Borse: bene Milano, ma attenzione al “debt doom loop”

TRIESTE – Ottava di Borsa interessante quella che si è conclusa ieri, con Wall Street a viaggiare sui propri massimi storici e la situazione dell’Eurozona, a cominciare dalla locomotiva tedesca, in miglioramento, con tensioni che si allentano e prospettive più favorevoli.

Il clima di maggior fiducia che ne risulta è un vero toccasana per il risveglio del Vecchio Continente, poiché ogni ripresa necessita di attese positive per alimentarsi, quindi è con soddisfazione che accogliamo sia la discesa dei tassi del debito pubblico, in atto pressoché in tutti i Paesi rimasti sinora sotto pressione (Irlanda, Portogallo, Spagna), sia il diffuso apprezzamento dei titoli del comparto bancario, fenomeni entrambe in accelerazione dall’inizio di quest’anno.

Il giudizio della Banca Mondiale su di un’economia globale ormai ad un «punto di svolta» ed una lettera di Mario Draghi, presidente della BCE (Banca Centrale Europea), nella quale assicura alle banche che non sarà richiesto loro alcun adeguamento ai valori di mercato del prezzo dei titoli di Stato detenuti, hanno spinto il FTSE Mib, il principale indice azionario di Piazza Affari, a superare la soglia emotiva dei 20mila punti, riportando la Borsa di Milano ai livelli del luglio 2011, precedenti alla grande tempesta dello spread ed ai dubbi sull’effettiva tenuta dell’euro.

Certamente i livelli precedenti alla grande crisi globale provocata dai mutui sub-prime sono ancora lontanissimi (un ritorno a quei valori implicherebbe un raddoppio della media degli attuali prezzi) e Piazza Affari arriva buona ultima, tra le principali Borse continentali, nel recupero di quanto perso negli ultimi due anni, ciò nondimeno la discesa dello spread BTP-Bund attorno a quota 200 punti base permette al Tesoro apprezzabili risparmi sulla spesa per gli interessi, dunque nella gestione del debito pubblico.

Lungi dal voler interpretare il ruolo delle Cassandre, quello che preoccupa è il sempre più stretto legame venutosi a creare tra banche e Stati sovrani (il così detto “debt doom loop”, circolo vizioso del debito), che nel caso di una nuova crisi potrebbe vedere le une e gli altri trascinarsi vicendevolmente a fondo: nonostante i reiterati impegni dei vertici europei sino ad oggi susseguitisi, gli istituti di credito hanno continuato a fare incetta di titoli sovrani, impiegando così tutta la liquidità straordinaria fornita dalla BCE attraverso i LTRO (Long Term Refinancing Operation, piani di rifinanziamento a lungo termine).

Una recente rilevazione di Bankitalia indica che il portafoglio bancario di questi titoli, nel solo nostro Paese, è raddoppiato dai 200 miliardi di euro di fine 2011 ai 403 miliardi di novembre 2013, mentre nel contempo si sono ridotti i prestiti a famiglie ed imprese, con una stretta creditizia che parrebbe addirittura destinata ad inasprirsi; in sostanza, la situazione ancora difficile vissuta dall’economia reale si è rivelata per le banche un affare al quale difficilmente sottrarsi, strette tra la prudenza richiesta dall’aumento delle sofferenze  ed il vantaggioso arbitraggio tra la liquidità offerta dalla Banca di Francoforte e l’ascesa di titoli che rafforzano i bilanci.

Sin dal giugno 2012 i leader europei stanno ripetendo quanto sia «imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e Stati sovrani»: quantunque oggi possa apparire un rapporto virtuoso, non bisogna invece dimenticare che si tratta fondamentalmente di una mina vagante latente, pronta ad esplodere non appena l’attuale risalita dei titoli di Stato dovesse invertirsi, soprattutto in un Bel Paese dove la prevalenza del settore bancario vale circa il trenta per cento dell’intera capitalizzazione della Borsa.

Nel nostro commento di inizio ottava avevamo indicato nella pubblicazione del Beige Book della Fed sull’andamento dell’economia negli Stati Uniti uno dei momenti importanti della settimana borsistica: l’analisi ha rilevato un ritmo di crescita ancora modesto, con il settore manifatturiero pressoché invariato, la spesa dei consumatori in crescita ed il mercato immobiliare a mostrare segni di miglioramento.

Per contro l’Eurozona ha risposto con un dato globale dell’inflazione in calo a dicembre, in crescita in Francia ma in netta decelerazione nel nostro Paese, dove il tasso medio annuo del 2013 è stato pari all’1,2% (contro il 3,0% del 2012), ponendoci tra le nazioni con il tasso più basso (Grecia -1,8%, Cipro -1,3% e Lettonia -0,4%). Meglio delle attese la produzione industriale in Europa a novembre, in incremento dell’1,8% su base mensile e del 3% su base annuale, che ha contribuito a determinare un surplus di 17,1 miliardi di euro della bilancia commerciale, dato anch’esso leggermente migliore delle aspettative.

Saldo positivo di 3,1 miliardi di euro anche per la bilancia commerciale italiana, in ampliamento rispetto a novembre 2012 (+2,0 miliardi) nonostante una diminuzione sia dell’export (-1,9%) che dell’import (-2,2%).

Ennesimo record negativo invece per il debito pubblico del Bel Paese, che a novembre ha registrato un aumento a 2.104 miliardi di euro, livello più elevato in assoluto mai raggiunto sinora.

Ultima seduta di ottava debole per i listini asiatici, con speculazioni sui dati sulla fiducia degli investitori americani, sulla produzione industrial cinese e sulle prossime mosse della Federal Reserve ad incidere sull’umore degli operatori: Tokyo (-0,1%) ha chiuso sostanzialmente piatta, in scia al calo di Wall Street; su Shanghai (-0,93%) ha continuato a pesare l’effetto negativo delle nuove Ipo, mentre Hong Kong ha guadagnato lo 0,64%. Gli aggiornamenti sullo stato di salute dell’economia del Dragone, cioè i dati sulla produzione industriale in Cina, saranno pubblicati lunedì prossimo, ma tra gli economisti serpeggia la convinzione di un nuovo rallentamento del settore manifatturiero.

Avvio in rialzo invece per le principali Borse europee, proseguito all’insegna dell’ottimismo soprattutto grazie ai titoli minerari, da alcune sedute sono consigliati dagli analisti di diverse banche d’affari; i dati macro americani sono piaciuti nel Vecchio Continente che, accompagnati da un segmento alberghiero beneficiato dai buoni bilanci dalla catena francese Accor, hanno portato il segno più in chiusura di una seduta già positivamente impostata: sprint di Francoforte (+0,26%), dove l’indice DAX ha sfiorato quota 9.800 punti, su Londra (+0,20%) e Parigi (+0,19%), quest’ultima caratterizzata dal rally di Peugeot, più modesta Madrid (+0,10%).

Positiva nell’ultima seduta della settimana Piazza Affari (FTSE Mib +0,47%, FTSE Italia All Share +0,49%), che ha recuperato un avvio in ribasso grazie alle ottime performance fatte registrare da RCS Mediagroup (+4,22%), in linea con i target fissati nel piano industriale che le consentono di evitare un nuovo aumento di capitale, e Finmeccanica (+2,83%), che ha riaperto il bond con scadenza nel gennaio del 2021 collocandone una quantità aggiuntiva del titolo di 250 milioni di euro.

Giornata nervosa per i bancari, con Monte dei Paschi di Siena (-0,16%) incerto sulle voci di vendite di pacchetti detenuti dalla Fondazione MPS e dell’interesse per rilevare una quota dell’istituto da parte del fondo di investimento Pamplona Capital Management, che detiene già il 5,011% del capitale di Unicredit (-0,92%); progressi invece per Intesa Sanpaolo (+0,62%) e Popolare di Milano (+0,09%).

Tra i titoli a maggior capitalizzazione buona performance di Fiat (+3,55%), che rinnova i massimi da luglio 2011 beneficiando ancora dei dati sulle immatricolazioni di dicembre (in ripresa); in rialzo Generali (+0,18%) dopo che Goldman Sachs ha incrementato la valutazione sulla compagnia, pur confermandone il rating a“Neutrale”; infine in guadagno Telecom Italia (+1,78%) che, pur ribadendo la momentanea assenza di progetti, negoziazioni o offerte in merito alla controllata brasiliana, ha deliberato di definire una procedura ad hoc per ogni eventuale operazione straordinaria riguardante le partecipazioni detenute in TIM Brasil.

Ancora stabile il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, con lo spread a chiudere a 206 Bp (Basis point, punti base) ed il tasso sul decennale del Tesoro al 3,82%; invariato anche lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, frazionalmente salito ad 85 Bp dagli 84 della chiusura di ieri, con un rendimento rimasto sopra l’1%.

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