dalle parole pronunciate da Mario Draghi all’Economic Club di New York, dove il governatore della BCE ha rassicurato il gotha della finanza e dell’imprenditoria americana promettendo «la crescita economica in Europa», favorita da tassi di interesse che «rimarranno bassi a lungo» ed i cui margini lasciano spazio ad eventuali ulteriori riduzioni. Considerato poi che anche una politica monetaria accomodante ha i suoi limiti, il numero uno della BCE ha inoltre evidenziato come questo sia il momento giusto per tagliare le tasse, ridurre le spese, procedere con le riforme strutturali e rilanciare l’economia attraverso la leva fiscale, mediante riforme strutturali a livello nazionale e la creazione dell’unione bancaria a livello europeo.

Seduta positiva per i mercati asiatici che hanno beneficiato delle schiarite sui negoziati per l’innalzamento del debito Usa: nell’indice MSCI Asian (+1,2%) per ogni azione in calo se ne sono registrate quattro in crescita. La Borsa di Tokyo ha concluso gli scambi in rialzo dell’1,48% grazie alla buona intonazione dei titoli maggiormente esposti al mercato Usa, che continuano a salire sulla scia del deprezzamento dello yen nei confronti del dollaro. Giornata positiva anche per le Borse cinesi, con Shanghai in rialzo dell’1,7% ed Hong Kong che ha fatto registrare il +1,24%; fine settimana di attesa per gli aggiornamenti dei dati macroeconomici, con gli analisti a prevedere che l’ex Celeste Impero possa crescere in maniera stabile nel lungo periodo.

Avvio in rialzo, poi proseguito all’insegna della volatilità, per i listini europei nell’ultima sessione dell’ottava, pronti a capitalizzare il risultato positivo delle trattative sul debito Usa ed in scia ai guadagni realizzati da Wall Street e dalle Borse asiatiche; l’ottimismo per il raggiungimento di una soluzione ha interessato soprattutto i titoli del settore farmaceutico, da sempre considerati un buon strumento di difesa, mentre un report negativo di Citibank ha frenato il comparto dell’energia, soprattutto i grandi gruppi tedeschi paragonati a dinosauri messi in crisi dall’evoluzione verso le energie rinnovabili. L’aver rotto gli indugi sembra esser bastato alle principali Borse del Vecchio Continente: positive Londra (+0,88%) e Francoforte (+0,22%), praticamente invariate Parigi (+0,04%) e Madrid (+0,08%). 

Giornata poco mossa ed ultima seduta di ottava interlocutoria per Piazza Affari (FTSE Mib +0,24%, FTSE Italia All Share +0,27%), nella giornata di collocamento di due tranche di Btp (con scadenza 15 novembre 2016 e 1 settembre 2028) ed una di CCTeu (con scadenza 1 novembre 2018), per ognuna delle quali si è registrato il tutto esaurito con tassi in deciso calo. Titoli bancari al centro della scena a seguito di un report di Citigroup che ha alzato il prezzo obiettivo di Unicredit (rating “neutrale”), IntesaSanpaolo (rating “sell” – vendere), Monte dei Paschi di Siena (rating “sell” – vendere) e Banca Popolare di Milano (rating “neutrale”); in grande spolvero Autogrill (+5,47%), al quale Mediobanca ha confermato la raccomandazione “outperform” (farà meglio del mercato) ed Ansaldo STS (+2,75%), ai massimi da luglio del 2010 a seguito della probabile acquisizione da General Electric della società attiva nel settore dei sistemi di trasporto ferroviari e metropolitani.

Tra gli industriali praticamente invariata Fiat (+0,16%) ed in calo Finmeccanica (-3,87%); tra gli energetici il netto calo di Saipem (-4,28%), oggetto di downgrade da parte di Kepler Cheuvreux (“reduce” – ridurre in portafoglio), si contrappone alla performance di Enel (+1,14%), promossa dagli analisti di HSBC con il giudizio di “overweight” (sovrappesare).

Sul fronte del debito sovrano in calo lo spread, la differenza di rendimento tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni, che chiude a 241 BP (Basis point, punti base) per un tasso del 4,27%; il differenziale tra il Bonos spagnolo (decennale) ed il Bund tedesco avente stessa scadenza è di 242 Bp, con un rendimento del titolo iberico del 4,28%.

Condividi sui social

Articoli correlati