Venezia. Il prete assassino di San Marco

VENEZIA – Nel corso di una indagine gli elementi di natura geografica e temporale sono purtroppo spesso ignorati anche se, contrariamente a ciò che si pensa, gli indizi che possono provenire dai luoghi correlati al crimine sono in grado di supportare in modo significativo le indagini.

Si è appurato da diversi anni che l’area nella quale avviene il crimine non è una scelta accidentale ma anzi il diretto risultato di una mappa mentale ben meditata dell’aggressore. Accade quindi che l’assassino si muova su percorsi che conosce bene, anche quando questi non sembrano affatto correlati tra di loro, come si può evincere nel  caso dell’omicidio di San Marco.

Un lenzuolo bianco copre un corpo disteso su di un tavolo nell’esatto momento in cui entra nella stanza Andrea Ferisato. Con passo deciso giunge vicino al cadavere e alza un lembo del lenzuolo. Poi decide di scoprirlo del tutto e comincia a studiarlo. Chi è Ferisato ? Ferisato svolge la professione di cerico, ovvero chirurgo, in calle delle Rasse, una calle vicino a San Marco. Un fante del collegio dei Signori di Notte al Criminal lo aveva prelevato una mezz’ora prima, portandolo nella chiesa di San Basso a San Marco, luogo in cui era stato ritrovato il cadavere di un uomo. La povera vittima si chiamava Andrea Grillo, aveva circa 58 anni e abitava alla Giudecca.
Il chirurgo comincia a scrivere il suo referto. Segna che è stato colpito di punta alla spalla sinistra vicino al collo, ferita che aveva danneggiato l’arteria, causandone la morte presso che immediata per dissanguamento. Non trovando altre ferite, nemmeno nei palmi delle mani, esclude a priori che la vittima si sia difesa durante l’aggressione. Proprio in quell’istante entra impetuosamente qualcuno che, disperato, si getta sul corpo morto ma viene bruscamente allontanato da un fante. Quell’uomo è il figlio della vittima. Inizia cosi, la notte del 6 giugno 1678, uno dei rari casi di omicidio avvenuti nei pressi di Piazza San Marco, vicino alla piazzetta dei Leoncini. I magistrati che si occupano dell’indagine lavorano per la Quarantia Criminal e la procedura che adottano è sempre la stessa. Cominciano, prima di tutto, ad interrogare i vari testimoni presenti sulla scena del Crimine. San Marco non è una qualsiasi zona periferica di Venezia, ma il cuore pulsante di attività politiche e religiose. L’omicidio era inoltre avvenuto a pochi metri dalle Mercerie, una strada decisamente frequentata per le numerose botteghe e quindi pullulante di veneziani. Difficile pensare di non trovare testimoni ed infatti, fin dal primo giorno, vi è un andirivieni di persone che entrano ed escono ansimanti dagli uffici del magistrato.

Tra i primi ad essere interrogati è proprio il figlio della vittima. Quella sera era arrivato in piazza e subito aveva ascoltato le voci dei molti residenti della Giudecca che raccontavano dell’uccisione di un certo Andrea Grillo. Spaventato nel sentire il nome del padre si era diretto di corsa verso la Torre dell’Orologio. Macabra era la scena che gli si prospettava di fronte: in una pozza di sangue giaceva suo padre, al cui fianco ci era vicino un prete intento al conforto e alla preghiera. Vane parole per l’uomo che ormai era già morto. In molti si erano riuniti ed alcuni piangevano per quello che era accaduto. Ma cosa era successo? Il testimone migliore sentito quella mattina è un tale che si chiama Francesco de Zuanni Cansamelle. Il suo nome era stato suggerito da un altra persona che era troppo distante per capire quello che stava accadendo ma che lo aveva riconosciuto in mezzo alla folla.
De Zuanni lavora in calle Bagaselle, proprio sotto l’orologio. Quando iniziò a parlare diede un fiume di indizi

-Dove si trovava sabato sera?
-Sabato dopo pranzo verso le tre mi trovavo sotto l’orologio
-e cosa successe?
-sentii un urlo e poi un uomo dire “Gesu Maria”, vidi chiaramente un prete vestito alla lunga che fece moto con la mano d’arma e menò un colpo al vecchio
-e poi?
-poi il prete si diede alla fuga verso la chiesa. Corsi per dare una mano a quell’infelice che era caduto con una ferita al collo. Continuava a ripetere soltanto “Gesù Maria ghe perdono”, questo lo replicò più di una volta e poi arrivò un prete francescano.
De Zuanni termina il racconto mentre il notaio trascrive la testimonianza. Ma perchè quel prete avrebbe dovuto colpire un uomo disarmato?

Riprese il racconto
-Si radunò molta gente e chi diceva una cosa, altri l’altra, per chi alcuni dicevano che questo prete li aveva dato perchè questo poveretto praticava casa di una sorella del prete e che lei li facesse il ruffiano, altri dicevano che il prete praticava con la figliola del vecchio e che lui fosse andato a querelarlo.
Non aggiunse altro se non che il prete con l’olio era don Michiel Angelo Franceschi, prete di San Basso, che quando arrivò il vecchio era già morto e fu sepolto nel cimitero di quella chiesa.
Si può intuire fin da subito che i luoghi tra di loro sono correlati. La vittima viene uccisa vicino alla piazzetta dei Leoncini, ovvero nei pressi degli uffici dove avrebbe fatto la denuncia contro il prete. Non si sa da dove provenisse il prete ma, si conosce il luogo dove cercò di scappare: la chiesa di San Marco. Per quanto riguarda lo svolgimento della scena possediamo altre due testimonianze importanti.
Secondo Giovan Carlo Volpe il vecchio stava camminando da solo quando il prete lo chiamò, ricevendo parole ingiuriose, delle quali però non ne ricorda nemmeno una. Vide il prete estrarre la spada e colpirlo al collo. Di quelle ingiurie, invece, qualcosa l’aveva sentita dire un tale Giacomo Paisini. Sembra che il vecchio  fu fermato dal prete il quale gli disse  “ vecchio ben ..ti voglio insegnar a dir messa con preti “ e lui gli rispose dicendogli “andè sulle forche”.

Antonio Chioza, facchino in Piazza giura addirittura che il prete aveva invece detto al vecchio “vecchio ben forte ti voglio insegnar la cocuza” ed il vecchio non disse “andè sulle forche” ma “andè a dir messa”.
Ora risultava essenziale capire dove vivesse il prete.
Il giorno seguente si inizia sentendo Guarnieri di Andrea, un garzone che lavora nella bottega di Marco Boris dalla Calce, sotto l’orologio. Guarnieri quando senti urlare “Gesù Maria” si era affacciato alla bottega e vide un uomo vestito da prete scappare verso San Marco, entrando nella porta grande. Quel prete gli era sembrato un insegnante dell’Accademia dei Mercanti o al  Seminario di Murano. Il Seminario per i giovani chierici si trovava da pochi anni a Murano mentre prima era ubicato alla Salute dove ritornò nel 1817 e dove si trova tutt’ora. L’Accademia o Collegio, invece, era stata fondata da parte della Repubblica nel 1619 alla Giudecca. Questo era un dettaglio importante, visto che la vittima risiedeva proprio alla Giudecca.

Ai magistrati non ci volle molto per sapere che l’indiziato corrispondeva al nome di Corinto ed insegnava di fatto all’Accademia. Il testimone che lo inchioda è Angelo Carudi, lavora nella vicina calle Malvasia al ponte di Ca’ Balbi a San Zulian, sempre nei pressi di San Marco, e frequentava la casa del prete Giovanni Maria della chiesa di San Giovanni Novo. Li aveva conosciuto Corinto. Ora non solo si possiede una descrizione: scarno con un muso grande di statura bassa, si conosce anche dove abita, a Ca’ Priuli nei pressi di San felice.
L’11 giugno arriva l’ordine tanto atteso. Il Capitan Grande Mattia Bevilacqua si dirige all’abitazione di Don Corinto Maggi di Toscana del borgo di San Sepolcro ma non trova nessuno, il prete è già fuggito.
Passano circa sei giorni ed il 17 giugno, imputato per aver abusato della dignità sacra del sacerdozio, viene bandito, pena nel caso fosse stato arrestato, la decapitazione. Ma non verrà mai trovato. I luoghi più importanti, ovvero dove avvenne l’omicidio, dove fuggi l’assassino e i luoghi che frequentava, ruotavano tutti attorno a San Marco e alla Giudecca. Il prete insegnava alla Giudecca, luogo dal quale proveniva la vittima. L’assassinio si svolse poco distante dalla chiesa di San Basso, esattamente sulla strada per andare nella vicina chiesa di San Giovanni Novo, luogo che frequentava il prete assassino. Grazie ad una indagine accurata, durata meno di dieci giorni, si potè mettere la parola fine a questo caso.

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