Rogo all’aeroporto di Fiumicino. Terminal 3 come Chernobyl

ROMA – A quasi cinque mesi dal rogo che ha devastato oltre 700 mq del Terminal 3, all’aeroporto di Fiumicino la situazione continua ad essere estremamente critica. 

Nessuno ne parla più, ma i lavoratori continuano a manifestare problematiche di salute, alcuni di questi sono precari lasciati a casa allo scadere del contratto, proprio perché si sono ammalati. Ricordiamo che già dai primi giorni dopo l’incendio oltre 400 lavoratori erano finiti al pronto soccorso con varie patologie. Diversi di loro sono ancora sotto infortunio, seguiti dall’INAIL, e versano in condizioni di salute critiche per l’intossicazione a cui sono stati sottoposti. Tuttavia la zona rossa, che è stata definita dalla relazione dell’Istituto Superiore di Sanità una sorgente di contaminazione attiva, con sostanze inquinanti e diossinanon è ancora stata bonificata. Tecnicamente è stata incapsulata ed isolata, ma non si è proceduto con la bonifica prevista. Ci chiediamo come possa essere possibile mantenere una fonte di contaminazione di questa portata con valori di diossina risultati in alcune rilevazioni anche 30 volte superiori alla norma, senza procedere, dopo tutti questi mesi, ad un provvedimento urgente. Chiunque transiti a Fiumicino può constatare che è un cantiere a cielo aperto, ma quell’area bruciata non sembra rientrare nelle attuale priorità di intervento di ADR e delle Istituzioni.

Con il Giubileo alle porte, la situazione sembra ancora più paradossale e rischia di restare ancora per molto tempo in una fase di stallo. Non vorremmo che Fiumicino  diventasse  una sorta di ‘piccola Chernobyl‘, incapsulata e abbandonata a se stessa.  

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