Assegno di divorzio. Ecco cosa cambia dopo la sentenza

ROMA – Dopo nemmeno una settimana dalla sentenza della Corte di Cassazione che “cambia” le regole sull’assegno di mantenimento all’ex coniuge in caso di divorzio, la stessa Corte nega la modifica dell’assegno che l’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, deve all’ex moglie per il periodo di separazione.

“L’interessato grida all’ennesima sentenza contra personam, ma siamo certi che i suoi avvocati ben gli avranno spiegato che così non è. Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza sulle due sentenze e su come si prospetta il futuro per chi si separa o divorzia” spiega Emmanuela Bertucci, legale, consulente ADUC: “Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione sull’assegno di mantenimento all’ex coniuge e il mutato quadro sociale Secondo la Corte l’assegno divorzile non deve essere concesso automaticamente al momento del divorzio per garantire a chi lo percepisce il tenore di vita tenuto durante il matrimonio. Fino ad ora infatti l’assegno di divorzio ha svolto una funzione esclusivamente assistenziale, quella di assicurare al coniuge economicamente più debole un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto durante il matrimonio. 

La Cassazione chiarisce cosa si deve intendere per “funzione assistenziale”, non il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi ma il raggiungimento della indipendenza economica, se necessario. Oggi, del resto, separazioni e divorzi sono più snelli e più brevi, si possono fare anche senza passare dal tribunale, assistiti dagli avvocati o in comune, da soli. E la sentenza sottolinea i mutati costumi sociali, l’idea che dopo il divorzio si torni single e ognuno vuole e deve farsi una propria vita, l’idea che il matrimonio non equivale a sistemarsi, non è un “affare” e che non può essere quindi vissuto, una volta divorziati, come una sorta di parassitismo di un ex coniuge nei confronti dell’altro. Di conseguenza la nuova vita post divorzio deve essere improntata all’autoresponsabilità, personale quanto economica. Come determinare se l’assegno è dovuto. Il criterio dell’indipendenza economica Il giudice del divorzio dovrà quindi verificare se il coniuge che chiede l’assegno ha adeguati mezzi per mantenersi e/o possibilità di farlo. E per stabilire se esiste il diritto all’assegno nel singolo caso, deve essere innanzitutto il coniuge che lo chiede a provare di non avere adeguati mezzi di sostentamento e di essere impossibilitato a procurarseli. Se non lo fa, non ha diritto all’assegno”. 

Ma come valutare questa indipendenza (autosufficienza) economica? La Cassazione stila un elenco di indici da considerare:1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione. E come valutare l’impossibilità a mantenersi da sé? E’ chi chiede l’assegno che deve provare la mancanza di “capacità e possibilità effettive di lavoro personale” e provare anche “le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative”. Solo se effettivamente sarà data prova di questo si passerà a quantificare l’assegno, tenendo conto di tutta una serie di elementi, fra i quali il precedente tenore di vita, la durata del matrimonio, l’apporto economico dei singoli coniugi alla vita coniugale, anche del tenore di vita. Si può smettere di pagare sin da ora? “No – spiega il legale consulente ADUC -. 

Si tratta di una sentenza e non di una legge. Diciamo che cambia tutto e non cambia nulla. Cambia tutto perché finalmente anche la Cassazione si mette al passo con i tempi. Nel nostro Paese i cambiamenti sui diritti civili spesso attraversano tre fasi: una prima fase di ‘sentire comune’, cioè la società cambia e avverte il disagio di una normativa troppo stretta, che necessita di modifica perché non rispecchia più la società che la compone; una successiva fase in cui la giurisprudenza cerca di mantenere il passo con questi cambiamenti, tramite l’interpretazione della legge, allargandone le maglie, tirando l’elastico insomma… e una terza fase in cui il legislatore prende atto dell’avvenuto cambiamento e finalmente modifica la norma. All’interno della seconda fase, in cui si colloca questa sentenza, ci sono ulteriori fasi. 

Prima i tribunali cosiddetti di merito iniziano con un nuovo orientamento, poi arriva una sezione della cassazione, poi altre, e poi intervengono le Sezioni Unite, che dettano una linea di giurisprudenza “solida”, difficilmente modificabile. Non cambia nulla nell’immediato perchè potrebbe anche trattarsi di una sentenza isolata che non verrà ripresa da altre, e bisogna sempre considerare che ogni caso è diverso dall’altro. Non resta che attendere, ma visto il tema, e il fatto che questa sentenza coglie uno degli aspetti sociali che effettivamente è mutato nel corso del tempo, è ipotizzabile che sarà un orientamento che verrà seguito da altri, e anche rafforzato, perché alcuni aspetti della questione li tratta in maniera timida e approssimativa, quasi cercando di giustificarsi. Spesso accade che con le sentenze successive i giudici ‘prendano coraggio’, consolidino il pensiero e l’orientamento, diventando anche più convincenti”.

Chi domani inizierà una causa di divorzio potrà chiedere che venga applicata la sentenza? Nei giudizi in corso e da iniziare si potrà certamente invocare la sentenza per evitare di pagare l’assegno, ma sarà il singolo giudice a decidere e per diversi motivi ben potrebbe anche decidere “alla vecchia maniera”. Ripetiamo, è una sentenza, non una legge. E chi invece è già stato condannato a pagare un assegno di mantenimento all’ex coniuge può chiedere ad un giudice di non pagarlo più? La legge già prevede la revoca dell’assegno in caso di nuove nozze, e lo prevede come unico motivo possibile, ma anche su questo la giurisprudenza è andata avanti. Sarà sicuramente più semplice ridimensionarlo o chiederne la revoca se c’è stato qualche cambiamento rispetto al momento in cui l’assegno era stato concesso. Ad esempio l’ex coniuge beneficiario dell’assegno ha trovato lavoro o convive con altro compagno, le condizioni economiche di chi lo pagava si sono modificate in peggio. Più difficile ottenere la revoca sulla base della sola sentenza di cui stiamo parlando. 

Diciamo che sarebbe più che opportuno un intervento del Parlamento. Per il caso Berlusconi-Lario, poi, non si rileva nessuna contraddizione fra le due sentenze: “La stessa Sezione della Corte di Cassazione che pochi giorni fa ha rivoluzionato l’assegno divorzile ha però dato torto all’ex Presidente del Consiglio condannandolo a pagare alla ex moglie due milioni di euro al mese per la fase della separazione. Non c’è alcuna contraddizione fra le due sentenze e quest’ultima richiama specificatamente la prima, ribadendo che separazione e divorzio sono differenti: durante il periodo di separazione continuano a sussistere gli obblighi di assistenza morale e materiale fra i coniugi, ragione per la quale l’assegno è stato confermato. Diverso il caso del divorzio, dopo il quale si “torna single” e ognuno deve provvedere a se stesso, con i limiti che abbiamo descritto sopra. Non tenere più in considerazione il parametro del tenore di vita per decidere se concedere l’assegno o meno è sicuramente una presa di posizione dei giudici che fotografa il nostro tempo. Ma qui risiede però anche il punto di maggior debolezza della sentenza, il meno convincente. I giudici dicono: prima verifico se sei economicamente indipendente o “abile” al lavoro. Se non lo sei, ti riconosco l’assegno e nel determinare l’importo terrò presente il tenore di vita. In questo modo si possono creare situazioni paradossali per cui se sei la moglie di un milionario e hai un lavoro e una casa non avrai alcun assegno; se non ce li hai, avrai un assegno milionario… Su questo aspetto la sentenza, che pur fa un grosso passo in avanti, crea essa stessa un paradosso che dovrà essere a sua volta superato”.

Si dice che la sentenza colpisca soprattutto le donne. Se una moglie ha rinunciato alla sua carriera professionale per stare vicino al marito, ora dopo anni dovrà cercarsi un lavoro? “Sono rari i casi in cui il beneficiario dell’assegno è il marito. Sì, la ex dovrà cercarsi un lavoro, come già avveniva del resto – spiega ancora il legale consulente ADUC -. Non dobbiamo nemmeno tratteggiare un Paese in cui la donna resta immobile a campare sulle spalle dell’ex marito, perchè non è così. Lavorano sia marito che moglie ed è giusto che ognuno pensi a sé dopo il divorzio, al proprio sostentamento. L’assegno divorzile non viene eliminato, ne muta la funzione: non una rendita di posizione ma un aiuto verso l’indipendenza economica quando questa non c’è. E’ chiaro che se per una vita la donna ha deciso di rinunciare alla propria realizzazione professionale ed indipendenza economica per sostenere in altro modo il marito o per comune scelta, saranno tutti fattori che incideranno sulla possibilità/necessità di ottenere l’assegno. Che, ripetiamo, continua ad esistere. 

Oggi in Italia non è possibile stipulare un patto matrimoniale, e se fatto è nullo, perché stabilire prima del matrimonio le condizioni di divorzio non tutelerebbe il contraente più debole. In tantissimi Paesi sono invece un modo efficace per evitare in fase di divorzio beghe economiche. Eppure l’Italia, lentamente, si sta muovendo: è infatti in attesa di esame un disegno di legge proprio sugli accordi prematrimoniali, per consentirli e disciplinarli. Per i diritti dei figli cambia qualcosa? No, per i figli non cambia assolutamente nulla. La sentenza riguarda solo l’assegno in favore dell’ex coniuge. Già da tempo si è consolidato l’orientamento per cui i figli devono essere mantenuti durante la minore età, e quando diventano maggiorenni l’assegno permane finchè non sono economicamente indipendenti. E se non lo diventano per scelta o per colpa (dovuta a pigrizia, scarsa volontà di applicarsi o a causa di proprie condotte irresponsabili sul piano professionale o personale) i genitori possono chiedere la revoca dell’assegno. La Cassazione in questa sentenza usa proprio l’esempio della giurisprudenza sui figli: se è possibile invocare autoresponsabilità e autonomia per i figli a maggior ragione deve essere possibile farlo per l’ex coniuge. La sentenza, infine, è inevitabilmente destinata ad incidere anche sulle pensioni di reversibilità, che sono riconosciute all’ex coniuge divorziato solo se già godeva di un assegno di mantenimento. Se verrà a mancare l’assegno quindi, conseguentemente verrà meno la pensione di reversibilità in favore dell’ex coniuge.

Condividi sui social

Articoli correlati