Italia: indietro tutta. La recessione ci pone alla mercé dell’UE

TRIESTE – Per quanto agosto sia tradizionalmente un mese per lo più vacanziero quest’anno non mancano temi di grande rilievo, primo fra tutti il ritorno in recessione del Belpaese. 

Mercoledì scorso l’Istat ha comunicato che nel secondo trimestre del 2014 il Prodotto Interno Lordo italiano (dato preliminare), corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente (quando l’economia aveva registrato una contrazione dello 0,1%), dato ben peggiore delle attese degli analisti. L’Istituto di statistica ha precisato che il calo congiunturale (cioè rispetto al trimestre precedente) ha investito tutti e tre i grandi comparti di attività economica (agricoltura, industria e servizi), mentre il dato tendenziale (ovvero anno su anno) parla di un calo dello 0,3% del PIL, equivalente ad un controvalore di circa 340 miliardi, il peggior secondo trimestre dal 2000.

Piazza Affari ha prontamente accusato il colpo testando quei 19.393 punti (-3,3%) che rappresentano un ritorno ai minimi di febbraio: una seduta contraddistinta dalla sospensione per eccesso di ribasso di praticamente tutte le principali banche, che ha valso a Milano la maglia nera di giornata ponendo una seria ipoteca sulle possibilità di ripresa dell’economia. Situazione analoga vissuta dai titoli di Stato sul mercato secondario, penalizzati dall’aumento dello spread (arrivato a 171 punti base) con il Bund tedesco, in un contagio che ha interessato tutti i Paesi periferici dell’Eurozona, con il Portogallo a registrare perdite più consistenti di quelle di Spagna ed Irlanda.

La recessione allontana gli investitori, preoccupati anche dalla concomitante frenata della locomotiva tedesca, che alla flessione degli ordini all’industria (-3,2%) affianca un insoddisfacente incremento della produzione industriale (+0,3%), molto al di sotto delle stime degli analisti (+1,3%); si torna dunque a guardare con sospetto al mercato italiano, alle prese con  politiche economiche tutte da reimpostare, con importanti variazioni da apportare al DEF (il Documento di Economia e Finanza) entro settembre e, nella peggiore delle ipotesi, anche con una manovra correttiva da mettere in pista. Con un semestre di PIL sotto zero e l’indice PMI del manifatturiero scivolato al livello più basso degli ultimi otto mesi si affievoliscono drasticamente le possibilità di ribaltare la situazione nella seconda metà dell’anno, mettendo a rischio anche il pareggio di bilancio strutturale (corretto per il ciclo economico) dei prossimi due anni, inserito nel programma di convergenza inviato all’Unione e previsto dal Fiscal Compact, l’insieme di rigide regole di riduzione del debito pubblico recentemente inserite nella Costituzione.

La mazzata finale arriva però dalla Banca Centrale Europea (BCE) di Mario Draghi: secondo il numero uno dell’Eurotower tutto è dovuto «all’incertezza sulle riforme, un freno molto potente che scoraggia gli investimenti», al punto che forse «Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali».

Alle stentate condizioni economiche del Vecchio Continente, già provato dalla recessione italiana e dalle sferzanti parole di Mario Draghi, si sono aggiunte oggi le preoccupazioni per la situazione irachena, dove l’avanzata delle milizie jihadiste ha innescato la reazione americana. Lo stesso presidente americano Barack Obama ha annunciato nella notte di aver «autorizzato bombardamenti aerei mirati in Iraq per colpire i terroristi e proteggere il personale americano», ma anche di aver provveduto al lancio di aiuti umanitari a favore della popolazione irachena in difficoltà.

In questo scenario dominato dai venti di guerra e dalle grandi tensioni internazionali che imperversano in diverse parti del mondo, ieri si sono svolti alcuni incontri di primaria importanza per le sorti dei mercati di casa nostra: quello della Bank of England (BOE) e quello della BCE. La banca centrale britannica ha rispettato le attese mantenendo il tasso di deposito (cash rate) allo 0,5% e riconfermando l’ammontare del Quantitative Easing a 375 miliardi di sterline, così come anche la riunione dell’Eurotower non ha riservato sorprese: immutato il corridoio dei tassi (quello di deposito a -0,10%, quello di rifinanziamento principale a 0,15% e quello rifinanziamento marginale a 0,40%) e rinnovata la promessa di una politica monetaria accomodante a causa di una ripresa economica europea ancora troppo debole e disomogenea. Il calo delle aspettative di inflazione nel breve periodo ed il fatto che il costo del denaro sia destinato a non scendere ulteriormente non escludono il ricorso da parte dell’istituto di Francoforte ad altri strumenti per far fronte alla crisi: «Il consiglio della BCE è unanimemente determinato a usare anche misure non convenzionali se fosse necessario. Gli interventi riporteranno l’inflazione verso l’obiettivo del 2%», sono state le parole di Draghi.

Ultima seduta della settimana con il segno meno per le Borse asiatiche, con l’indice MSCI della regione in calo dell’1,3%. Chiusura in forte calo per la Borsa di Tokyo (-2,98%), in scia alla presa di posizione degli USA nei confronti dell’Iraq: dopo un’apertura negativa il listino giapponese ha accelerato in ribasso a metà seduta, arrivando a perdere anche oltre il 3%, per poi recuperare qualche frazione nel finale; per l’Indice Nikkei si tratta del peggior ribasso dallo scorso 14 marzo.

Dopo la stratosferica crescita del settore manifatturiero cinese a luglio, con l’indice PMI della CFLP (China Federation of Logistics and Purchasing) salito a 51,7 punti, il più alto livello da 27 mesi, con i sottoindici relativi ai nuovi ordini (indicatori dell’attività futura) ed alla produzione a seguirne il trend, non sorprende il record di esportazioni stabilito dall’ex Celeste Impero: i volumi di Pechino sono cresciuti del 14,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, segnando un raddoppio rispetto al dato finale dello scorso mese.

Partenza con il segno meno per le Borse di Eurolandia che pagano la delicata situazione geopolitica, in una seduta proseguita all’insegna della prudenza; i pericoli per la stabilità economica mondiale cominciano ad essere superiori a quelli che venivano messi in conto fino a qualche giorno fa (Francia e Germania sono scese anche del 10% rispetto ai massimi), così tensioni geopolitiche ed indicazioni macroeconomiche in peggioramento hanno spinto in territorio negativo buona parte dei listini del Vecchio Continente: in calo Londra (-0,45%), negativa Francoforte (-0,33%) e sostanzialmente invariata Parigi (-0,05%).

Milano parte male con Tod’s (-7,04%) protagonista di alcune sospensioni per eccesso di ribasso a causa delle vendite scattate dopo i conti semestrali in rallentamento, ma BPER (+11,1%), sulla quale oggi erano vietate le vendite allo scoperto, si pareggia lo scivolone di ieri legato alle rettifiche operate sul portafoglio mutui; grazie ad acquisti trasversali ai vari settori che compensano le eccessive vendite di ieri, Piazza Affari (FTSE Mib +0,33%, FTSE Italia All Share +0,24%) trova la forza di riportarsi e chiudere, unico mercato in Europa, sopra la parità.

Bancari sempre protagonisti: tonfo del Monte dei Paschi di Siena (-8,3%) dopo l’annuncio di volersi avvalere dei nuovi finanziamenti TLTRO della BCE per un  ammontare di 6 miliardi di euro, buona seduta invece per la Popolare di Milano (+6,6%) a beneficiare della cessione di parte della quota detenuta in Anima Holding.

Generali invariata nonostante l’ingresso nel capitale di People’s Bank of China per il 2%, rialzo dell’1,6% per Telecom Italia e balzo di Fiat Chrysler (+3,36%), favorito dal consiglio all’acquisto formulato dagli analisti di Banca Akros.

Sul fronte del debito sovrano chiude sui livelli di ieri la differenza di rendimento tra il titolo decennale italiano (Btp marzo 2024) ed il corrispondente omologo tedesco, con lo spread sul Bund fermo a 178 Bp (Basis point, punti base) e ad un tasso del 2,83%.

Frazionale calo dello spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, portatosi a 53 Bp dai 54 della chiusura precedente, per un rendimento dello 0,53%.

Continua invece a scendere lo spread tra Bonos spagnoli decennali e Bund tedeschi, ora a 152 punti base per un tasso del 2,57%.

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