Dall’Oriente all’Europa la mancanza di spunti frena le Borse

TRIESTE – Per quanto da alcune settimane a questa parte non si ravvisino spunti particolari per quanto concerne i mercati finanziari, abbiamo assistito ad un’ottava di Borsa caratterizzata da un susseguirsi di nuovi massimi registrati su più Borse: ieri record a Wall Street con il Dow Jones per la prima volta nella storia oltre quota 16mila punti dopo che, lunedì scorso, lo S&P500 aveva superato quota 1.800 punti stabilendo, assieme al Dax tedesco, un nuovo primato; picco degli ultimi sei mesi, infine, per l’indice Nikkei di Tokyo.

Un rally del  mercato azionario molto distante dai fondamentali dell’economia reale, sostenuto dall’enorme liquidità iniettata nel sistema dalle banche centrali, nuovamente al centro dell’attenzione sia per l’apparizione di Janet Yellen al Congresso, confermata nell’incarico di nuovo Presidente del Consiglio della Federal Reserve a partire dal prossimo anno, che per la presentazione del Rapporto sull’inflazione della Banca d’Inghilterra. 

Dopo quattro settimane consecutive di guadagni ed il superamento di importanti soglie psicologiche sugli indici, gli investitori sembrano sempre più attenti alle direzioni di politica monetaria delle banche centrali, in particolare della Federal Reserve: in definitiva il mercato continua ad aggrapparsi alla prospettiva di mantenimento di una politica decisamente accomodante e, finché la dinamica della liquidità non cambierà ed i tassi di interesse non aumenteranno, non sembrano esserci motivi particolari per liquidare gli indici, al di là naturalmente di normali logiche di prese di beneficio e rimbalzi tecnici.

Da alcuni mesi la produzione industriale negli Stati Uniti è in moderato aumento, con gli ordinativi di beni durevoli nettamente positivi e gli indici dei direttori d’acquisto (indici ISM) fiduciosi per le prospettive di crescita; l’inflazione rimane inferiore alla soglia del 2% ed il tasso di disoccupazione, che all’inizio dell’anno prossimo scenderà al di sotto del 7%, non accenna ad arrestarsi: un insieme di fattori che dovrebbero indurre la Fed ad un’inversione di rotta lenta e graduale, con l’attuale presidente Ben Bernanke a ribadire che non c’è fretta nel ritirare le misure straordinarie di acquisti già programmate, mantenendole in vigore per tutto il tempo necessario.  

Sull’altra sponda dell’Atlantico l’Eurozona prosegue il suo lento miglioramento, sulla scia di dati abbastanza mediocri: stagnazione della produzione industriale, frenata della crescita degli indici PMI, inflazione globale ad un livello storicamente molto basso, volume dei prestiti al settore privato in continua riduzione evidenziano che la ripresa è ancora al palo, suggerendo che la BCE possa fare di più rispetto al taglio della settimana scorsa, magari uno slittamento in territorio negativo dei tassi sui depositi teso a contrastare la forza dell’euro e giustificato dall’immobilità del mercato del credito, che sta effettivamente mettendo in difficoltà diversi Paesi europei e le loro esportazioni. 

La situazione nel Bel Paese evidenzia che a settembre gli ordinativi all’industria sono cresciuti con un incremento congiunturale dell’1,6%, frutto di un aumento del 4,8% degli ordinativi esteri e di una flessione dello 0,8% di quelli interni, mentre le vendite al dettaglio hanno registrato un calo su base annua del 2,8%; sempre secondo quanto diffuso dall’Istat, ad ottobre le retribuzioni contrattuali orarie si sono incrementate dell’1,4% rispetto all’anno precedente; il PIL italiano dovrebbe invece subire una contrazione dell’1,9% nel 2013 per poi tornare a crescere nel 2014, con un rapporto debito/PIL che si attesterà al 132,7% in quest’esercizio, per poi salire al 133,2% in quello successivo.

Ultima seduta di ottava positiva per i principali listini asiatici: Tokyo (+0,1%) ha potuto concedersi il lusso di lasciare spazio ai realizzi grazie alla chiarezza delle misure di politica monetaria praticate dalle Bank of Japan (obiettivo inflazione al 2%), che aiutano gli analisti nelle loro previsioni sull’andamento del cambio e sull’impatto che questo ha sulle stime degli utili societari; Borse cinesi contrastate, con Shanghai che ha ceduto lo 0,43% mentre Hong Kong ha chiuso in rialzo dello 0,46%.

Dopo un avvio in crescita, le principali piazze finanziarie del Vecchio Continente si sono presentate deboli a metà seduta, nonostante la crescita dell’indice IFO (che misura la fiducia delle aziende tedesche) che, seppur oltre le attese, non è bastata a far scattare gli acquisti sui mercati; neppure il buon andamento di Wall Street è riuscito a contagiare le Borse europee, che hanno chiuso la settimana all’insegna della prudenza: Londra ha ceduto lo 0,11%, Francoforte è avanzata dello 0,25% e Parigi dello 0,58%.

A Milano, dopo un’apertura piatta, Piazza Affari (FTSE Mib -0,1%, FTSE Italia All Share -0,08%) chiude in moderato ribasso una seduta poco movimentata, caratterizzata da oscillazioni senza troppi spunti attorno alla parità, con bassi volumi e pochi temi. 

Seduta positiva per Fiat (+1,36%), che ha beneficiato della favorevole valutazione dell’Ipo di Chrysler da parte delle banche incaricate di gestire il collocamento; in ripresa Mediaset (+3,74%), che dopo lo scivolone di ieri è stata confermata da Goldman Sachs nella sua lista dei titoli da comprare; in guadagno Telecom Italia (+0,58%) nonostante lo scontro in atto tra gli attuali vertici e Marco Fossati, che lamenta di essere stato escluso dall’emissione del convertendo; contrastate le banche, mentre tra gli assicurativi calo di Generali (-0,84%) che ha di fatto smentito l’interesse per Sace, la società pubblica che assicura i crediti legati alle esportazioni delle imprese italiane di cui il governo ha annunciato la privatizzazione.

Lieve diminuzione dello spread, la differenza di rendimento tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni, che ha la seduta a 233 BP (Basis point, punti base) per un tasso del 4,07%; il differenziale della Spagna nei confronti del Bund tedesco archivia invece la sessione a 235 punti base, col rendimento dei Bonos al 4,09%. 

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