Io sopravvissuto alle foibe, dove buttavano via la gente

Foto di Matteo Nardone
Foto di Matteo Nardone

Intervista a Claudio Smeriglia, sopravvissuto. LE FOTO

OSTIA (Roma) – Raggiungo Claudio Smareglia, classe 47’, che oggi abita ad Ostia, anche se la sua origine è Istriana Mi accoglie nel reliquario di memorie che è diventata la sua casa dopo il grande esodo del 45’. La sua italianità, il senso di appartenenza,  sono vivi, in un presente che di quel passato ha il rammarico che non sia stato diverso.

Claudio  Smeriglia  racconta il dramma delle foibe: “L’’8 Settembre del 43 Pola, ex capoluogo dell’Istria, cessa di essere Stato italiano. Territorio di confine nell’800’, sede  – a causa  delle trattative di predominio nel Mar Adriatico orientale –  di flussi migratori. I primi abitanti della città istriana, risalgono al tempo di Diocleziano. Nel 1915 l’Italia, sotto il regno austro-ungarico, entra in guerra. Gli accordi previsti dal Trattato di Rapallo, firmato dall’asse delle Triplice Intesa, da un lato sfaldano l’impero austriaco dall’altra irretiscono la minoranza slava. L’Istria diventa italiana. La Dalmazia si slavizza, a eccezione di Zara e Fiume, diventata famosa per la campagna propagandistica dannunziana. Dal 18’ al 45’ le terre istriane hanno avuto culture, appartenenza, costume, cibo e tradizioni italiane. Tra il 20’ e il 36’ in Europa, in Russia nasce il comunismo dei soviet e in Italia trionfano le idee politiche del duce Mussolini. La mia famiglia – specifica Smeriglia – è antifascista. Mio padre, Giulio, è professore di Lettere e Filosofia. Possiede una libreria nella cittadina di Pola.Il malcontento portato dalle campagne spietate di Mussolini, fa si che le minoranze slave, ignorate, combattano unanimi contro un patto tradito”.

D. Nascono così primi infoibamenti?  

C. S. “Si, i primi episodi gravi. Le foibe erano queste cavità naturali, usate per buttare via gente scomoda. Persone che avevano posti d’importanza nella società, italiani per l’appunto. Accaddero cose disumane. Vennnero infoibati in maniera tragica. Buttati da vivi, dentro le fosse. Ne morirono a migliaia. Nel 44’ mio papà venne internato a Buchenwald, un campo di concentramento tedesco. Sopravvisse sino alla fine della guerra. Si nutriva di bucce di patate, di gusci delle uova. Mancava il calcio. C’era lo scorbuto. Quando è tornato era un uomo stanco. A soli 50 anni”.

Claudio Smeriglia continua il suo racconto che è storia : “La seconda guerra mondiale era quasi al termine. Sotto Tito, le truppe partigiane si riunirono in un’unica sola bandiera, quella comunista. Si voleva fare un’ Istria slava. Un giorno papà mi raccontò che mentre stava insegnando in aula, parlando di Dante Aligheri, entrò un commissario politico e interruppe la lezione per chiedendogli di cosa stesse parlando. Di Dante Aligheri! – rispose  mio padre. Un tonfo. Il commissario scaraventò i libri per terra; – Qui si parla soltanto di Tito, urlava. Convocato dall’Ozna, a mio padre fu chiesto:  – Perché è rimasto qui professore? . Lui rispose: “Sono rimasto qui. E’ l’unica speranza che ho forse, perché queste terre tornino italiane”. Era l’Aprile del 47’. Papà venne imprigionato nel carcere di Pola. Intanto venni al mondo io.

D. Quali i primi ricordi? 

C.S. A un anno andavo con mamma a trovare papa in carcere. Ricordo che tiravo i sassi ai poliziotti e dicevo “avete messo in prigione papà mio”.

D. Cos’ è successo dopo?

C. S. :”Ci hanno tolto tutto. Eravamo apolidi. Vivevamo di aiuti della misericordia degli altri. Non si riusciva a recuperare da mangiare. Avevo due anni e mezzo, mettevo il pane sotto due gocce d’acqua per mangiare qualcosa. Agli  inizi degli anni 50’ papà diventò un caso diplomatico. Riaprono le opzioni. Era il sistema attraverso il quale dichiaravi di essere: slavo o italiano. Nei documenti il mio nome non figurava con quello di mamma. Restai con papà.

La signora Cornelia, madre di Claudio, oggi novantacinquenne, ripercorre quell’episodio. Mi dissero: “Ha tre giorni per andarsene, si arrangi”. –“E il bambino?” risposi. Il bambino rimane qui.

“Eravamo mal visti. Eravamo i rimasti”, confida Claudio. “Sentitamente italiano fra istriani , slavi, ormai. Come vorrei essere un albero, che sa dove nasce e dove morirà”, cantava mio cugino Sergio Endrigo. Mi son sentito così. L’emozione prende il sopravvento. “Nel 50 siamo ad Agrado. L’Istria è ormai spopolata. Rimanere avrebbe significato votarsi a morire. Nel 55 si veniva imprigionati perché considerati spie al soldo dell’imperialismo. Rieducati e ridotti a bestie. Per motivi politici abbiamo fatto perdere all’uomo dignità. Ecco perché il giorno del ricordo delle Foibe è messo a fianco a al giorno della Memoria.

Oggi l’Istria è croata. Quale messaggio vuole lanciare alle nuove generazioni?

“Tiriamoci fuori da logiche di guerra. Non auguro a nessuno di provare tutto ciò.  Si deve avere diritto a dire che è tutto sbagliato. Vi furono oltre 12.000 morti. Io mi sento italiano, io sono italiano. Centinaia di anni non cambiano la storia. Possono infoibare tutto tranne le pietre.”

GALLERIA FOTOGRAFICA DI MATTEO NARDONE

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