La nuova fiammata della crisi ucraina brucia le Borse europee

TRIESTE – Ultima seduta di ottava anomala quella di oggi, con i listini aperti nonostante la festività del 25 aprile (Piazza Affari ha rinunciato alle contrattazioni soltanto nella sessione afterhours) e le preoccupazioni internazionali a dominare i mercati, in preda ai timori per l’inasprimento delle tensioni tra Russia ed Ucraina:

dopo l’attacco di Kiev alla città di Slavyansk, in mano ai ribelli filo-russi, che ha provocato la morte di un ragazzo di 22 anni ed il ferimento di un altro ribelle, è esplosa la rabbia di Mosca che, per voce del consulente presidenziale Sergei Glazyev, ha prospettato un piano di 15 misure per proteggere l’economia della Russia in caso di applicazione di ulteriori sanzioni da parte di Stati Uniti ed Europa. Immediata la risposta del premier ucraino ad interim Arseni Iatseniuk che, nel far sapere che considererà alla stregua di invasione qualsiasi incursione da parte delle forze russe schierate al confine, ha chiaramente accusato il Cremlino di volere «la terza guerra mondiale».

Gravi le ripercussioni delle tensioni sui due paesi: la fuga di capitali ha portato l’agenzia S&P a rivedere al ribasso il rating sulla Russia, portandolo appena al di sopra della valutazione “junk”, ovvero spazzatura, mentre la Borsa di Mosca è scesa ancora e la Banca centrale russa «ha preso la decisione di aumentare il tasso di interesse chiave fino al 7,5% a causa dei rischi inflazionistici crescenti», cioè per combattere l’aumento dell’inflazione alimentato dalla crisi geopolitica; per contro l’Ucraina è sull’orlo della bancarotta, al punto che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) si è affrettato a confermare che in queste ore deciderà un piano di aiuti a favore di Kiev.

Una sorta di venerdì nero dunque a concludere un’ottava che si era invece aperta sotto i buoni auspici di una crescita mondiale in accelerazione, grazie alla buona tenuta dell’economia a stelle e strisce ed al miglioramento del quadro macroeconomico europeo: negli USA le politiche di allentamento quantitativo (tapering) hanno prodotto il conseguente rialzo dei tassi a lungo termine, tuttavia il nuovo Presidente della Fed Janet Yellen ha assicurato il mantenimento di una politica monetaria accomodante per il prossimo futuro, in attesa della conferma di una ripresa forte che crei occupazione; nell’Eurozona il trend migliora grazie ai coraggiosi programmi di riforma realizzati, ma la ripresa rimane tuttavia troppo incerta per ipotizzare modifiche nella politiche monetarie adottate dalla BCE (Banca Centrale Europea), anche se un’accelerazione delle pressioni deflazionistiche scatenerebbe sicuramente una fase di “quantitative easing” (alleggerimento quantitativo, una delle modalità con cui le banche centrali creano moneta e la iniettano nel sistema finanziario ed economico) che sarebbe probabilmente apprezzata dagli investitori.

Nel mese di aprile l’indice di fiducia dei consumatori (stima flash) nella zona Euro si è attestato a -8,7 punti, in miglioramento rispetto ai -9,3 punti di marzo, mentre l’indice PMI composto, che monitora l’attività dei settori manifatturiero e servizi, è salito a 54 punti dai 53,1 di marzo, confermando così la fase di espansione del ciclo; i dati segnalano che anche la manifattura ed i servizi tedeschi rimangono in fase di espansione nello stesso mese, mentre la crescita economica della Francia risulta più moderata; sempre ad aprile l’indice IFO che misura la fiducia degli imprenditori tedeschi ed il trend dello sviluppo economico è salito a 111,2 punti dai 110,7 di marzo (dato rivisto).

Seduta contrastata per i principali listini asiatici, penalizzati ancora una volta dai deludenti dati macro che cominciano ad insinuare qualche dubbio sulla consistenza della ripresa sia degli Stati Uniti che della Cina. In mattinata Tokyo (+0,17%) ha provato a riprendersi dallo scivolone di ieri sfruttando il dato sull’inflazione, quasi in linea con le attese, ma i bassi volumi di scambio e l‘ulteriore apprezzamento dello  yen hanno frenato le contrattazioni, già appesantite dal mancato accordo tra Usa e Giappone per un’intesa sul libero scambio. Il quarto periodo consecutivo di contrazione della produzione industriale cinese ha invece rilanciato i timori sulla sostenibilità della crescita degli utili societari anche nei prossimi trimestri, facendo scivolare Shanghai (-0,28%) e contenendo Hong Kong (+0,10%).

Ieri le principali piazze finanziarie del Vecchio Continente hanno chiuso a testa alta grazie al positivo giudizio sulle trimestrali di Wall Street ed all’intervento di Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, in visita ad Amsterdam per i 200 anni della Banca centrale olandese, secondo il quale l’Eurotower sarebbe pronta ad agire contro la deflazione; quest’oggi invece il precipitare della situazione in est Europa ha trascinato a fondo i listini, oscurati dall’addensarsi delle nubi di guerra: Francoforte (-1,54%) registra il maggior ribasso, seguita da Madrid (-1,49%), Parigi (-0,80%) e Londra (-0,26%).

Stanotte gli analisti dell’agenzia Fitch hanno migliorato l’outlook del Belpaese da negativo a stabile, confermandone il rating “Bbb+”: alla base del giudizio la convinzione che il periodo di recessione in Italia si sia concluso, che le condizioni di finanziamento del debito pubblico siano migliorate e che i rischi legati al settore finanziario si siano attenuati, con le grandi banche a beneficiare di migliori condizioni di mercato per rafforzarsi. Queste buone notizie non sono però bastate a sostenere gli acquisti in una seduta caratterizzata da volumi deboli per la festività del 25 aprile, così in chiusura Piazza Affari (FTSE Mib -1,73%, FTSE Italia All Share -1,63%) “guadagna” la maglia nera in Europa.

In generale calo i bancari, sul cui comparto pesano le difficoltà, alla borsa di Francoforte, di Deutsche Bank: i vertici dell’istituto starebbero valutando un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, per affrontare con maggiore tranquillità gli stress test europei e le nuove norme sulla patrimonializzazione; male anche Unicredit (-2,65%) ed IntesaSanpaolo (-2,36%) che, in partnership con KKR ed Alvarez & Marsal, hanno firmato un “memorandum of understanding” per conferire in una società i crediti ristrutturati di 10-15 aziende di medie dimensioni (come Burgo, Pininfarina, Zucchi, Ferretti, Sirti, Lucchini, Italtel, Seat, Tassara) con due finalità: liberare le banche da alcune posizioni problematiche e dare alle aziende debitrici (tutte ritenute in grado di risollevarsi) le risorse per il turnaround.

Tra i titoli a maggior capitalizzazione fortemente ridimensionata nel finale Mediaset (+0,32%), passata ad azzerare i rialzi nelle ultime fasi della seduta; da Cologno Monzese non confermano né smentiscono le voci che vorrebbero Al Jazeera e Canal Plus pronte ad entrare nel capitale di Mediaset Premium, limitandosi ad affermare che «non è stata conclusa ancora alcuna operazione»; negativa anche Telecom Italia (-2,87%), che vede snobbata dal mercato la mezza promozione costituita dall’indicazione di acquisto (“buy”) di Deutsche Bank. 

Sul fronte del debito sovrano lo spread, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, ha chiuso a 162 Bp (Basis point, punti base), per una resa del decennale italiano al 3,10%. Il differenziale tra i titoli a dieci anni di Spagna e Germania termina invece a 157 Bp, con il tasso dei Bonos al 3,08%.

Due i collocamenti di Titoli di Stato avvenuti in quest’ottava: il primo riguarda 3,5 miliardi di euro di CTZ, assegnati con un rapporto di copertura (ammontare di titoli richiesti su titoli offerti) in calo rispetto all’asta di marzo, per un rendimento lordo fissato allo 0,786% purtroppo in aumento.

Il secondo, effettuato ieri,  riguarda la quattordicesima tranche dei Btp indicizzati all’inflazione, assegnati  per un ammontare di 525 milioni di euro (corrispondente ad un rapporto di copertura di 2,46) per un rendimento lordo del 2,09%, che garantisce una cedola reale del 3,1%.

Segnaliamo infine che in settimana il Portogallo è tornato a collocare titoli con scadenza a lungo termine, dopo tre anni di assenza da simili emissioni.

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