La speranza di un Paese in disarmo

ROMA – Nel momento peggiore per l’Italia, con un Parlamento in stallo, partiti e movimenti che rifiutano ogni forma di dialogo e di confronto e una classe politica talmente litigiosa da non riuscire nemmeno a rinnovare il Capo dello Stato, non c’è dubbio che la soluzione individuata dalla saggezza del riconfermato Napolitano, ossia l’incarico di formare un governo di unità nazionale conferito a Enrico Letta, costituisca l’unica soluzione praticabile.

A scanso di equivoci, mi preme mettere subito in chiaro una cosa: si tratta dell’unica soluzione praticabile, non della migliore possibile; e personalmente continuo a credere che questo esecutivo, proprio per la sua eterogeneità e le profonde contraddizioni che contiene al suo interno, debba essere di scopo e durare non più di un anno, pena la riproposizione della lenta ed estenuante agonia che ha finito con lo sfibrare il già non brillante governo Monti.
A tal proposito, un primo assaggio delle fibrillazioni cui saremo costretti ad assistere nei prossimi mesi lo abbiamo avuto già in queste ore con la vicenda dell’IMU, di cui Letta ha annunciato la sospensione per quanto riguarda la rata di giugno mentre il PDL ne chiede l’abolizione e l’immediata restituzione come previsto dal suo programma, incurante delle difficoltà di copertura finanziaria che quest’impuntatura potrebbe comportare.
Per come siamo ridotti, tuttavia, la nascita e la serena navigazione di questo governo sono le uniche possibilità che abbiamo per tornare protagonisti in Europa, nel momento in cui iniziano finalmente a incrinarsi le certezze granitiche dei rigoristi a oltranza, costretti a fare i conti con la barbara evidenza dei dati e con le crescenti tensioni sociali in un Mediterraneo oramai in fiamme.
Le cifre, infatti, sono inequivocabili: in Spagna, nel primo trimestre del 2013, il tasso di disoccupazione è arrivato al 27,16 per cento, per un totale di circa 6,2 milioni di persone senza lavoro e quasi rassegnate all’idea di essere spacciate. Senza contare il tasso di disoccupazione giovanile che in Spagna e in Grecia, ma senz’altro anche in Italia, ha da tempo superato il livello di guardia, condannando un’intera generazione a fare i conti con un futuro che semplicemente non c’è o, se c’è, di sicuro non è nel proprio paese natio.
Per non parlare poi di ciò che sta accadendo in Francia, dove, a marzo, i disoccupati hanno raggiunto la considerevole quota di 3 milioni 224mila, sfiorando il 10,2 per cento e rendendo palese la sensazione, peraltro diffusa tra gli osservatori internazionali, che l’amministrazione Hollande stia deludendo non poco le aspettative suscitate un anno fa.
Tornando all’Italia, le tre linee guida esposte da Letta alle Camere dovranno procedere di pari passo. Crescita, sviluppo, rilancio dell’economia, riduzione dei costi della politica e una maggiore presenza del nostro Paese in Europa, difatti, sono tutti propositi tanto nobili quanto già sentiti e traditi troppe volte dagli esecutivi che si sono succeduti negli ultimi anni per non destare una doverosa punta di scetticismo.
Eppure, non possiamo fare altro che crederci, ancora una volta, contro tutto e tutti, a cominciare dalle pressanti richieste di un alleato ingombrante come Berlusconi e senza mai perdere d’occhio le sparate di quel noto gaffeur del ministro delle Finanze tedesco, Schäuble, il quale ha pensato bene di dichiarare: “Il problema in Italia è l’irritazione dell’economia per i ritardi nel formare il governo. Scaricare sugli altri i propri problemi è comprensibile umanamente, e per alcuni la Germania è appropriata nel ruolo, ma è una sciocchezza. Molti paesi europei fanno grandi progressi, ma non si lamentano ogni giorno e soprattutto non pretendono sempre dagli altri la soluzione ai loro problemi: li risolvono da soli”.
Poiché, a differenza sua, conosciamo bene le regole della diplomazia e abbiamo il buonsenso di rispettarle con scrupolo, eviteremo di ricordargli che, se oggi l’Europa è ridotta in queste drammatiche condizioni, gran parte delle responsabilità è da attribuire proprio a lui e al governo di cui fa parte, purtroppo in grado di condizionare le scelte di tutti gli altri stati del Vecchio Continente, condannandoli ad un progressivo e devastante impoverimento.

Ci sembra, però, doveroso informarlo che innanzitutto, come dimostrano le stime francesi, nessun paese europeo ha compiuto alcun progresso e in secondo luogo che anche la sua ricca e potente Germania comincia ad accusare i primi segnali di flessione, come testimoniano gli Indici dell’atmosfera economica in calo per il secondo mese consecutivo e i duri editoriali che iniziano a bersagliare l’amministrazione Merkel persino sul liberal-conservatore e filo-governativo “Die Welt”.
Senza contare che addirittura un falco del neo-liberismo come il commissario agli Affari economici e monetari, il finlandese Olli Rehn, ha iniziato a perorare la causa di un rallentamento del ritmo nel risanamento dei bilanci pubblici degli stati più indebitati, proprio per evitare l’acuirsi di tensioni che oramai, specie in nazioni allo stremo come la Spagna e la Grecia, rischiano seriamente di sfociare in rivolte sanguinose.
Quest’anno, dunque, stando a ciò che afferma Rehn, il tasso medio delle misure di risanamento dovrebbe essere dello 0,75 per cento del PIL contro il massacrante 1,5 dell’anno scorso.
Per questo, crediamo che, nonostante tutto, il governo Letta costituisca un’occasione importante per un Paese in disarmo come il nostro: perché è l’ultima possibilità che abbiamo di tornare a contare qualcosa nell’ambito delle istituzioni europee, non essendo riuscito nell’impresa nemmeno un rodato europeista come Mario Monti. E perché, in conclusione, come ha dimostrato il diverso approccio della Merkel nei confronti del nuovo Premier italiano (alla sua prima visita ufficiale in queste vesti), potremmo approfittare del clima di generale ripensamento e revisione dei dogmi del libero mercato, un tempo indiscutibili, che si respira da quelle parti per rilanciare il progetto di un’altra idea di Europa: un’Europa unita, coesa, con al centro il processo di promozione sociale dell’uomo e non le bizzarrie dei mercati e, più che mai, vicina all’ispirazione originaria dei padri fondatori.

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