Lo Sputnik e l’inizio della guerra dello spazio

Era il 4 ottobre di sessant’anni fa quando dal cosmodromo di Bayqoñyr, in Kazakhstan, venne lanciato il primo satellite russo, chiamato Sputnik 1. 

Sputnik, che in russo significa “compagno di viaggio”, volle dire, per il governo russo di Chruščëv, soprattutto potenza, prova di forza, affermazione, presa di coscienza delle proprie possibilità di espansione sia in ambito scientifico che a livello politico, al punto che negli Stati Uniti scattò una sorta di paranoia che indusse il presidente Eisenhower a investire cifre ingenti nella corsa allo spazio e a creare la NASA, al fine di rispondere alla sfida russa e provare a vincerla. 

La corsa allo spazio e alla luna fu, dunque, uno dei capisaldi degli anni Sessanta, rilanciata sia dai democratici Kennedy e Johnson che dal repubblicano Nixon, fino al 21 luglio 1969, quando, alle 4,57 italiane, Neil Armstrong pose il primo piede di un uomo sulla superficie lunare. 

Fu una questione scientifica, certo, ma fu anche, più che mai, una grande questione geo-politica, un modo per modificare gli equilibri mondiali a proprio favore, un braccio di ferro durato un decennio e oltre che senza dubbio segnò gli equilibri della Guerra fredda, sancendo l’inizio del predominio americano e dell’immaginario tipico di quel paese senza più alcuna forma di effettivo contrasto. 

Non a caso, benché gli anni Settanta abbiamo costituito una delle migliori stagioni per il riformismo, anche alle nostre latitudini, spentisi gli ultimi fuochi di quel decennio a tutta politica, ha avuto inizio il riflusso, la barbarie degli anni Ottanta, la scomparsa dei partiti, delle ideologie e, progressivamente, della politica stessa.

È il lato oscuro di quella sfida e, soprattutto, la principale conseguenza di chi l’ha vinta, illudendosi di poter spadroneggiare fino a quando la peggior crisi dal ’29 non ha riportato con i piedi per terra quei figli della luna e delle sue speranze che, purtroppo, si erano montati la testa.

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