Anno zero!

ROMA – Renzi ha stravinto la corsa a Segretario e la rovinosa sconfitta di Cuperlo è un dato drammatico per l’intera sinistra. Dopo le durissime sconfitte della sinistra radicale e minoritaria, che è pressoché scomparsa dallo scenario politico, ora  tocca alla sinistra socialdemocratica – anche se raramente si è definita tale – di Bersani e D’Alema.

È stata completamente sradicata dal partito. Subito lo hanno capito i disinvolti “giovani turchi” che hanno incoraggiato Cuperlo ad accettare l’incarico di Presidente del Pd per stringere una più stretta collaborazione con Renzi, dopo averlo descritto come longa manus della scuola di Chicago. Nessuno, però, accenna a spiegare perché l’insuccesso è stato così clamoroso e definitivo, perché l’intera giovane nomenklatura messa su da Bersani sia stata miseramente travolta, è sia durata per una breve stagione. 

È buona regola, dopo una battaglia elettorale, soprattutto se si è sconfitti in modo così clamoroso, dare una spiegazione dell’insuccesso. 

La sinistra radicale si è intestardita su posizioni minoritarie, totalmente avulse dalla realtà, ma anche la sinistra del Pd non scherza in ottusità politica! 

Ancora si aspetta di capire le ragioni della sconfitta di Bersani e cosa davvero è accaduto nel corso di quella nera pagina sull’elezione del Presidente della Repubblica e sul varo del governo delle larghe intese di Letta. E non è sufficiente parlare di tradimenti e di traditori, come se il susseguirsi di quelle sconfitte dovessero essere attribuite alla mala sorte (“destino cinico e baro”, di saragattiana memoria) o alla sola congiura dei nemici interni (pura concezione staliniana che non aiuta a comprendere).

L’idea di aver sbagliato è lontana dal farsi strada e la sconfitta “senza se e senza ma” di Cuperlo è anche figlia  di questa mancata riflessione critica. Insomma, non si ammette di avere sbagliato e sbagliato di brutto, che ha comportato a essere drammaticamente rifiutati dalla stragrande maggioranza del “popolo del Pd”.

Occorre dire che neppure Sel ha aiutato a fare chiarezza. Si è solo preoccupata di “salvare la pelle” ponendosi all’opposizione parlamentare del governo, ma una riflessione vera sul disastroso approdo del nuovo centro-sinistra di Bersani e Vendola non l’ha sul serio svolta, neppure nell’attuale fase congressuale. Forse anche per questo la sua opposizione è scarsamente visibile nel Paese, totalmente sommersa da quella di Berlusconi, di Cinque stelle e oggi dei “forconi”. E in questa situazione con il tre/quattro per cento non si va molto lontani. La pelle alla fin fine non si salva. 

Paradossalmente nell’ambito della sinistra l’opposizione più forte e incisiva al governo delle larghe intese è venuta e viene proprio da Renzi che non ha perso occasione, facendo leva sul populismo e la demagogia, di manifestare la sua insofferenza e contrarietà a tale quadro politico.

Anche Cuperlo dunque ha perso – come si è detto – in modo rovinoso. Le primarie del Pd hanno dato un voto straripante per Renzi, il candidato presentato come estraneo alla sinistra, ma il “popolo della sinistra” per lui invece ha votato nonostante che Cuperlo, Bersani, D’Alema e Reichlin lo abbiano evocato, a cui pensavano di parlare e soprattutto nel cui nome sono intervenuti nella battaglia politica. Non si sono accorti che quel “popolo” chiedeva un cambiamento di linea e maggiore coerenza e aggressività politica, che Bersani non ha svolto e dopo l’obbrobriosa sua uscita di scena anche i suoi seguaci non hanno saputo svolgere. Un “popolo” che ha maturato, sia pur in modo ingeneroso e sommario, un giudizio sul Pd e di chi in questi anni lo ha diretto (ma anche su i Ds) negativo e ora si rivolge a Renzi come fosse “l’ultima spiaggia”, senza avere più nessun tabù. E Renzi con destrezza e furbizia ha colto questo “rifiuto” della “vecchia politica”, proprio perché non del Pd è il prodotto, cioè della migliore cultura comunista e democristiana della prima Repubblica, ma del populismo, che sta dilagando nel Paese, sia pur in diverse e inquietanti forme. Chi meglio di Renzi può battere Berlusconi o Grillo? Allora viva il giovane Sindaco di Firenze e avanti tutta!

Il rifiuto netto degli elettori a Cuperlo non è stato tanto alla persona ma a ciò che egli rappresenta. Aveva le carte in regola per fare il Segretario. Simbolicamente è un uomo con un legame con il passato, è stato nell’area dalemiana ma in modo discreto e ha un profilo culturale che è piaciuto anche a chi non lo ha votato. Ma ha perso e la sinistra del Pd, come già è successo con Bersani, non ci spiega le regioni della sconfitta, si limita a salire, fatta qualche eccezione (i “vecchi rottamati”), sul carro del vincitore. Fino a quando? Con quale linea? Con quale prospettiva?

Ormai è chiaro che nel Pd il confronto è tra Renzi e Letta, sostenuto senza remore da Napolitano. Ed è altresì evidente che nel partito è in corso un terremoto che porterà a un totale cambiamento – d’altronde già avviato – dei suoi gruppi dirigenti e anche a una vera e propria “mutazione genetica” della sua base. In questo processo il ruolo della sinistra riformista e socialdemocratica sarà sempre più marginale. La sfida pare essere tra una scelta di campo populista (e c’è ne per tutti i gusti, sia a destra che a sinistra) o la costruzione di una grande area di centro. La competizione dovrebbe essere risolta in tempi medio-brevi anche perché le classi dominanti vogliono garantire governabilità e stabilità, con operazioni di ingegneria istituzionale, a un Paese che non riesce a uscire dal tunnel di una crisi morale, economica e sociale che morde e lo ha portato in condizione di grande debolezza.

Ovviamente sul versante economico il confronto è tra un neoliberismo più o meno esasperato e politiche liberiste che riscoprono in qualche misura il keynesimo, ma utilizzato in ricette che tengano conto delle idee liberiste sul ruolo del pubblico (una visione quest’ultima comune sia a Renzi che a Letta). La “democrazia dell’alternanza” è ridotta a questi due poli. Il resto è fuori!

Affermare che sempre più la crisi ha il carattere strutturale di sistema non vuol dire fare dello spicciolo catastrofismo. La lezioncina che viene spesso propagata   che la sinistra in Occidente è cambiamento dei parametri culturali a ogni passaggio d’epoca, quindi se la guardiamo in sequenza ha sempre avuto una impostazione politica in grado di modificarsi, sia in rapporto allo sviluppo del Paese sia alle condizioni di maggiore equità per chi è svantaggiato, mi pare  che non regga più, perché è l’idea di sviluppo e di progresso democratico e sociale che in questi anni è stato messo in discussione. Ecco perché non è sufficiente un neoliberismo temperato per rilanciare un’idea nuova e moderna di sinistra. 

A questa posizione fa il paio quella della sinistra radicale che nega la possibilità di uscire dal neoliberismo in quanto non ci sarebbero più “margini di riformismo”. Occorre aspettare l’ora X, quando l’intero sistema capitalistico sarà investito da una crisi generale sulla quale costruire le condizioni di una alternativa di società. 

A ben vedere queste due idee di sinistra sono parte di ricordi lontani e confusi di come era la sinistra italiana, con una differenza però, non proprio marginale: erano entrambe parti integrante di un Pci dai connotati egemoni  riformisti (non si confonda il riformismo di Amendola teso a sviluppare processi di trasformazione agli aggiustamenti miglioristi di Napolitano). Chiusa tale esperienza storica non restano che gli estremi: uno pragmatico migliorismo che ottiene qualche risultato quando il capitale decide che gli aggiustamenti sono compatibili alla sua riproduzione o un inconcludente radicalismo minoritario. Anche da queste residuali pratiche prende forza il populismo di Renzi, “migliorista” ma aggressivo nella forma, pertanto  persuasivo. 

La sinistra di Cuperlo è stata dunque rifiutata dagli elettori perché è una sinistra carica di retorica, come del resto quella minoritaria, sia pur con un segno politico diverso. <<Non siamo i migliori ma siamo dalla parte giusta>>; difende i sindacati ma non sa che cosa i lavoratori pensano del sindacato e le difficoltà che il sindacato incontra; riscopre il keynesimo, lo sbandiera ma non lotta per attuarlo con rigore e coerenza. Si dovrà pur giungere a una disamina critica della storia della sinistra italiana, dallo scioglimento del Pci in poi. Qualcuno dei protagonisti di allora dovrà pur spiegare un giorno come mai la “cosa” di Occhetto non si trasformò in un partito del lavoro. 

Se senza appelli è il giudizio negativo sull’attuale approdo del Prc e del Pdci mi pare che anche “Sparta non rida!”. Un patrimonio enorme è stato in un ventennio disperso dalla sinistra riformista e socialdemocratica. Mai una battaglia vinta anche perché mai fino in fondo è stata davvero combattuta. Mai una riflessione critica, ieri come oggi, mai una iniziativa in grado di aggregare tutte quelle forze, dentro e fuori il Pd, interessate a un processo di costruzione e di sviluppo di una sinistra di governo vera, non infoltita di giustizialisti, giornalisti e intellettuali che ogni giorno dànno lezioni sul vivere  e scomunicano, avendo il monopolio dei mezzi di comunicazione,  come residuali e nostalgici chi vuol mettere in campo una sinistra che sia un moderno soggetto attivo della trasformazione. La nascita di un partito unitario e plurale, con basi di massa, di tale sinistra non è più solo una necessità storica, ma una scelta politica da mettere all’ordine del giorno. Non si può più derogare al compito di fase, anche perché dopo la bruciante batosta di Cuperlo siamo giunti, mi pare, all’anno zero! 

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