Fisco. Italia fanalino di coda in Europa con una pressione

Ocse: Pil col segno più solo nel 2014

 

ROMA  – L’Italia uscirà dalla recessione, si spera definitivamente, a partire dal 2014. A sostenerlo è una stima formulata dall’‘Economic Outlook’ dell’Ocse. Secondo l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo, dopo il calo dell’1,9% del Pil previsto nel 2013, esso dovrebbe tornare a crescere nel 2014, anche se solo dello 0,6% per poi rafforzarsi l’anno successivo con una crescita dell’1,4%. Il ritorno alla crescita sarà trainato dalle esportazioni, spinte dalla domanda estera, con una crescita del 3,6% nel 2014 e del 4,9% nel 2015. Per quanto riguarda la domanda interna, che quest’anno dovrebbe segnare un calo del 2,6%, si stima un 2014 piatto (+0,1%) e un 2015 in ripresa all’1,1%. D’altro canto, resta alto il rapporto debito-Pil che nel 2014 dovrebbe toccare il massimo a quota 133,2% (secondo le definizioni di Maastricht) per poi iniziare a scendere leggermente al 132,6% nel 2015. L’Ocse segnala però come “nonostante il difficile scenario, il governo italiano è riuscito a mantenere il livello di consolidamento fiscale nel 2013”. L’organizzazione evidenzia l’importanza dell’ulteriore aggiustamento annunciato (pari allo 0,5% del Pil previsto per il 2015) che da solo dovrebbe garantire l’inizio di un calo del rapporto debito-Pil. Tuttavia, l’Ocse sottolinea come per garantire un rapido declino di questo rapporto potrebbero essere necessarie nuove misure “più ambiziose di consolidamento”. Inoltre, la ripresa del 2014 non si ripercuoterà sul fronte della disoccupazione che nel 2014 potrebbe salire ancora toccando il picco al 12,4%, cioè 4 punti in più rispetto al 2011. Il livello di senza lavoro nei prossimi due anni “è destinato a restare elevato, dal momento che è probabile che l’impatto della crescita della domanda all’inizio si tradurrà in un aumento delle ore lavorate in media dalle persone già occupate”. Per l’Ocse, quindi, nel 2015 il tasso di disoccupazione scenderà al 12,1%, stesso livello previsto per l’anno in corso. Nel frattempo, a palazzo Chigi, si discute di Spending review. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni spiega che attraverso la revisione della spesa si punterà all’ambizioso obiettivo di raggiungere i 32 miliardi, cioè il 2% del Pil, nel triennio che arriva al 2016. Inoltre, secondo il ministro di viale XX settembre, bisognerà anche tentare tutto il possibile per ridurre le imposte, finanziare gli investimenti e ridurre il debito. La revisione della spesa “spero porti a un insieme di azioni che sostengano la crescita e rimettano in moto l’efficienza del sistema Paese” ha detto Saccomanni, spiegando che “l’azione principale di contenimento del debito pubblico verrà dalle privatizzazioni e dal rientro dei capitali dall’estero”.

 

 

Il commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, ha spiegato che sono previste “due fasi di ricognizione tecnica, una all’inizio di dicembre fino a febbraio per consentire una decisione politica a marzo-aprile, la seconda fase tra fine maggio e metà-fine luglio come imput delle decisioni sulla legge di stabilità 2015”. “Consulteremo di frequente le parti sociali – ha poi aggiunto Cottarelli – Questo è importante per creare consenso”. 

Proprio sul discorso della tassazione, è stato diffuso  in queste ore il rapporto “Paying Taxes 2014”: il nostro paese si conferma fanalino di coda in Europa per quanto riguarda il carico fiscale sulle imprese (total tax rate) e si colloca al 138mo posto (131mo lo scorso anno) su 189 Paesi interessati dall’indagine nel mondo. Questo rapporto, diffuso dalla Banca  Mondiale, Ifc e Pwc, esamina i costi per imposte e tasse in capo a un’impresa e il connesso carico amministrativo per versamenti d’imposta e adempimenti vari. A breve distanza dall’Italia, dove il carico fiscale complessivo è pari al 65,8% dei profitti commerciali, si posiziona la Francia, con un indice di total tax rate di 64,7%, seguita dalla Spagna (58,6%). Tra i primi 10 Paesi al di sopra della media europea troviamo anche il Belgio (57,5%), l’Austria (52,4%), la Svezia (52%), l’Ungheria (49,7%), la Germania (49,4%), l’Estonia (49.4%) e la Repubblica Ceca (48,1%). Il minor carico fiscale in assoluto in Europa è invece quello della Croazia (19,8%) meno di un terzo rispetto a quello italiano, seguito dal Lussemburgo (20,7%) e da Cipro (22,5%).

 

Intanto, secondo l’Istat, a settembre il fatturato dell’industria, al netto della stagionalità, ha registrato un aumento dello 0,1% rispetto ad agosto, con un incremento dello 0,7% sul mercato interno e un calo dello 0,8% su quello estero. Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 20 di settembre 2012), il fatturato totale è diminuito in termini tendenziali dell’1,0%, con un calo del 3,4% sul mercato interno e un incremento del 4,4% su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano incrementi congiunturali per i beni strumentali (+2,7%) e per l’energia (+0,1%), mentre registrano flessioni per i beni intermedi (-1,2%) e per i beni di consumo (-0,5%). L’indice grezzo del fatturato cresce, in termini tendenziali, del 2,2%: il contributo più ampio a tale aumento viene dalla componente estera dei beni strumentali. Per il fatturato l’incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+13,5%), mentre una sensibile diminuzione riguarda la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-11,6%). Per gli ordinativi totali, si registra un incremento congiunturale dell’1,6%, sintesi di un aumento del 4,8% degli ordinativi esteri e una flessione dello 0,8% di quelli interni. Nel confronto con il mese di settembre 2012, l’indice grezzo degli ordinativi segna un aumento del 7,3%. L’incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+39,5%), mentre la flessione maggiore si osserva nella fabbricazione di apparecchiature elettriche (-14,5%).

 

Discorso a parte merita invece il mercato dell’auto, che nel mese di ottobre conferma il trend di ripresa a livello europeo con un  +4,7% di immatricolazioni nell’Unione Europea, secondo mese di crescita consecutivo per la prima volta da settembre 2011. Con le 1.004.935 unità di ottobre il totale delle immatricolazioni nei primi dieci mesi sale a 10.006.807 unità, il 3,1% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tuttavia ad ottobre – segnala l’Acea, l’associazione dei costruttori europei – l’Italia si è confermata come l’unico fra i grandi mercati europei ancora in flessione (-5,6%). Negli altri paesi invece si sono registrate crescite che vanno dal +2,3 % della Germania al +2,6 % in Francia , +4,0% nel Regno Unito fino al +34,4 % della Spagna. Nel periodo gennaio-ottobre, invece, si confermano in negativo Germania (-5,2% ) , Francia (-7,4% ) e soprattutto Italia (-8,0%) mentre in positivo si trovano Spagna (+1,1 % ) e Regno Unito (+10,2 %). La quota del gruppo Fiat ad ottobre in Europa è del 5,8 %, in calo di 0,7 punti percentuali rispetto all’anno scorso ma in crescita nel confronto con il 5,4 per cento di settembre 2013, rileva un comunicato del gruppo. Il Gruppo Fiat in ottobre ha immatricolato oltre 60mila vetture, il 7,3% in meno nel confronto con un anno fa. “Ancora una volta – si legge nella nota – il risultato del Gruppo Fiat è stato fortemente penalizzato dal risultato negativo in Italia (-5,6%), mercato di riferimento del Gruppo”. Le vendite del brand Fiat crescono in alcuni importanti mercati europei: +9,6% in Francia, +55,3% in Spagna e +2,9% in Gran Bretagna. “Con 500 e Panda, Fiat conferma il primato nel segmento A (27,6% di quota) mentre per il quarto mese consecutivo la 500L è la vettura più venduta del suo segmento”, dichiara il Gruppo. In Europa Jeep aumenta le vendite del 6,4% soprattutto grazie all’ammiraglia Grand Cherokee (+48,5%). Positiva la Lancia in Francia (+16,9%) e in Spagna (+8,8%).

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