Femminicidio. Le donne rispondono in marcia

1 Giugno la marcia “Mai più” una mobilitazione nazionale per dire basta al femminicidio

ROMA – Michela, Alessandra, Immacolata sono donne cui qualcuno si è arrogato il diritto di togliere la vita.  Oltre a loro, altre donne quotidianamente sono abusate, pestate, sfregiate, fino ad essere ammazzate. Esistenze spezzate dalla disumana bestialità.
Il raccapricciante bilancio dell’ultimo anno racconta di oltre 125 donne ammazzate per mano maschile, molte delle quali prima di essere uccise avevano denunciato il proprio carnefice.

La drammatica ondata di violenza che in queste ultime settimane sta colpendo le donne da nord a sud del paese, non fa che evidenziare la grande contraddizione di uno stato che formalmente parla di pari opportunità e di diritto di genere, ma che di fatto sta creando le condizioni per cui a pagare la crisi siano soprattutto le donne.
La violenza sulle donne in questo paese non solo tende ad aumentare progressivamente ma cresce in maniera direttamente proporzionale all’acutizzarsi della crisi e alla perdita di posti di lavoro. E se il percorso di uscita dalle violenze domestiche è già di per se fitto di ostacoli e rischi, l’assenza di indipendenza economica lo rende definitivamente impraticabile.
Dagli sportelli anti violenza si evince che per cultura e prassi si tende alla conciliazione familiare spingendo le donne a tornare a casa, ma è chiaro che data la difficoltà economica, per molte, non c’è comunque alternativa se non tornare a casa dal proprio aguzzino.

L’ aspetto più drammatico di questa situazione è  il profondo senso di solitudine che attanaglia le donne, che il più delle volte sono costrette a subire abusi nell’indifferenza generale. In questo scenario drammatico di emarginazione che relega le donne tra le mura domestiche, senza reddito e lontano dall’emancipazione troppo spesso sbandierata dai media come un totem di modernità, sempre più spesso si consumano violenze ad abusi, fino ad arrivare al femminicidio.
Una sorte che non fa differenza di provenienza ma riguarda molte donne straniere, voci mute, in un sistema che solo nella discriminazione di genere le vuole uguali ed invisibili come le donne italiane.

Parlare di femminicidio senza analizzare il tessuto sociale e il contesto in cui si consumano le violenze è come descrivere i danni di una malattia senza esaminarne le cause.  
Allora viene da domandarsi se esiste davvero una pari opportunità, se pensiamo a quanto le donne negli anni abbiano svolto la funzione di cavie all’interno del grande laboratorio di precarietà e atipicità estesa poi a tutto il mondo del lavoro, possiamo comprendere quanto il tema  della violenza di genere, non si fermi soltanto a delitti di tipo passionale, come molto spesso il femminicidio è fatto passare, e che le responsabilità, in primo luogo, c’è l’ha uno stato assente e sordo alle richieste che arrivano dalle fasce più deboli della società.

In Italia servono leggi più efficaci e strumenti necessari a tutelare i diritti delle donne. I consultori e i centri anti violenza sono assoggettati ai bilanci regionali e spesso i fondi non sono sufficienti.  La tendenza di molte regioni, come ad esempio il Lazio, va drammaticamente nella direzione di uno smantellamento delle strutture pubbliche ed un incremento del privato, come ad esempio la  proposta di legge Tarzia sui consultori familiari che intende privatizzare le strutture socio sanitarie gratuite, introducendo 2 tipologie di consultori: gestione ONLUS e privato lucrativo, ambedue finanziabili con soldi pubblici.  
La proposta di legge presentata dall’ ex consigliera Olimpia Tarzia nonostante  il NO incassato con 80.000 firme raccolte dalle donne italiane e presentate alla Regione Lazio, sta infatti, tornando nei dibattiti della politica, suscitando nuovamente la preoccupazione delle associazioni che si battono perché i consultori restino interamente a carattere pubblico.

Perché se è vero che i consultori e i centri anti violenza da soli non bastano per abbattere la piaga della violenza sulle donne è altrettanto chiaro che dare la possibilità a tutte le donne di avere a disposizione strutture socio sanitarie gratuite, è fondamentale per mettere in campo quella rete di assistenza che aiuta ad uscire  dagli abusi e dalla violenza.
Dalle testimonianze degli operatori si evince che la violenza è avvolta da un velo di paura e omertà che soffoca le vittime,  e che per uscire da questa stato di solitudine serve soprattutto l’aiuto dello stato.

E’ proprio allo stato Italiano un coro unanime di donne chiede che si mettano in campo tutti gli strumenti, a partire dalla ratifica della convenzione di Istambul, per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e la condanna dei colpevoli, fino ad arrivare al finanziamento delle case rifugio e ai centri anti violenza.
Il primo giugno  è prevista una grande mobilitazione nazionale, una marcia di donne per le donne. Lanciata durante l’incontro tenutosi pochi giorni fa nella sala conferenze dell’ospedale Grassi di Ostia, dove si è tenuta la prima assemblea del comitato nato dopo il flash mob del 21 aprile scorso a Ostia, che ha visto la partecipazione di oltre 500 persone.

Nell’assemblea cui hanno preso parte, associazioni nazionali, da anni impegnate nel contrasto della violenza di genere, come Pangea Onlus,  Dire, da Differenza donna a Bee free, associazioni di quartiere, comitati territoriali , è emersa la necessità di  un contenzioso legale nei confronti dello Stato per mancato obbligo di protezione e una commissione d’inchiesta per individuare le responsabilità pubbliche nell’esplodere del fenomeno del femminicidio.
Perché se non si rimette al centro come priorità assoluta il diritto alla dignità, difendersi da un sistema cannibale per le donne sarà sempre più difficile.
Il monito all’Italia arriva anche dall’ Onu il femminicidio “è un crimine di stato, fate di più”

Condividi sui social

Articoli correlati