La “buona scuola” che vorrei in un mondo globalizzato

ROMA – Una “buona scuola”, come si vuole definire quella che uscirà dalla riforma attualmente in discussione, deve necessariamente assumere, tra l’altro, un ruolo predominante nella funzione educativa delle giovani generazioni anche nel rapporto con le famiglie.

L’attuale sistema scolastico italiano, come emerge da recenti studi pubblicati in questi giorni, presenta dei difetti macroscopici di organizzazione che si ripercuotono sul livello di educazione dei nostri studenti laddove si faccia un raffronto con quanto accade accanto a noi.

Il livello di sviluppo cognitivo dei bambini oggi richiede di rivedere i tempi e i modi di gestione della loro carriera scolastica adattandola a quelle che sono le reali esigenze dei tempi moderni. Una modernità, attenzione, che non deve gettare in ombra lo studio di materie classiche che fanno parte della cultura italiana più di altre, o dello studio della grammatica, della storia, della filosofia fondamentali per i nostri studenti, ma al contrario preservando il valore e l’importanza di queste materie si devono introdurre dei metodi e delle variazioni nel modo di concepire la scuola e l’insegnamento.

Una scuola dunque che deve essere il luogo elettivo della formazione e della costruzione della classe dirigente del nostro Paese e che sia la fucina di eccellenze capaci non solo di sfornare allievi competitivi, ma che sia anche in grado di attirare intelligenze straniere che vengano a dissetarsi nelle nostre fonti del Sapere.

Ciò oltretutto consentirebbe di introdurre veramente una selezione fondata sul merito ed il talento di ciascuno restituendo alle famiglie il giusto ruolo che devono avere verso i figli. Infatti solo un sistema scolastico che in potenza offra a tutti uguali opportunità permette di eliminare quelle fastidiose barriere che oggi più che mai sono un fattore discriminante tra i giovani e che sostituisce il criterio del merito a quello del censo e della posizione economica dei propri genitori. Chi ha modo di frequentare il mondo accademico anglosassone, oltretutto, si rende facilmente conto che è un fattore prima di tutto culturale quello di volersi affrancarsi dalla famiglia e di dimostrare le proprie capacità personali che prescindono appunto dal contesto di origine. In linea di principio in quella cultura è considerato un disdicevole approfittare di una posizione di rendita di cui si gode in barba agli altri senza aver dimostrato di meritarsela. 

La Buona Scuola italiana dovrebbe fare propri questi principi e diffonderli nel modello educativo dei nostri ragazzi e ragazze per sviluppare dentro di loro un sano spirito competitivo che permetta un confronto e uno scontro contando prevalentemente su se stessi. Questo oltretutto, alzerebbe il livello della qualità della nostra classe dirigente in tutti gli ambiti, dal pubblico al privato. 

Una scuola che non chiuda per tre mesi all’anno perché le condizioni climatiche non consentono un regolare svolgimento delle lezioni durante i mesi estivi in quanto oltre ad essere una motivazione sciocca incide negativamente sull’apprendimento dei nostri ragazzi e ragazze e pesa fortemente sulle tasche delle famiglie italiane che oggi sono costrette a sostituire sempre di più con le loro sempre più scarse risorse le gravi inefficienze dello stato.  Occorrerebbe semmai prevedere, come fanno altri sistemi come quello francese, brevi periodi durante l’anno in cui si interrompono le attività scolastiche consentendo agli studenti di recuperare un po’ di energie e alle famiglie di organizzare attività alternative che non siano gravose per le loro tasche dato che i momenti di pausa non durano più di una settimana o dieci giorni.

Una scuola in cui chi studia di più sarà maggiormente premiato al di là del cognome che porta, una scuola delle eccellenze e accogliente, in cui gli insegnanti possano trarre beneficio dal ruolo che svolgono e le famiglie si ritraggano il più possibile responsabilizzando i propri figli ad una crescita autonoma e stimolante. Una scuola delle opportunità che permetta di sbloccare quell’ascensore della mobilità sociale che rende il nostro Paese retrogrado ed ancorato a logiche di selezione fondate sul principio della conoscenza e che determina un abbassamento inaccettabile del livello qualitativo della classe dirigente inaccettabile.

Una Scuola all’altezza delle sfide che il mondo globalizzato richiede e che sappia attuare quella serie di diritti fondamentali dell’essere umano e dei minori troppo spesso dimenticati e vilipesi.

Condividi sui social

Articoli correlati