Caso Cucchi. Riaprire il caso, perché giustizia sia fatta

 

 

ROMA – “Siamo disponibile alla riapertura del caso”. Sono queste le parole che pronuncia il procuratore capo Pignatone sul caso di Stefanio Cucchi,  il giovane arrestato la notte del 15 ottobre 2009 dai carabinieri perché trovato in possesso di droga e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini. Insomma, ennesimo smacco alla sentenza d’Appello che ha assolto per mancanza di prove tutti gli imputati della morte del geometra di Torpignattara.

Oggi anche l’ex Procuratore Capo di Napoli Giovandomenico Lepore usa parole forte: «È innegabile che la vicenda Cucchi, come molti altri casi di cronaca italiana, presenti una doppia verità: quella emersa nel corso del processo e quella mediatica».  «Il solo fatto che non siano emerse specifiche responsabilità nei confronti degli imputati nel processo d’appello – ha proseguito il magistrato – non può indurci a credere che sia un fatto normale che un ragazzo muoia per cause diverse da quelle naturali dopo aver varcato la soglia di un commissariato di polizia o di un carcere. Lo Stato in quanto tale è responsabile della vita di qualsiasi cittadino, sia esso un povero cristo o un criminale acclarato, nel momento stesso in cui particolari esigenze ne impongono l’affidamento in custodia. Che questo non sia accaduto per il giovane Stefano Cucchi è innegabile. E comprensibile è anche che i familiari continuino a battersi per la ricerca della verità vera». «Come uomo e come magistrato – ha concluso Lepore – non posso che auspicare che si arrivi all’individuazione e alla punizione dei colpevoli, anche se questo, come giustamente anticipato dal collega Pignatone, dovrà comportare una riapertura delle indagini». 

Nel frattempo Ilaria Cucchi esprime soddisfazione dopo la disponibilità l della Procura: “Prendiamo atto  di questa importante decisione del Procuratore capo e rimaniamo in attesa di giustizia e verità come abbiamo sempre fatto in questi cinque anni”.  Stefano Cucchi, infatti, fu arrestato dai carabinieri e rimase nella loro custodia in caserma per una notte, poi il giorno dopo all’udienza di convalida in Tribunale comparì davanti ad un giudice, fu preso poi in consegna dagli agenti della polizia penitenziaria, portato in carcere a Regina Coeli e poi nella struttura protetta del Sandro Pertini affidato, qui, a medici e infermieri. Strutture e organi dello Stato, come sottolinea Pignatone, che dovevano sorvegliare e curare un detenuto in condizioni di salute particolari. Pignatone, pur sottolineando che le “sentenze meritano tutte rispetto”, evidenzia come i verdetti di primo e secondo grado siano contrastanti “e in tutto o in parte condivisibili”.

In primo grado furono condannati i sei medici ma furono assolti infermieri e agenti penitenziari. La Corte d’Appello venerdì ha ribaltato tutto per assenza di prove. Ora è d’obbligo la ricerca della verità.

 

 

 

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