L’euroscetticismo non frena Piazza Affari, volano le banche

TRIESTE – Torna in scena la volatilità sui mercati finanziari in quest’ultima settimana, alimentata tanto dalle tensioni e dall’ evoluzione della situazione in Ucraina, per la quale il Fondo Monetario Internazionale (FMI) si prepara a stanziare un piano di aiuti fra i 14 e i 18 miliardi di dollari in cambio di riforme in alcuni settori chiave (comparto finanziario, politiche monetarie e di cambio, conti pubblici, energia), nonché dalle   dichiarazioni e dalla politica monetaria della Federal Reserve relative all’economia statunitense.

In Europa la BCE (Banca Centrale Europea) sembra reagire al continuo allentamento delle pressione sui prezzi al consumo, quindi al rischio di una fase di vera e propria deflazione all’interno dell’area Euro, senza intraprendere alcuna misura concreta, limitandosi cioè a ribadire l’impegno a garantire tassi di interesse ancora bassi per il prossimo futuro. L’estrema diversità delle posizioni all’interno della banca stessa condiziona negativamente le scelte dell’istituto centrale, mentre l’inflazione disattende (al ribasso) le attese non soltanto nei paesi periferici, ma persino in Germania: a marzo l’indice armonizzato dei prezzi al consumo ha segnato un aumento su base mensile dello 0,3% contro una stima di un +0,4% (+0,5% il dato di febbraio).

 

Contrazione della domanda interna ed elevati livelli di disoccupazione per gli uni, crescita limitata del reddito disponibile e continuo rafforzamento dell’Euro per l’altra, segnano i limiti di una crescita economica estremamente fragile e graduale, ulteriormente frenata dalle attuali politiche di austerità e dal costo delle riforme strutturali; ripresa legata quindi a doppio filo alle speranze di un contributo decisivo della domanda estera, che al positivo apporto statunitense contrappone la decisamente meno favorevole dinamica dei paesi emergenti.

 

Di fronte ad un simile contesto persino Jens Weidmann, presidente della banca centrale tedesca definito un “super-falco” della BCE, si sarebbe dimostrato favorevole a servirsi delle stesse strategie della Federal Reserve americana adottando un programma di Q HYPERLINK “http://www.soldionline.it/guide/glossari/finanza-quantitative-easing” \o “Quantitative Easing: Definizione” \t “_blank” uantitative Easing (allentamento quantitativo) in Europa, una svolta clamorosa influenzata dall’affermazione alle elezioni municipali francesi di una compagine che chiede l’uscita di Parigi dall’Euro, chiaro segnale di quanto la situazione si stia deteriorando.  

In realtà c’è da chiedersi se davvero la crisi attuale sia colpa della moneta unica, valutando quali sarebbero rischi ed opportunità di un suo abbandono, in una ridda di questioni, alcune molto tecniche, che ostacolano un’indubbia declinazione di cause ed effetti in campo economico e finanziario. 

Proviamo ad analizzare come si propone la questione per il Belpaese: se da un lato è incontestabile che le politiche di austerità imposte dall’UE rendano più difficile il rilancio dell’economia dei Paesi in difficoltà e la loro uscita della crisi, è altrettanto vero che le difficoltà strutturali della nostra economia, come la dimensione e la specializzazione produttiva di molte imprese, l’evasione fiscale e la corruzione, l’inefficacia e l’inefficienza della spesa pubblica, sono altrettanti ostacoli alla ripresa economica.

Secondo gli scettici l’abbandono dell’Euro consentirebbe all’Italia di sottrarsi ai vincoli del Fiscal Compact sulla spesa e riottenere la piena sovranità monetaria; così facendo riprenderebbe il controllo sulla spesa pubblica e sulla stampa di moneta che, abbinate ad opportune politiche di svalutazione, stimolerebbero le esportazioni secondo una politica espansiva, via della ripresa per la nostra economia.

 

Quanti invece sostengono la permanenza dell’Italia nella moneta unica ritengono che un ritorno alla Lira produrrebbe un generalizzato impoverimento sia finanziario che economico, generato da una moneta molto più debole dell’Euro sui mercati finanziari e da una svalutazione che, oltre a far aumentare i prezzi delle importazioni (tra le quali di materie prime come gas e petrolio) generando inflazione, comporterebbe il pagamento di interessi molto più alti degli attuali sul debito pubblico. 

 

In realtà è nostra convinzione che la permanenza nella Zona Euro non possa ridursi al semplice desiderio di lasciare le cose come sono, ma debba anzi coniugarsi ad una profonda riforma del sistema: l’ottenimento di un’effettiva Unione Bancaria, l’introduzione degli eurobond come sorta di assicurazione dei debiti pubblici degli stati membri, una banca centrale che agisca per stimolare l’economia non limitandosi al solo controllo dell’inflazione, una revisione del Fiscal Compact che decreti l’avvio di politiche industriali espansive e di investimento sulle persone, nella tecnologia e nelle infrastrutture. I processi di unificazione monetaria, è ben ricordarlo, iniziano dall’unione politica per giungere, dopo le modifiche e gli aggiustamenti istituzionali necessari, all’unificazione fiscale e monetaria: per l’Eurozona sta avvenendo semmai il contrario, da cui, almeno in parte, l’attuale crisi.

Nel frattempo accelera la massa monetaria M3 dell’Eurozona, cioè la quantità complessiva di moneta e di attività finanziarie che, per il loro grado di liquidità, possono svolgere le stesse funzioni della moneta: a febbraio si è registrato un +1,3% dopo il +1,2% di gennaio, mentre i prestiti al settore privato hanno segnato un -2,2% su base annua, ennesima contrazione di una sequenza negativa che procede da 22 mesi a questa parte. A marzo invece l’indice di fiducia economica nella zona Euro è risultato superiore alle stime degli analisti salendo a 102,4 punti rispetto ai 101,2 di febbraio; in miglioramento anche l’indice di fiducia dei consumatori (-9,3 punti dai -12,7 di febbraio).

 

A marzo 2014 la fiducia dei consumatori italiani ha segnato un vero balzo, incrementandosi di ben 4 punti e raggiungendo quota 101,7: è il valore più alto da giugno 2011, cioè da 33 mesi, anche se l’Istat avverte la difficoltà di confronti sul lungo periodo; variazione nulla mese su mese per le vendite al dettaglio e per i prezzi alla produzione dei prodotti industriali.

Rallenta infine l’inflazione in Germania, con l’indice armonizzato dei prezzi al consumo che a marzo ha segnato un rialzo dello 0,9% su base annua dopo il +1% di febbraio; su base mensile si è invece registrato un aumento dello 0,3%.

Seduta in leggero rialzo per i listini asiatici, guidati da una serie di dati macroeconomici sull’ economia nipponica: in aumento le vendite al dettaglio (+3,6% su base annua) e nono mese consecutivo di rialzo dell’inflazione (+1,5% annuo), segno che i tentativi del Governo di combattere la deflazione stanno avendo successo, ma al tempo stesso anche un significativo calo della spesa delle famiglie giapponesi (-2,5%) ed una disoccupazione al 3,6% a febbraio, ai minimi da luglio 2007. Questo insieme di dati ha consentito alla Borsa di Tokyo (+0,5%) di invertire un andamento inizialmente negativo, chiudendo la settimana all’insegna di un ottimismo che ha contraddistinto tutta l’ottava.

Contrastati  invece i listini cinesi, con Shanghai a perdere lo 0,24% ed Hong Kong a guadagnare l’1,09%, spinta dai rialzi delle società del settore auto e dai finanziari, che hanno riportato utili sopra le attese.

Avvio positivo sulle piazze finanziarie europee, che al giro di boa della seduta accelerano in scia ai dati macro della giornata; la fiducia dei consumatori salita oltre le attese e la spesa delle famiglie americane in crescita indicano come la congiuntura economica negli Usa e nell’Unione Europea si stia consolidando, portando a generalizzati progressi: bene Londra (+0,41%) seguita da Parigi (+0,74%) e Madrid (+1,27%), con Francoforte (+1,4%) prima della quartetto.

Piazza Affari (FTSE Mib +1,53%, FTSE Italia All Share +1,47%) ha terminato la settimana con una seduta decisamente positiva, rafforzando il rialzo dell’apertura e registrando la migliore performance del Vecchio Continente. Bancari protagonisti assoluti, beneficiati dal calo dello spread: seduta brillante per IntesaSanpaolo (+3,53%) che, dopo la presentazione dei risultati alla comunità finanziaria, ha beneficiato del miglioramento della “view” da parte di S&P Equity; performance migliore per il Banco Popolare (+6,95%) che ha comunicato le condizioni definitive dell’aumento di capitale che partirà lunedì 31 marzo. Giornata decisamente positiva anche per il Monte dei Paschi di Siena (+4,42%) sui rumors che vorrebbero la Fondazione MPS aderire pro-quota all’aumento di capitale; bene anche Unicredit (+0,85%), dopo il lancio di giovedì di un’emissione perpetua richiamabile per un totale di 1,25 miliardi di dollari. 

Sul fronte del debito sovrano lo spread, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, chiude a 175 Bp (Basis point, punti base), per una resa del decennale italiano fissata al 3,30%.

Il rendimento al 3,23% del Bonos spagnolo si conferma ancora una volta migliore di quello dei Btp del Belpaese, conseguenza di un differenziale di 168 punti base tra titoli decennali iberici e tedeschi.

Venerdì inoltre è terminata la tre giorni di aste dei titoli di Stato italiani, con il Tesoro a collocare due Btp con scadenza a cinque e dieci anni: il rendimento del decennale è sceso al 3,29%, quello del quinquennale ha invece segnato un nuovo minimo storico dell’1,88%. Esaurita la prima tranche dei CCTeu novembre 2019 con un rendimento lordo all’1,3%, così come aveva fatto il pieno l’asta di Bot a 6 mesi di mercoledì, seppure con tassi in rialzo allo 0,504% dal minimo storico dello 0,455% toccato a febbraio.

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