Il “tapering” si avvicina ma a Piazza Affari riesce il rimbalzo

TRIESTE – Forti prese di profitto, mancanza di pubblicazioni macroeconomiche importanti e ritorno alla volatilità giustificano l’incertezza dimostrata questa settimana dai mercati, dominati dai timori sulle prossime mosse delle principali banche centrali: la Federal Reserve (Stati Uniti d’America), la BOE (Bank of England) ed infine la BCE (Banca Centrale Europea).

Partiamo da un’analisi dell’operato delle ultime due, riunitesi entrambe ieri per deliberare ciascuna le proprie strategie di politica monetaria. Come da attese, la Banca Centrale d’Inghilterra non ha modificato i tassi di interesse, confermando il saggio di riferimento allo 0,5%, lo stesso dall’ormai lontano marzo 2009, ribadendo a 375 miliardi di sterline l’ammontare del programma di acquisto di titoli di stato (Quantitative Easing).

Nessuna sorpresa neanche dalla riunione della BCE, l’ultima del 2013, che ha visto riconfermare allo 0,25% il tasso di interesse di riferimento; lo staff dell’istituto ha poi fornito le nuove stime sul Pil e sull’inflazione nell’Eurozona relative al biennio 2013/2014: per l’esercizio in corso si prevede un calo del PIL (Prodotto Interno Lordo, il valore totale dei beni e dei servizi prodotti in un Paese) dello 0,4%, mentre per il 2014 si è ritoccata al rialzo la previsione, portandola dall’1% all’1,1%; infine per il 2015 gli esperti stimano un incremento dell’1,5%. A queste previsioni si contrappongono quelle relative all’inflazione, ridotta all’1,1% per il 2014 ed indicativamente stimata attorno all’1,3% per il 2015.

Nella consueta conferenza stampa a commento delle decisioni di politica monetaria, il numero uno della BCE, Mario Draghi, ha confermato per l’ennesima volta che i tassi di interesse resteranno a questi livelli od a valori inferiori per un esteso periodo di tempo, precisando che nella recente riunione non è stata discussa la possibilità di un loro ulteriore taglio; allo stesso modo ha tenuto a specificare l’insussistenza di una possibile nuova operazione (la terza) di finanziamenti a lungo termine (LTRO), dovuta ad uno scenario macroeconomico notevolmente diverso rispetto al precedente utilizzo dello strumento, con le risorse all’epoca messe a disposizione utilizzate prevalentemente per acquisti di titoli di Stato. L’ultimo commento saliente è stato riservato all’inflazione: prevista al di sotto del 2% nel medio periodo ed associata a timidi miglioramenti della crescita economica, secondo il banchiere questa condizione caratterizzerà per un lungo lasso di tempo il contesto operativo.

La pubblicazione del Beige Book (rapporto sulle condizioni economiche correnti nei dodici Distretti della Federal Reserve) mercoledì sera non ha portato novità sostanziali, ribadendo il momento di crescita moderata, con incoraggianti segnali provenienti dalla manifattura, salari in lieve rialzo ed un’inflazione ancora contenuta. Per trarre qualche debole indicazione circa le prossime manovre della banca centrale americana si è dovuta quindi attendere l’odierna pubblicazione dei dati riguardanti i Non Farm Payrolls ed il Tasso di Disoccupazione: i nuovi posti di lavoro nei settori non agricoli a stelle e strisce sono cresciuti di 203mila unità contro le 180mila attese, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 7% dal precedente 7,3%, il valore più basso da novembre 2008.

Dati che già dal prossimo meeting del 17-18 dicembre della Fed potrebbero spingere la banca centrale ad intraprendere il “tapering”, una riduzione compresa tra i 5 e i 10 miliardi degli stimoli (85 miliardi di dollari di acquisti al mese) messi a disposizione da Washington per il sostegno dei mercati e dell’economia, anche se l’incertezza legata al tetto del debito ed allo “shutdown” (la chiusura degli uffici federali per mancanza di fondi) potrebbe costituire un serio ostacolo per una simile decisione.

Tornando ai dati macro dell’Eurozona, a novembre si registra un’espansione dell’economia con l’indice composito del manifatturiero e del terziario in crescita a 51,7 punti (un valore inferiore a 50 punti indicherebbe invece recessione) ed il PIL che nel terzo trimestre è cresciuto dello 0,1%, pur registrando una flessione dello 0,4% su base annua; i dati disaggregati parlano di un’imprevista battuta d’arresto per Francia ed Italia, mentre la Germania è al contrario in forte miglioramento (55,7 punti, rispetto ai 52,9 del mese precedente).

Lettura deludente per le vendite al dettaglio nella Zona Euro, in contrazione dello 0,2% dopo essere già scese dello 0,6% il mese precedente, che si associa ad un forte calo degli ordini all’industria in Germania (-2,2% su base mensile), dato peggiore delle attese degli analisti.

Questa contrastata situazione del Vecchio Continente trova riscontro nell’altrettanto contrastata seduta oggi vissuta dalle principali piazze asiatiche. Chiusura di un’ottava dal bilancio negativo in rialzo per Tokyo (+0,81%), favorita dall’indebolimento dello yen nei confronti del dollaro Usa, mentre a Shanghai l’indice Composite ha ceduto lo 0,44% nel momento in cui l’Hang Seng guadagnava lo 0,13%.

I listini di Eurolandia sembrano oggi aver metabolizzato la delusione per le decisioni prese dalla Banca Centrale Europea con un’ultima di ottava all’insegna del bicchiere mezzo pieno: gli investitori stanno iniziando a comprendere che se la Fed smettesse di immettere liquidità significherebbe la ripresa della congiuntura, così la diffusione dei dati Usa sul mercato del lavoro ha consentito ai mercati del Vecchio Continente di allungare il passo: fatta eccezione per Madrid (+0,09%), sostanzialmente invariata, è un susseguirsi di rialzi tra Parigi (+0,72%), Londra (+0,83%) e Francoforte (+0,96%).

Ultima seduta della settimana all’insegna della volatilità per Piazza Affari (FTSE Mib +0,73%, FTSE Italia All Share +0,67%), fortemente segnata dalle performances dei bancari: dopo i pesanti ribassi subiti nelle ultime sedute sono continuate le vendite su Monte dei Paschi di Siena (-2,98%), penalizzato dalla prospettiva dell’aumento di capitale da 3 miliardi che al vaglio dell’assemblea del prossimo 27 dicembre ed in merito al quale non sono chiare le mosse della Fondazione MPS, in possesso di poco più del 33% delle azioni della banca senese; guadagni invece per Intesa Sanpaolo (+1,68%) ed Unicredit (+1,48%).

Tra i titoli a maggior capitalizzazione  citiamo Telecom Italia (-0,37%), ancora alle prese con l’Antitrust brasiliana secondo cui, se Telefonica è intenzionata a mantenere il controllo totale di Vivo, il maggiore operatore del paese nella telefonia mobile, deve rinunciare a Telecom Italia oppure deve vendere qualsiasi partecipazione, diretta o indiretta, detenuta in Tim Brasil; Generali (+0,55%) in rialzo nonostante il peggioramento del giudizio da parte degli esperti di Société Générale, dovuto alla possibile riduzione della redditività nel ramo danni nel biennio 2014/2015; in generale rialzo i petroliferi grazie ai progressi di Eni (+0,65%) e Saipem (+0,38%).  

In flessione lo spread, la differenza di rendimento tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni, che ha chiuso la seduta a 234 BP (Basis point, punti base) per un tasso sul decennale del 4,18%; in leggero calo anche lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, portatosi a 108 Bp per un rendimento tornato sotto l’1,30%.

Il differenziale della Spagna nei confronti del Bund tedesco archivia invece la sessione a 233 punti base, col rendimento dei Bonos al 4,17%. 

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