Papa, l’Italia non ceda al catastrofismo

CITTA’ DEL VATICANO  – Davanti alla crisi che stiamo attraversando, che «non è solo economica, ma culturale, morale e spirituale»,cioè «un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti», Papa Francesco invita l’Italia a «non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità».

Lo fa in un’occasione a suo modo storica e solenne: l’apertura della 66esima Assemblea dei vescovi italiani, dove la prolusione per la prima volta tocca ad un Papa anzichè al presidente della Cei Angelo Bagnasco. E Francesco ne approfitta per lanciare un vero e proprio monito alla Chiesa italiana, alla quale, dice, «non è dato di disertare la sala d’attesa affollata di disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti l’azienda». Nel suo intervento, il Pontefice indica i ‘luoghì in cui la presenza cristiana è maggiormente necessaria e significativa e «rispetto ai quali un eccesso di prudenza condannerebbe all’irrilevanza». «Il primo – elenca – è la famiglia, oggi fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio». «Fatevi – chiede ai presuli – voce convinta di quella che è la prima cellula di ogni società. Testimoniatene la centralità e la bellezza. Promuovete la vita del concepito come quella dell’anziano. Sostenete i genitori nel difficile ed entusiasmante cammino educativo. E non trascurate di chinarvi con la compassione del samaritano su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita». «Un abbraccio accogliente» Francesco invoca poi per «i migranti che fuggono dalla persecuzione e dalla mancanza di futuro» «Fuggono – ricorda – dall’intolleranza, dalla persecuzione, dalla mancanza di futuro. Nessuno volga lo sguardo altrove».

Più in generale, continua, «le difficili situazioni vissute da tanti nostri contemporanei vi trovino attenti e partecipi, pronti a ridiscutere un modello di sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sull’altare del profitto e crea nuove forme di emarginazione e di esclusione. Il bisogno di un nuovo umanesimo è gridato da una società priva di speranza, scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita dalla crisi». «I nostri sacerdoti – rileva – sono spesso provati dalla fatica del ministero e a volte sono scoraggiati». Si deve invece accompagnare «con larghezza la crescita di una corresponsabilità laicale», sollecitata dal Concilio che affida ai laici gli ambiti dell’economia, della politica e del sociale. Compito della comunità cristiana, infatti, è anche quella di «curarsi delle ingiustizie». In definitiva l’invito è a dire basta alla «distinzione tra i ‘nostrì e gli ‘altrì». Nella sua prolusione all’Assemblea Cei, il Pontefice critica così «la testa sterile di chi rimane a sedere ai piedi del campanile, senza oltrepassare la piazza, lasciando che il mondo vada per la sua strada». Per Papa Francesco i vescovi, i preti e tutti i cattolici dovrebbero «vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi all’incontro, che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia». Verità e misericordia, ha spiegato Bergoglio ricordando l’enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI, non vanno mai disgiunte, perchè «senza la verità, l’amore si risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione», mentre «un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali». Il Papa parla senza falsi pudori dei limiti della Chiesa e dei suoi uomini. Il più grave sono le divisioni, che portano a forme di settarismo. «Un giornale – scherza – ha scritto dei membri della presidenza Cei: questo è del Papa, quello no. Ma la presidenza sono tutti uomini del Papa. La stampa delle volte inventa le cose. Il nostro linguaggio non è di tipo politico, è quello comunionale». «La mancanza, lo scandalo della divisione deturpa il volto della Chiesa» denuncia però Francesco, che con le parole di Paolo VI – che egli stesso canonizzerà il prossimo 19 ottobre, come ha ricordato oggi – descrive «la mancanza o comunque la povertà di comunione» come «lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione: meglio cedere, meglio rinunciare, disposti a volte anche a portare su di sè la prova di un’ingiustizia, piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio». Per questo, spiega ai vescovi, «i pastori devono rifuggire dalle tentazioni (che sono ‘legionì) le quali sfigurano la Chiesa: la gestione personalistica del tempo, quasi potesse esserci un benessere a le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni; la durezza di chi giudica senza coinvolgersi». Ma anche «il lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dell’altro». Ancora una volta – in questo modo – il Papa elenca i vizi dell’ambiente ecclesiastico: «il rodersi della gelosia, l’accecamento indotto settarismi: ‘quant’è vuoto – commenta – il cielo di chi è ossessionato da se stesso» e si chiude nel «ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute». È la pretesa di quanti «vorrebbero difendere l’unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa». I vescovi italiani – infine – non debbono confidare sull’«abbondanza di risorse e strutture», sulle «strategie organizzative». Nella Cei ci sia «reale libertà di discussione e di espressione». E i vescovi siano «semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi» per «poter essere vicini alla gente». «Amate le vostre comunità – è la raccomandazione finale di Bergoglio ai anche nelle sue forme di pietà popolare, abbiate fiducia che il popolo di Dio ha il polso per individuare le strade giuste». Francesco chiede dunque ai presuli di «non ostacolare la progettazione pastorale di donne e giovani» e dire ‘nò ad una «pastorale della conservazione» privilegiando quella che «fa perno sull’essenziale», che è il messaggio di Gesù. 

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