Nuovi obiettivi contro la violenza di genere: in discussione il potenziamento dei centri antiviolenza per tutte

Un incontro ufficiale alla Camera dei deputati per fare il punto sulla situazione dei centri anti violenza D.i.Re (donne in rete contro la violenza) per i 30 anni di attività dell’organizzazione celebrati durante la settimana rosa, in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza di genere: il 25 novembre.

Tante le iniziative politiche previste a Montecitorio, per non dimenticare le donne “vittime” di violenza fisica, psicologica e stalking, compreso un invito da parte della Presidente della Camera Boldrini a partecipare a un dibattito in aula il 25 novembre, che vedrà 17 di loro raccontare la propria esperienza di abuso, alla presenza di magistrate, giornaliste, poliziotte, psicologhe e politici; e tra le iniziative culturali, invece, la proiezione, venerdì 24 alle ore 11.00 del docufilm “Sara” sulla storia di Sara Di Pietrantonio, la giovane uccisa e data alle fiamme dal suo fidanzato la notte del 29 maggio 2016 alla periferia di Roma, alla presenza della madre Concetta Raccuia, oltre alla presidente Boldrini. 

Secondo l’indagine multiscopo: “Sicurezza delle donne”, condotta dall’Istat in collaborazione con il Consiglio dei Ministri sono circa 7 milioni le donne che hanno subito una forma di abuso, dalle violenza domestiche, all’insulto verbale, allo stalking. Ogni due giorni una donna viene uccisa: 120 donne ammazzate da fidanzati, mariti e conviventi. Ed è appunto per evitare tragici epiloghi e aiutare le “perseguitate” a trovare una via d’uscita all’escalation della violenza che sono stati istituiti i centri anti violenza della rete D.i.Re, costituiti da una rete di 80 associazioni dislocate in tutta Italia, , che hanno accolto, solo nel 2016, circa 21.000 donne ( dati privati raccolti dai centri). Sono le italiane (il 70% del totale) a rivolgersi ai centri per reagire alla violenza fisica psicologica ed economica perpetrata ai loro danni da fidanzati mariti e partner italiani. Tante sono le operatrici – più della metà volontarie non retribuite – che garantiscono assistenza continua 24 ore su 24. Come spiega una di loro nell’incontro alla Camera, Angela Dal Corno: “ Diventare operatrice è una scelta politica a favore delle donne abusate, maltrattate, che sono le nostre amiche, le nostre vicine, le nostre domestiche, e vorrebbero sentirsi socialmente incluse e condurre una vita libera come noi”. Un impegno vasto quello delle volontarie che però non è sufficiente a coprire i tagli al sociale attuati dal governo Gentiloni, che rischiano di mettere in ginocchio i centri e di alcuni hanno già determinato la chiusura. Su questo punto si batte la presidentessa di D.i.Re Lella Palladino che chiede a gran voce di “fare in modo di assicurare quei fondi (inferiori al passato) stanziati per i centri antiviolenza, che in alcune Regioni (tra cui il Lazio ndr) non sono stati erogati ai Centri ma assegnati ad altro”. 

Un’esigenza ribadita anche dall’operatrice Dal Corno, che “elenca le molte professionalità presenti nei centri, dagli avvocati agli psicologi, ai mediatori culturali oltre alle operatrici, che appunto vanno retribuiti”. Anche Cristina Carelli coordinatrice del Cadmi della Casa delle Donne Maltrattate di Milano spiega l’importanza di “rimettere al centro della società la donna, che ha bisogno di sentirsi creduta e rispettate nelle proprie scelte”. E spiega: “Sono sempre in due operatrici ad accogliere la donna, a farla sentire protagonista e a ridarle una progettualità di vita, avvalendosi di una rete di professionisti a disposizione, scommettendo sulla loro capacità di autodeterminazione”. 

Anche la statistica sociale, per 16 anni direttrice dell’Istat Linda Laura Sabbadini “ribadisce come siano approssimative le indagini statistiche che non tengono conto della violenza sommersa, non denunciata”. E chiarisce: “Un’analisi dei dati complessivi permette di rimodulare l’azione dei centri antiviolenza verso nuovi obiettivi. Aggiunge: “Emerge dall’indagine Istat 2016 un calo della violenza nelle sue forme meno gravi (psicologica e fisica), mentre restano invariati i dati sullo stupro e sui femminicidio, rilevando così la necessità di politiche adeguate che spingano le donne a chiudere i rapporti a rischio prima dell’innesco della spirale della violenza, sin dai primi divieti e comportamenti coercitivi”. 

Fondamentale – concordano tutte su questo – è abbattere gli stereotipi e promuovere la parità tra i generi sin da bambini. Ed è a questo che si dedica Irene Biemmi, docente di psicologia sociale, tiene corsi di aggiornamento presso l’Università di Firenze per i docenti e i laureandi in pedagogia. È autrice di libri dell’infanzia che siano educativi e privi di pregiudizi. Ed è a tal proposito che da una sua analisi sistematica su 150 libri di testo adottati nelle scuole primarie, siano emersi gravi stereotipi di genere. “Femmine descritte come maghe, streghe, docili, volubili, emotive rispetto ai maschi descritti come condottieri coraggiosi, valorosi, spavaldi, autosufficienti: un fenomeno grave ma trascurato sia dalle case editrici che dalle scuole che li adottano come testi”. 

Altrettanto grave è la discriminazione di genere nei processi per violenza, dove sono le stesse testimonianze delle “vittime” a essere messe in dubbio. Lo racconta la giudice Paola di Nicola, nominata “donna che ispira l’Europa” dall’Unione Europea per il suo impegno contro il pregiudizio e la violenza nei confronti delle donne e che si sta appunto occupando di studiare questo pregiudizio di genere, presente nelle sentenze dei giudici italiani. “Denuncio inoltre la necessità di nuove leggi di genere – dichiara – che definiscano il reato di molestia sessuale e di altri tipi di violenza di cui sono oggetto le donne, che non siano ascrivibili al reato di stalking, evitando così ai giudici voli funambolici nelle sentenze per sanzionare le molestie sul lavoro, applicando, ad esempio, la legge sui maltrattamenti in famiglia”. 

È ancora lunga, invece, la strada, per aiutare concretamente le donne immigrate che sbarcano su mezzi di fortuna nel nostro paese. Ed a tal proposito che su iniziativa della Rete D.i.re con il patrocinio dell’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) da gennaio a luglio 2016 è stato avviato ”Samira”: un progetto di monitoraggio per individuare tramite indagine qualitativa, il numero di rifugiate e clandestine che approdano in Italia, vittime di violenza sessuale e altri gravi abusi. L’obiettivo è realizzare un piano assistenziale per far fronte all’emergenza, con l’utilizzo di specifiche professionalità con competenze linguistiche e culturali adeguate. Per la maggior parte le rifugiate sono africane: somale, ivoriane e soprattutto nigeriane, le prescelte nella tratta sessuale e le più condizionabili sotto la minaccia del voodoo, praticato nella religione animista. Un percorso complesso che ha condotto all’attuazione a corsi di formazioni ad hoc per mediatori culturali che assistano le giovani immigrate nei centri antiviolenza e nelle strutture preposte all’accoglienza.

Un progetto internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne che inneschi il cambiamento sociale e civile per consentire a ogni donna in qualunque latitudine di non sentirsi mai vittima, ma libera di muoversi e di vivere la propria vita in sicurezza, di avere un lavoro e una retribuzione garantita per proteggersi da qualunque tipo di abuso, molestia e sopraffazione in un’ottica di parità sociale, etica, economica e politica.

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