Gaza-Guernica e i “Mi piace” da scrivania

ROMA – Era il Natale di più di dieci anni fa, da lì a pochi giorni sarei dovuto partire per Gaza con e come delegazione di un Partito a cui non sono mai realmente appartenuto. Ero giovane e forte, avevo trovato il modo per andare sul posto senza spendere nulla. Non so nemmeno se sarei mai tornato, allora dicevo che non avevo nulla da perdere.

Di sicuro non avrei rispettato i patti con il Partito: secondo loro sarei stato solo due settimane e poi al ritorno avrei dovuto consegnare una relazione dettagliata di quello che avevo visto e fatto. Io avevo i contatti di cooperanti e attivisti internazionali e me li custodivo bene. Avevo l’innocenza e la voglia di provare la brezza di tentare di cambiare il mondo. A me delle pacche sulle spalle del Segretario di Sezione di turno non me ne fregava nulla, avrei fatto anche lo scudo umano. Sarà stata la fase di passaggio tra l’essere ragazzino e l’essere adulto, tra il dichiararsi rivoluzionario e poi invidioso e/o contestatore dei borghesi, fatto sta che io le mie valige le avevo fatte veramente e qualcuno il mio biglietto lo aveva pagato e imbustato. 

Mia madre piangeva da giorni, anche se il periodo per andare nella striscia non era dei peggiori… Poi il giorno di Natale come in un romanzetto dei buoni intenti o come in un film da scaldare il cuore e gelare le menti, mentre passeggiavo con gli amici, dopo l’ennesima mangiata con saluti lacrimevoli tra i parenti, incontro un cane randagio, inizio a giocarci, mi segue fino a casa. E’ sporco di fango ed ha gli occhi lucidi, inizio a sentirmi piccolo, ad avere paura. Tanta paura. Non lo dico a nessuno (che ho paura), ma adotto quel cane, Nanà, e diserto il mio viaggio. Da allora non ho più speso parole nei media sulla questione palestinese. Non l’ho fatto professionalmente, né in modo informale attraverso i social. Ho avuto possibilità di partire, nuovamente, più volte negli anni, ma non l’ho fatto. Perché non mi sentivo all’altezza, perché non ho più trovato il coraggio, perché in parte non condividevo i progetti che mi sono stati proposti. Né quelli politici (passavano attraverso i partiti), né quelli giornalistici (legati all’idea dell’informazione-spettacolo o a quella dell’informazione-turistica – da passeggio, preparata a tavolino, protetta -). Tra i tanti limiti del mio modo di fare comunicazione, del mio mestiere di narratore, c’è sicuramente il dubbio, che mi porterò sempre dentro, di avere trovato delle scuse per non andare sul posto, per non sentirli da vicino quei fatti. 

Tutto ciò non fa notizia, anzi mi delegittimerebbe dallo scrivere questo articolo. Non è così, perché come tanti, nel mio piccolo, ho continuato a pretendere che l’incontro con l’altro, dunque la politica internazionale, le problematiche sociali e culturali, fossero i punti d’interesse principali di politica e comunicazione, lo stesso non hanno fatto coloro che hanno votato senza porsi il problema delle posizioni filo-israeliane dei nostri leader politici. Della loro assenza di soluzioni su certe problematiche e delle loro collusioni con le grandi lobby economiche internazionali. Sfoglio i titoli dell’informazione cartacea e in nome di una equidistanza che non ha niente a che vedere con il fare un buon giornalismo, non trovo nessuna presa di posizione netta di condanna a Israele. Per lo meno sui giornali che vendono più di cinquemila copie e che vengono ripresi nelle rassegne stampa televisive. Il mitico Renzi è forse in vacanza? Sciopera con il silenzio per i mancati accordi sulle riforme della nostra bellissima (e secondo me intoccabile) costituzione, oppure ripassa l’inglese per darsi un tono più internazionale? E’ sui social però che mi sento più toccato. Le bacheche pullulano di foto di bimbi palestinesi, di “grida” strazianti compiaciute dai “Mi piace” (che poi, è giusto mettere “Mi piace” su foto così forti?). Bacheche che alternano questi post a cose di tutti i giorni, come il mondiale di calcio ad esempio. E’ nel rispetto degli attivisti, di chi è sul posto, che non me la sento di raccontare nulla. Nulla di più di quello che mi arriva direttamente da lì. E da qui, cioè non dal salotto di casa mia, ma dalle mie emozioni, dal mio intimo (che non ha niente a che fare con la mia “estimità”facebookiana). Non ho voglia di muovermi tramite agenzie stampa, né di intervistare qualche osservatore da “acchiappo”, tipo un professore universitario. Metto la mia penna sul tavolo e chiedo invece a chi questa la impugna di trovare il coraggio che io non ho, quello di stare seriamente sui fatti. Anche sul posto (non negli hotel). A chi ci gestisce, i nostri politici, di prendere una posizione netta contro ciò che sta facendo lo Stato di Israele, e ai cittadini come me di essere critici 365 giorni l’anno, di valutare l’origine dei prodotti commerciali che stanno acquistando, perché attraverso il boicottaggio di alcuni marchi prodotti in Israele e di altri che sostengono questo Paese, ad esempio, è percorribile una strada dal basso che può dare frutti velocemente, ma anche di dare un peso specifico differente ai loro voti politici. Di chiedere alla politica cose che non sono sul piatto, che non sono all’ordine del giorno, e di smetterla di fidarsi ciecamente dei sorrisi dei singoli. Da Gaza ci chiedono di scendere in Piazza, di farci sentire. Non lo si fa solo tramite Facebook, che ahimé in occidente è sempre meno sociale e sempre più commerciale, come i suoi stessi utenti, sempre più in vetrina e meno all’interno di progetti condivisi. Lo si fa facendo pressione, manifestando un’opinione pubblica alternativa. Sì, alternativa perché l’Italia ufficiale sta bipartizan dalla parte di Israele. Da sempre. Non lo scopriamo oggi.  

Davanti all’opera di Picasso, Guernica, si è colpiti dai colori grigi che richiamano l’assenza di colori nella guerra, dal bianconero asettico della quotidianità, ma anche dai colori dei giornali cartacei e dell’informazione tradizionale. Davanti alle immagini di bambini senza testa, di strade con vetri rotti alternati a braccia e sportelli delle auto ci si deve sentire piccoli. Un atto di dignità e di informazione è scrivere di non avere la forza, ma di stare convintamente dalla parte dei palestinesi e non ergersi a opinion leader per poi dimenticarsi di averlo fatto. Gaza è vicina, lo sono i nostri aerei M 346 Alenia Aermacchi ceduti agli israeliani per l’addestramento dei loro piloti (affare da oltre 800 milioni di euro), lo è Finmeccanica, che un giorno dovrebbe spiegarci chiaramente quanto e per chi produce mezzi di distruzione, lo è per la nostra Sicilia bella, da dove partono e sono comandati droni americani come quelli usati dall’esercito israeliano, primo produttore al mondo di questi giocattoli infernali. Gaza è vicina perché se il mercato della guerra si ferma la ripresa che non c’è non ci sarà mai più. E non è un caso che il business dei droni fosse in netto calo… Gaza è vicina perché oltre a 176 morti di cui 33 bambini e 160 raid aerei, già ci sono migliaia di persone in fuga (17.000 si sono momentaneamente rifugiati nei centri di accoglienza dell’Onu). E lo è perché forse le primavere arabe su cui i miei colleghi e i vostri politici hanno scritto “tanto per”, oppure per moda legata alle tendenze degli altri media occidentali, hanno indebolito alcuni  di quegli Stati che potevano proteggere e mediare per il popolo palestinese. Non a caso sembra sia l’Egitto militare, quello che non piace all’occidente, e quello della controprimavera, forse, il solo candidato plausibile a cucire una via alternativa, diplomatica, alla continuazione del massacro. Per la serie “scrivere di esteri non è così facile”. Infine Gaza è vicina perché è un esempio di come la democrazia non funzioni quando non fa tornare i conti agli esportatori della democrazia. Hamas vince le elezioni, Hamas non piace, si aspetta il momento giusto, quando sembra accordarsi con l’Olp  e gli si fa guerra. Perché? 

Per i tre coloni misteriosamente scomparsi? Non proprio, è ancora più facile! Perché sono dei terroristi. Ecco, è arrivato il momento per lo meno di dare un senso a questa parola, terrorismo. E’ terrorista chi si difende con le pietre e con dei razzi (sempre intercettati o controllati) da chi è stato richiamato dalle stesse Nazioni Unite per aver occupato una parte di striscia illegalmente, o chi bombarda senza pietà con tecnologie da fare invidia a Star Trek mettendo da parte i propri precetti religiosi e rovesciando la storia? Israele si sta vendicando dei nazifascisti emulandoli. Tra l’altro i giganti si stanno muovendo vigliaccamente in pieno Ramadan ed è assurdo come a livello mediatico internazionale l’occidente stia omettendo questo fattore. Un particolare che fa di questa settimana una guerra che manifesta il disprezzo per un’altra religione nella sua manifestazione più bella. Come non rivedere alla luce di questi giorni l’etichettamento del termine terrorista sugli uni invece che sugli altri o le responsabilità degli uni sulle azioni degli altri? L’Europa e l’America dopo la seconda Guerra Mondiale si ersero a somme divinità, dando ad un popolo la Terra Promessa, loro per primi (cioè noi) sono responsabili di aver dimenticato chi già abitava quella terra e di non aver mai avuto la cultura della convivenza. Gli incivili, non c’è dubbio, ancora una volta siamo proprio noi. 

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