Dalida: magnifica e fragile

Iolanda Cristina Gigliotti, per tutti Dalida: una cantante dalla voce magnifica, una donna drammaticamente fragile.

Non sopportò le pressioni derivanti dalla fama e dalla ricchezza, non sopportò le luci di una ribalta tanto affascinante quanto stritolante, non sopportò il suicidio dell’unico vero amore della sua vita, ossia Luigi Tenco, non sopportò la malvagità di coloro che tentarono in tutti i modi di approfittarsi di lei, fino a spremerla psicologicamente e a livello artistico, infine non sopportò più se stessa e a soli cinquantaquattro anni, il 3 maggio dell’87, compì il gesto estremo di togliersi la vita. 

Dalida: una voce inconfondibile, potente, dotata di un lirismo e di una bellezza prossima alla meraviglia. Dalida e i suoi sogni, Dalida e le sue parole, Dalida e la Francia degli esistenzialisti, di Sartre e di Proust, di Édith Piaf e dei “bluson noir”, dello stile di vita bohémien e del ribollire interno di una Nazione sull’orlo di una crisi di nervi che ebbe in De Gaulle e nella sua capacità di fronteggiare i fatti d’Algeria il proprio condottiero. 

Dalida e i suoi amori: quasi tutti fasulli, quasi tutti destinati a non lasciare traccia ma, in compenso, a segnala profondamente, eccetto il solo cui abbia tenuto veramente, quello con Tenco, conclusosi nella maniera straziante che tutti sappiamo e la cui prematura conclusione la destabilizzò per i successivi vent’anni, prima che questa sventurata e delicatissima farfalla decidesse, a sua volta, di spezzarsi le ali. 

Perché quello di Dalida era un vero e proprio “spleen”, un male di vivere declinato a metà fra Baudelaire e Montale, un tormento esistenziale senza possibilità di salvezza, un dolore bruciante cui nulla e nessuno fu in grado di porre rimedio, impossibile da alleviare, ancor più difficile da comprendere e da accettare per coloro che le stavano intorno. 

Dalida se ne andò in polemica col mondo, in lotta con se stessa, in guerra con le sue sconfitte ma persino con i suoi successi, con la sua celebrità, con l’affetto che il pubblico nutriva nei suoi confronti per via delle atmosfere magiche che era in grado di creare e delle passioni che era capace di accendere.

Le ha reso omaggio la RAI, mercoledì sera, con un bel film interpretato da Sveva Alviti, abile nel rendere la grandezza e le sofferenze di una figura straordinaria e indimenticabile, il cui messaggio, la cui poesia, la cui profondità è tuttora estremamente attuale, in contrasto con la società del vuoto, della fatuità e del nulla che caratterizza questo tempo: una stagione senza arte e senza bellezza e, proprio per questo, tormentata di quel tormento che, a differenza di quello di Dalida, che produceva arte, produce solo rumore, confusione, caos e un senso generalizzato di inadeguatezza.

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