Riforma della legge elettorale, basta alibi, tempo di scegliere

ROMA – Sono anni che si discute della riforma della legge elettorale perché le gravi storture del porcellum erano note e conclamate. Nel 2011 si tentò la via referendaria per ripristinare condizioni accettabili nelle modalità di elezione della rappresentanza nazionale.

Quella volta, per giurisprudenza consolidata, la Corte costituzionale, non consentì, la pronuncia del corpo elettorale. Questa volta, invece, il Giudice delle leggi ha messo fine ad una legge elettorale incostituzionale in primo luogo perché antidemocratica.

Meno noto è forse che a innescare il procedimento che ha portato alla fine del porcellum è stata l’iniziativa di un cittadino elettore. Ciò testimonia che il sistema consegnatoci dai Costituenti in termini di garanzie costituzionali ancora tiene. Ma per quanto e a costo di quali sacrifici? Il sistema politico italiano ha vissuto, infatti, alterne vicende, alcune delle quali particolarmente distorsive quali lo spostamento dei poteri in capo all’esecutivo, in un contesto fortemente segnato dalle imposizioni di Bruxelles, con le Camere ridotte a meri organi di ratifica; il legiferare attraverso decreti leggi e a colpi di fiducia; l’abnormità di un premio di maggioranza del tutto sganciato da qualsiasi ragionevolezza con gli eletti ormai ridotti a nominati con tutte le conseguenze in termini di compressione di autonomia discendenti da tale status. Ora le tre proposte presentate a inizio gennaio da Renzi cd mattarellum corretto, modello spagnolo e doppio turno (o più familiarmente sindaco d’Italia) sono tutte da ascriversi alle cd formule maggioritarie. 

 

Un quadro f segnato da forze politiche affette da evidente poltronismo

Con esse certamente si favorisce la governabilità a scapito però della rappresentatività, tipicamente assicurata attraverso il sistema proporzionale. Con quest’ultimo, infatti, la ripartizione dei seggi avviene in misura proporzionale al risultato elettorale ottenuto dalle varie liste. Si tratta del sistema più democratico e inclusivo limitando l’astensionismo politico in quanto all’elettore si offre la scelta tra molte liste, tutte potenzialmente nella condizione di eleggere propri rappresentanti, clausole di sbarramento permettendo.  

Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, questo è oggi il sistema elettorale vigente in Italia. Tuttavia, in un quadro fortemente segnato da forze politiche affette da evidente poltronismo cioè dalla tendenza a non lasciare poltrone e posizioni governative, si potrebbe assistere ad una spinta per far deragliare il treno della riforma elettorale oppure, ipotesi alquanto remota, ad un’improvvisa accelerazione verso il voto. Oggi un voto con il proporzionale non darebbe nessuna maggioranza favorendo così nuovamente la nascita di un governo di larghe intese.  Del resto, la storia del proporzionale è la storia della prima repubblica che, specialmente nella sua fase terminale, decideva le coalizioni governative dopo il voto popolare. Con l’aggravante di una forte instabilità governativa malgrado la sostanziale tenuta degli equilibri politici di sistema favorita anche dalla vigenza del proporzionale. 

Verso una democrazia parlamentare deliberante

Ora se un’evoluzione c’è stata nel passaggio dal proporzionale al maggioritario è da rinvenirsi nella consapevolezza dell’elettore che ora sa di partecipare ad un processo politico ove la sua scelta, il suo voto, concorre a determinare quale coalizione governerà il Paese. Un passaggio quindi decisivo verso la costruzione di una democrazia parlamentare deliberante. Tuttavia, per effetto della vigenza del cd porcellum, questo meccanismo ha preso dapprima a scricchiolare per portare poi al vicolo cieco che ha sospinto il paese alle larghe intese ora ridottesi a piccole intese. In questo scenario la riforma della legge elettorale è divenuta la priorità politica dei lavori parlamentari per scongiurare l’eventuale ritorno al voto con la proporzionale.   

 

Garantire la centralità del Parlamento

Delle tre proposte sul tappeto quella che ritengo da prediligersi è il doppio turno alla francese in quanto dotata di una maggior capacità inclusiva e caratterizzata da una maggiore democraticità. Questo sistema consente, anche in un assetto tripolare, la polarizzazione delle forze politiche. Ha così il pregio di recuperare la partecipazione al voto perché consente la strutturazione di coalizioni tra partiti anche minori. La vittoria delle elezioni e quindi l’assegnazione della maggioranza dei seggi, è garantita sotto il profilo dell’equilibrio e del rispetto del principio democratico in quanto al primo turno si prevedono soglie molto alte (40/45%) per l’ottenimento del premio. Qualora non si raggiungano  le soglie indicate si procederà poi ad un secondo turno dove si confronteranno le due coalizioni più votate al primo turno, con il premio che sarà assegnato alla coalizione che supererà il 50 % dei suffragi.   

Rispetto a chi esprime preoccupazioni perché associa questo sistema al semipresidenzialismo francese, bisogna ricordare che fin quando il governo e il primo ministro saranno responsabili unicamente verso le assemblee elettive questo tipo di rischio non si corre rimanendo con ciò garantita la centralità del Parlamento. 

Da ultimo mi piacerebbe che, per quanto la materia sia intrisa di tecnicismo, possano prender parte a questa scelta le iscritte e gli iscritti del Partito democratico attraverso l’azione dei circoli territoriali che investiti finalmente nel merito e nei contenuti  potrebbero avviare un’azione di informazione e di raccolta delle preferenze dei militanti. Infatti, intorno a questa scelta che, in tutti i casi, sarà fondativa della nascente terza repubblica sarà fondamentale coinvolgere la più ambia base di partecipazione. 

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