Venezia 1646. Lo strano caso del parricidio

VENEZIA – Il 1646 per Venezia è un anno molto particolare. La paura dei Turchi si fa sentire quando il sultano decide che Creta doveva tornare mussulmana. Si elegge doge Francesco Molin il quale inizia a far fortificare il Lido, Malamocco, alcune zone della Dalmazia ed il Friuli.

Il 16 marzo Tommaso Morosini, capitano generale, tenta di bloccare i Dardanelli per intrappolare i turchi. Il 6 aprile in ogni contrada di Venezia i parroci convocano i capi famiglia in chiesa per raccogliere le offerte per la guerra.
Quel giorno, però, in chiesa di Sant’Agnese non si presentò Giovanni Accenti, ne si fece vivo il figlio Francesco. Il motivo lo conoscevano tutti quelli che a San Marco e poi a Rialto sentirono il bando di sentenza che vedeva Francesco Accenti accusato di un reato gravissimo: il parricidio.
L’accusa era circoscritta. Secondo il bando, mercoledì 21 marzo Giovanni Accenti venne ferito con più colpi e cinque giorni dopo mori a seguito delle ferite. Quei colpi erano stati inferti dal figlio. Non presentandosi ai Capi del Consiglio dei Dieci per discolparsi il 5 aprile verrà condannato al bando perpetuo, in caso di arresto sarebbe stato giustiziato tra le due colonne di Piazza San Marco.
Ma cosa era successo? Quando si tratta di un caso di cronaca risalente ad alcuni secoli fa, non sempre si può capire come i fatti si svolsero. A volte la fortuna vuole che si conservino gli atti del processo, offrendoci la possibilità di leggere le varie testimonianze. Nel caso di Francesco Accenti il processo, presente probabilmente nel fondo del Consiglio dei Dieci, fu stralciato durante il periodo napoleonico e di questo grave caso di parricidio ci resta solo il bando di condanna.
Dove fu commesso l’omicidio ? Fu veramente il figlio ad uccidere il padre? chi lo denunciò ? quale poteva essere il movente ?
Ma la vera domanda è: si può ricostruire un caso criminale che riposa negli archivi da oltre quattrocento anni ?
Forse si.
Il primo passo non avendo a disposizione gli incartamenti originali del processo, è quello di cercarne copia in altre magistrature. Il problema principale è che il Consiglio dei Dieci, in virtù dei poteri che possedeva, gestiva completamente l’indagine, quindi non rilasciava copie.
Ciò nonostante nel bando vi era la clausula che in caso di contumacia i beni di proprietà sarebbero stati sequestrati, messi all’asta e venduti.
La magistratura che si occupava di questa procedura era l’Avogaria di Comun, sezione Fisco, ed è proprio qui che è stata ritrovata la pratica ancora conservata. All’interno del fascicolo vi sono numerosi scritti di parenti o aventi diritti sui beni sequestrati.
Se seguiamo il metodo di indagine odierno dobbiamo riuscire a darci sei risposte alle sei famose domande che gli investigatori americani chiamano le “five W and one H”, ovvero “when, where, what, who, why and how”.

 

When. Secondo gli incartamenti fu il capo contrada di Sant’Agnese a denunciare Francesco. La scansione temporale però viene arricchita da uno dei documenti presenti nell’incartamento del Fisco. La richiesta da parte dello “spezier”, ovvero farmacista, Oratio Bressanin, che lavorava presso la bottega “Alli quatro occhiali” del rimborso del debito di Giovanni per le medicine. Dal bando viene segnato il 21 marzo come data del ferimento, la lista presentata dal  farmacista segna per quella data un impiastro fatto di uova, farina d’orzo, facca ed altre sostanze utili per chi fosse stato ferito. Poi non ci sono altre date segnate. Fu proprio il 21 quindi il giorno in cui subi l’aggressione, era ancora vivo e si medicò.

Sul where, ovvero dove avvenne il parricidio, possiamo avvalerci di numerosi documenti. Nelle filze del Consiglio dei Dieci si segnala che fu il capo contrada di Sant’Agnese a denunciare il fatto.
Giovanni si era sposato una prima volta nel 1615 con Orsetta Canepario dalla quale ebbe almeno un figlio: Francesco. Nel 1630 a causa della peste muore la moglie e si risposa l’anno successivo con Cecilia Graziabona. A quel tempo doveva abitare a San Giacomo, di fatto, in una lettera di contraddizione di Domenico Canepario, fratello di Orsetta, si accenna che durante la peste mori sua sorella e suo padre e la casa di San Giacomo dell’Orio era gestita da Giovanni Accenti. Nei registri di San Giacomo dell’Orio non si trova traccia degli Accenti ma nel testamento di Domenico  Canepario si accenna che le messe fossero eseguite nella chiesa di Santa Croce ed in quella di Santa Maria Maggiore, forse prima di arrivare a San Giacomo dell’Orio abitavano in un altra contrada. L’anno dopo la peste si sposa con la Gratiabona e da quel momento si trasferisce a Sant’Agnese, casa che era stata acquistata da Paolo Paradiso con i soldi della dote, questo lo sappiamo perchè è la stessa Cecilia a scriverlo ai magistrati per non far sequestrare la casa del marito e la lettera la scrive proprio da quella casa, quindi lei abitava ancora li, dopo i tragici fatti.

Della lista dei beni sequestrati dal fante dell’Avogaria di Comun, questi ci segnala che Francesco abitava a Sant’Agnese, probabilmente assieme al padre e sappiamo anche che Francesco quando si sposò con Chiara Caio, abitava già li. Quindi se Francesco era nato a Santa Croce poi si trasferì con il padre nelle case nuove poco più che quindicenne. Dal bando si specifica che fu proprio a casa del padre che avvenne la tragedia. Dalla lista eseguita per il sequestro dei mobili sappiamo che la casa era discretamente spaziosa: costituita da due camere, due camerini, un portico, due “mezadi”, soffitta, cucina e cantina. Purtroppo non abbiamo altri dati che potevano provenire dai registri dei morti della parrocchia, i registri di morte conservati iniziano solo dal 1658, quindi oltre dieci anni dalla morte di Giovanni Accenti.

Il what ed il who si risolvono attraverso il bando stesso, l’indagine al tempo identificò il figlio come l’autore dei colpi che uccisero il padre Giovanni, non sono menzionati altri sospetti e quindi l’indagine doveva essere stata precisa, forse vi erano stati dei testimoni, magari della servitù.

Ma è sopratutto il why sul quale possiamo soffermarci. Quale fu il movente? Anche in questo caso ci può risultare utile l’incartamento degli Avogadori di Comun.
Alla domanda cosa può rendere un uomo un assassino spesso la risposta è da ricercare nel movente economico: avarizia, cupidigia, brama ed ambizione. Appurato che la morte è avvenuta per complicazioni dovute alle ferite, si può pensare che non ci fosse volontà precisa di uccidere ma che il tutto rientri in un accesso d’ira. Può esserci stato un motivo finanziario a causare il litigio tra padre e figlio scaturito poi in una tragedia ? Forse a distanza di cosi tanti secoli possiamo formulare una ipotesi suggestiva.

A cominciare dal 1642 Francesco iniziò a vendere parte delle proprietà, prima una porzione della casa di Sant’Agnese, l’anno successivo un’altra porzione al nobile Pietro Pisani, nel 1644 sempre al Pisani la vendita di sei campi a Campolongo, Piove di Sacco. Economicamente doveva trovarsi in difficoltà. Sempre nel 1644 Francesco si sposa con Chiara Caio, forse nella speranza di far fronte ai debiti con la dote della moglie.  Lo stesso padre non viaggiava in acque tranquille. Il 18 luglio del 1638 risulta che aveva un debito con i Governatori delle Entrate coperto dal genero Canepario. Una ventina di anni prima aveva avuto un altra causa, assieme a Pietro Maria Canepario, contro una certa Meneghina moglie di Pietro Cimatoris. Anche in questo caso non sappiamo esattamente cosa accadde. Un ulteriore dato interessante proviene da un atto notarile stipulato nel 1622. Giovanni aveva deciso tramite notaio di dissociarsi dal padre il quale aveva alcuni debiti con gli avvogadori fiscali, come se li fosse procurati non è facile scoprirlo ma in un altro atto si viene a sapere che nel 1606 era stato nelle prigioni di Rialto, ovvero quelle prigioni dedicate a chi non pagava debiti. Quindi anche da parte del nonno non ci si poteva certo aspettare una cospicua eredità.  
Francesco doveva aver preso atto della situazione e divenne presto procuratore di Lucrezia Pasqualigo, sposata in secondo voto con il nobile Daniele Venier della contrada di San Nicola sulla fondamenta di Santa Maria Maggiore. Come procuratore di una donna nobile assumeva credito  ma questo probabilmente non era sufficiente.

Fu per i vari debiti che scoppio il litigio mortale? Molto probabilmente si e l’indiretta conferma proviene dal fondo di un altra magistratura, quella del Consiglio dei Dodici.
L’8 settembre del 1643 Giovanni aveva iniziato una causa civile contro Vincenzo Forte per una mala gestione dei beni presso la sua Villa a Carpenedo. La causa durò parecchi anni e venne vinta da Giovanni Accenti solo il 18 marzo del 1646. La data è significativa se confrontata con la data dello scontro con il figlio. Perchè ? la risposta sta nella lista di spese processuali, ancora una volta Giovanni si trovava a dover pagare una somma alta allo Stato. Forse il figlio si rese conto che avrebbe dovuto vendere altro, forse non poteva farlo e forse accusò il padre. Non possiamo sapere precisamente cosa accadde ma oggi, dopo quattrocento anni, qualche dato in più sul movente lo possediamo e possiamo accontentarci per chiudere questo strano Cold Case veneziano.

Condividi sui social

Articoli correlati